I molti perchè di una cittadinanza onoraria a Nino Di Matteo

E' ormai da più di un anno e mezzo (luglio 2022) che cerco, assieme a qualche amico, di perorare la causa della concessione della Cittadinanza Onoraria al magistrato Nino Di Matteo.

Mi si potrebbe quindi chiedere il perché di questa insistenza su tale reiterata proposta a tutti ed a ognuno dei Consigli Comunali del nostro Territorio ma in particolare a quello di Oggiono, mio Comune di appartenenza.

Cerco qui di spiegarne alcuni motivi.

Innanzitutto non sfuggirà a nessuno quanto sia importante sostenere coloro che quotidianamente e a nome nostro svolgono funzioni protettive per il nostro vivere civile cercando di dare effettiva applicazione a quel “la legge è uguale per tutti” che è tra i principali fondamenti della nostra preziosissima Costituzione.

In particolare nel caso di Di Matteo, come di altri coraggiosi magistrati similmente impegnati, è caratterizzata dall'ineludibile necessità di contrastare un potere mafioso e paramafioso che rischia sotto varie forme di minare (più che un rischio è già una palese realtà) in profondità la nostra Convivenza Civile e Sociale.

Non occorre certamente spiegare la pericolosità, sotto varie forme, di questa molte volte “strisciante” minaccia ma vorrei qui evidenziarne alcuni effetti connessi proprio in ragione della profonda significatività che rivestono per la Collettività. Effetti che rischiano di permeare la vita quotidiana di noi tutti producendo una forma di rassegnazione nei confronti di fatti e situazioni che ci appaiono lontani ma in realtà non lo sono affatto perché, in assenza di un vigile discernimento, possono condizionare il nostro modo di vivere e pensare.

Quanti di noi, ad esempio, provano perlomeno un disagio nei confronti di questo mondo attuale ma si sentono impotenti nel poter cercare di cambiarlo? E quanti di noi percepiscono lo spesso sottaciuto quanto rimosso bisogno di ripristinare una corretta scala di valori alla base di una convivenza civile degna di tale nome?

Mi spiego meglio.

Penso sia nell'esperienza di tutti registrare non poche volte nei comportamenti anche ordinari e quotidiani che ci circondano un meccanismo che si potrebbe ben definire un “rovesciamento delle parti”.

Quello che ad esempio vede oggi, contrariamente ai valori ereditati dai nostri “vecchi”, il considerare, secondo un diffuso sentire, comportamenti cinici un “sano realismo”, quelli “eticamente disinvolti” come “modelli di successo”, quelli “sopra le righe” legittime manifestazioni della propria espressività e così pure un antisociale menefreghismo la virtù “del saper stare al mondo” ecc. ecc.

In sostanza diventano modelli di convivenza da imitare, perché spesso apparentemente premianti, l'arrivismo a scapito degli altri, la de-responsabilizzazione dai doveri verso la Collettività come legittima manifestazione di contrarietà rispetto ad un “peloso buonismo”, la rassegnazione alle piccole e grandi prepotenze sociali e relativo aumento delle disuguaglianze giustificata da una forma “realistica di auto protezione” ecc. ecc. ma soprattutto l'assuefarsi, come dicevo, ad un vero e proprio fenomeno di costume che fa del più o meno consapevole “capovolgimento delle parti” un pericoloso e sempre più diffuso “gioco del far apparire”. Specie in questa società dell'informazione e dell'intrattenimento.

Ecco quindi che per certo e “insinuante” mondo mediatico chi non paga le tasse è un furbone e chi le paga è un ….., chi si fa strada sgomitando uno scaltro, chi inquina l'ambiente un realistico operatore di mercato e così a livello planetario migliaia di vittime civili delle guerre diventano effetti collaterali, milioni di poveri inevitabili conseguenze della competizione globale. Così come la precarietà sempre più diffusa diventa “mancanza di auto imprenditorialità” e la denuncia di crimini contro l'umanità è spacciata per attacco all'integrità dello Stato, basti vedere cosa è capitato a Navalny o sta ancora capitando a Julian Assange con l'aggravante, in quest'ultimo caso che è coinvolta la nazione definita più liberale e democratica del mondo.

Ma cosa centra in tutto questo Di Matteo?

