Cassago: replica alla S.Agostino

Riceviamo e pubblichiamo la nota di Davide Redaelli – ricercatore di storia all’università di Udine – a chiusura del confronto sulla ''vexata quaestio'' relativa alla permanenza, o meno, di Sant’Agostino a Cassago. Redaelli, con questo scritto, risponde ad alcune affermazioni pubblicate recentemente, su queste colonne, dall’associazione Sant’Agostino presieduta da Luigi Beretta:

Casciago o Cassago? Mi sento proprio di ribadire che Cassago non ha alcun tipo di vantaggio su Casciago. Sono stato intervistato e certo non mi ero annotato per l’esattezza tutte le informazioni necessarie per discutere in modo veramente scientifico l’argomento, anche per questioni divulgative. So bene infatti che l’articolo deve essere letto da non specialisti.
Comunque: inesattezze ne ho certo dette, ad esempio l’esistenza delle famose lapidi romane di Cassago è espressa in lettere non del Biraghi, ma del Confalonieri (informazione che ho preso direttamente dal sito dell’associazione Sant’Agostino). Non cambia però il fatto importante: le iscrizioni non esistono e sono state trovate tutte nella zona della chiesa parrocchiale. La stessa Sant’Agostino sul suo sito dice che ignora l’esatta provenienza dell’epigrafe di Marrilla/Marilla, però nella replica mi si dice che sono sufficientemente sicuri che sia di Cassago. Il dubbio direi che sia però legittimo, soprattutto nel caso di iscrizioni romane trovate in chiese: o ci dimentichiamo che la dedica a IOM (non IMO) posta da Verecundus, pur essendo di Besana, si trova a Cinisello Balsamo?
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Ma veniamo proprio a questa dedica: mai detto che il fatto che il dedicante compaia con un nome solo (Verecundus, un cognome) sia il fondamentale criterio per datarla. Da ormai dieci anni lavoro a stretto contatto con i monumenti romani (soprattutto di Aquileia, ma non solo; sono dottore di ricerca in storia antica-epigrafia latina) e so datare delle iscrizioni. Gli aspetti da tenere presente non sono solo quelli onomastici, ma anche paleografici e l’aspetto della testimonianza. Bene, confermo che quell’epigrafe non si data oltre al 350. Innanzitutto, dal punto di vista onomastico esistono numerosissime iscrizioni in cui il dedicante si qualifica con un nome solo, e tali documenti si datano a ben prima del IV secolo. Questo perché le dediche potevano essere poste dagli schiavi (e chi ci dice che questo Verecundus non sia tale?) e poi perché dopo la Constitutio Antoniniana (il famoso editto di Caracalla) del 212 le iscrizioni in cui i dedicanti riportavano un nome solo (il cognome) sono aumentate considerevolmente (se ne conoscono centinaia: dedicante con un nome e datazione al III secolo, non al IV: es. CIL IX 1074, CBI 555; AE 1958, 62; CIL III 8173, quest’ultima databile precisamente al 226). Ancora: chiunque cerchi sui database consultabili online in cui sono registrati i testi delle iscrizioni romane, constaterà che le dediche a Giove databili sicuramente al IV secolo, e a un lasso di tempo oltre il 350, sono in tutto non più di 10 su tutto il territorio dell’impero (ripeto: gli imperatori avevano iniziato a spogliare i templi pagani). Una di queste testimonianze si trova a Galliano, è una dedica posta da un vir clarissimus, Flavius Valens, e noi specialisti sappiamo che con ogni probabilità si riferisce all’età di Costantino o al massimo dei suoi figli (non oltre il 361/363 insomma). Lasciamo poi stare il fatto che, giusto per dare una quantità ulteriore, le persone note in epigrafia con cognome Verecundus sono centinaia: ci sono anche donne, e ricorderei qui CIL V 5777, trovata nella basilica di San Simpliciano a Milano, databile al II secolo, la dedicante di questo ex voto sempre a Giove Ottimo Massimo era una certa Secia Verecunda. Sul sito della sant’Agostino ho letto che anche questo reperto possa essere collegato al Verecundus “agostiniano” (siamo ad almeno due secoli prima) e il nome della dedicante riportato è Decia Verecundus!