Centra e centra molto proprio perché rappresenta nel gran circo mediatico un caso perfetto di rovesciamento delle parti (per chi volesse ulteriormente approfondire qui un eloquente recente articolo che evidenzia quanto sia ancora oggi e più che mai “sotto schiaffo” https://www.antimafiaduemila.com/home/mafie-news/309-topnews/99032-il-colpo-di-spugna-sulla-trattativa-stato-mafia.html ) visto che il suo “normale” lavoro, a nome nostro, di ricerca della giustizia su fatti pesantissimi per la nostra Repubblica ( in particolare le stragi del 92-93, ma non solo) viene fatta passare su molti grandi media, più o meno velatamente, come smania di protagonismo o pregiudiziale antagonismo se non velleitario accanimento di tesi precostituite e quant'altro. Giudizi che avevano pure connotato Falcone e Borsellino accusati di essere “professionisti dell'Antimafia” e quindi mossi soprattutto da carrierismo e bramosia di notorietà. Abbiamo poi tutti visto che carriera abbiano fatto.

Certo competerebbe ad ogni Cittadino munirsi degli anticorpi per poter discernere queste più o meno sottili azioni di delegittimazione ma, si sa ed è un male tipico di questa nostra società, sono troppe le distrazioni fornite in particolare dalla quotidianità mediatica. Quotidianità mediatica che troppe volte accende fari su aspetti assolutamente secondari del vivere mentre ignora questioni, fatti e persone che per il loro ruolo e la loro disinteressata coerenza dovrebbero costituire dei veri modelli da imitare.

Certo questi “modelli” di pubblica probità, se sostenuti e non invece lasciati isolare se non addirittura contrastati, potrebbero ben “rafforzare” anche l'operato di tutti coloro che credono e cercano di praticare nella propria vita ordinaria quegli stessi, e purtroppo a volte bistrattati, valori. Valori che, nel solco di un comune e condiviso sentire, spingono con più convinzione ad opporsi alle piccole e grandi ingiustizie della vita quotidiana.

Ecco perché occorrerebbe conferire, come gesto esemplare e non certo come unico possibile, la Cittadinanza Onoraria a Nino di Matteo o a simili credibili figure delle Istituzioni.

Quelle Istituzioni che egli, come purtroppo non molti altri, ha avuto e continua ad avere il coraggio anche di “processare” per i loro aspetti più oscuri e incoerenti cercando, da vero magistrato e cittadino responsabile, di rimuovere, con ben documentati fatti e testimonianze a supporto, le inquietanti ombre che ledono la credibilità del nostro martoriato Stato.

Quindi un vero “servitore dello Stato”, ma uno Stato finalmente dal volto credibile!

Forse anche così si potrà ridurre in sempre più tanti una delle componenti più caratterizzanti quel malessere che ci assale nel costatare un mondo che spesso gira a rovescio.

Lascio a chi legge e si riconosce in queste mie considerazioni la ricerca di altrettante ben evidenti motivazioni per conferire tale pubblico quanto volutamente simbolico riconoscimento.

Spesso rispetto a certe enormi questioni ci si sente impotenti e ci si chiede cosa ognuno di noi possa comunque fare. Ecco un piccolo gesto, ma grande nella sua essenza valoriale pubblica, per contribuire ad un cambiamento anche “culturale”: quello del “mi riguarda” e di chi non si rassegna, approfondendo, al “capovolgimento delle parti”. Un cambiamento che potrà concretizzarsi solo col concorso consapevole di tutti, a partire dalla Istituzioni a noi più prossime.

Del resto dovrebbe essere evidente a tutti che il modo migliore e più coerente per onorare le vittime delle Mafie è quello di sostenere (però in vita!) coloro che con coraggio ed abnegazione, e spesso a rischio di isolamento e delegittimazione e poi delle loro stesse vite – come è successo a Falcone e Borsellino – si impegnano a rendere loro una doverosa giustizia. Una giustizia che contribuisca anche a rimuovere tutte le ombre e le realtà, solo apparentemente indicibili, che spesso si celano dietro queste morti.

In assenza di questo effettivo sostegno sarebbero ben vane e demagogiche ricorrenze e celebrazioni commemorative.
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Germano Bosisio
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