Ci sono poi ulteriori considerazioni: queste dediche a Giove Ottimo Massimo non erano in alcun modo marcatori di confini tra proprietà. Quindi, niente ci indica che Verecundus fosse un proprietario, fosse un proprietario di latifondi e quanto grandi potessero essere i latifondi. Oltretutto, se mi si dice che i confini tra proprietà non ricalcano quelli attuali tra comuni, sarebbe il caso di segnalare come immediatamente vicino a Casciago sia pieno di reperti romani: Luvinate, Induno Olona, Varese (un villaggio di dimensioni non irrilevanti), Voltorre di Gavirate. Paese quest’ultimo da segnalare in modo particolare: siamo a 5 km da Casciago e l’archeologia ha riportato alla luce i resti di un edificio rustico romano di età tardoantica, in una porzione del quale sono state edificate chiese a partire dal V secolo. Non è stato ben indagato: ma se per caso nuove indagini ci dicessero che sorgeva una villa romana? Casciago l’avrebbe e Cassago non con certezza?
Quanto ai resti romani: l’archeologia segnala certo la presenza di resti romani a Cassago, ma soprattutto in località Pieguzza. Siamo un po’ lontani dalla zona della villa Visconti. La pretesa cisterna era una concimaia. Indagini al georadar ce ne sono state, ma nessuno ha poi pubblicato nulla dei risultati, dicendoci cosa è stato trovato di romano nella zona dove attualmente c’è il parco Rus Cassiciacum. Immagino che se fossero stati trovati resti che portavano a pensare alla presenza di una villa ci sarebbe stata una estesa e pubblicizzata comunicazione alla stampa e pubblicazioni di respiro. Quindi evidentemente noi non abbiamo elementi per dire come e dove si estendesse il popolamento romano di Cassago e soprattutto nulla ci autorizza a pensare che ci fosse una villa, piuttosto che insediamenti sparsi, piuttosto che un villaggio. Ulteriori scoperte ci diranno cose nuove? Lo auspico. Ma senza quelle non posso affermare niente di certo, altrimenti non sarei scientifico.
Infine: la fontana. Centro di devozione popolare? Certamente. La segnala così il Biraghi. Sapete chi era il Biraghi per noi epigrafisti? Un falsario che produceva false letture o addirittura falsi documenti a supporto delle sue tesi. Biraghi nel suo scritto su sant’Agostino a Cassago sottolinea l’esistenza di una fontana dedicata a sant’Agostino come centro di devozione popolare, ma si dichiara non sicuro che presso la fontana ci siano materiali romani. La carta archeologica della Lombardia non segnala alcunché di romano presso dove oggi c’è la fontana. Originariamente era una vasca presso il castello, certo, ecco perché già centro di cultura popolare prima degli anni Sessanta. Ma molti anziani potranno testimoniare di interventi degli anni Sessanta per trasformare la vasca nella fontana attuale. Abbiamo certezze che ci fosse un edificio importante in età romana? Direi proprio di no. Se poi la leggenda vuole identificarci la fontana del santo, faccia pure. La scienza deve dire qualcosa di diverso; quando ci saranno indizi e prove più rilevanti lo segnalerà. Anche perché, ripeto quello che è il mio pensiero: non avere certezze non significa negare che il santo possa essere stato a Cassago. Confido però che ulteriori avanzamenti nella ricerca possano darci più dati e perlomeno capire chi è “in vantaggio” tra Cassago e Casciago. Dal punto di vista linguistico, comunque, restano valide le osservazioni dei professori Stella e Cuzzolin e non capisco sinceramente perché mettere in dubbio la loro analisi (la quale, tra l’altro, si riferirebbe a documenti medievali e quindi sarebbe dubbia, secondo la replica: poi mi viene citato come veniva chiamata Cassago nei documenti del XII secolo. XII secolo è per caso età antica?).
Ad ogni modo, mi rallegro fortemente che il dibattito intorno alla vexata quaestio sia ancora così vivo; sicuramente la situazione mi ha invitato alla rilettura globale della documentazione, da cui potrei anche trarne un bell’articolo scientifico, e ha stimolato Casciago a organizzare un bel convegno, utilissimo per fare il punto della situazione dopo la grande ondata di studi nel 1987. Auspico che la ricerca scientifica, il continuo dibattito e confronto tra studiosi e nuove acquisizioni possano aiutare a trovare una soluzione al problema.
Davide Redaelli
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