Sitori: Domenico Quirico presenta ''Kalasnikov'' e spiega la vita nel mondo del non diritto

L’arma delle guerre di liberazione, della sconfitta statunitense in Vietnam. L’arma delle pulizie etniche, del jihadismo, della grande delinquenza. ''L'arma che ricapitola la storia''. Dal Mozambico all’estremo oriente. Dall’ nord Africa all’Afghanistan. Passando per l’Europa delle pulizie etniche jugoslave. La micidiale invenzione di Michail Kalasnikov è il filo conduttore dell’ultimo libro di Domenico Quirico.
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Domenico Quirico

Un ''oggetto che riunisce le guerre'' nel suo ricapitolare la storia. Storia non coerente con l’idea del progresso occidentale. Come il giornalista e autore spiega durante l’incontro tenutosi a Sirtori nella serata di mercoledì 17 aprile. Un appuntamento dell’IterFestival 2024 organizzato dal Consorzio Brianteo Villa Greppi.
''L’idea che il mondo avanzi sempre verso il progresso non è vera perché la maggioranza degli uomini è impregnata di violenza'' spiega Quirico. In questo mondo ''la guerra non è un episodio'' ricorda il giornalista, come i grandi maestri del realismo internazionale insegnano.
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Da sinistra il vicesindaco Tiziano Paschetto, il consigliere Paolo Belletti, Domenico Quirico, Amanda Colombo e Lucia Urbano, presidente del Consorzio Villa Greppi

E di guerre Quirico ne ha vissute molte, in prima linea, come inviato per il quotidiano La Stampa. In ognuna di queste l’ Avtomat Kalašnikova era lì. Presente a segnare un confine. Il confine fra chi aveva una speranza di sopravvivenza, perché possedeva un’arma, e chi questa speranza non l’aveva.
Non solo fra i soldati degli eserciti, fra gli uomini delle milizie o tra i bambini soldato. Ma, anche fra i civili. ''Nell’altra parte del mondo [non occidentale] i bambini divengono adulti dopo aver ucciso un uomo, dopo aver imparato ad usare un kalashnikov. È l’unico modo per sopravvivere'' spiega Quirico.
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In ''Kalashnikov. Dal Vietnam a Gaza, in un’arma la storia'' il giornalista inviato di guerra non si limita a ripercorre le vicende dei conflitti che ha vissuto e raccontato in prima persona. Si spinge ad indagare, anche nell’intimo la vicenda personale di Michail Kalasnikov, l’inventore dell’arma più diffusa al mondo.
''Della sua vita mi interessano due aspetti'' precisa Quirico. ''Il primo è la sintesi antropologica fra russi e potere'' dove ad essere indagato è ''l’infinitesimale potere del singolo nei confronti del potere russo''. Il rapporto fra un popolo, i suoi singoli individui, e la forza di uno stato presente in ogni anfratto della società. Una presenza opprimente e totalizzante che lo stesso Michail Kalasnikov ha avuto modo di sperimentare fin da bambino. Quando lui, e la sua famiglia, finirono deportati.
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Nonostante le numerose onorificenze ricevute per la sua invenzione, lui resterà sempre in disparte. Lontano dai meccanismi del potere e dagli ingranaggi del regime sovietico. Una scelta per evitare di cadere in disgrazia, di restare schiacciato da quel sistema di potere statale e politico che ben conosceva. In questa sua storia, secondo Quirico, vi è un po’ la storia di tutto il popolo russo. Non solo. Vi è la storia di tutte quelle persone e popolazioni che vivono in regimi autoritari, dove si è vivi fin tanto che il potere non nota la tua presenza. Fin tanto che non percepisce nella tua persona anche solo la pur minima forma di minaccia all’ordine costituito.
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''Il secondo rapporto – prosegue l’autore – è interiore, quello della responsabilità personale che ricade su chi inventa qualcosa che uccide''. ''Kalasnikov, con la sua creazione, ha ucciso molti più uomini di quanti ne siano stati uccisi con qualsiasi altra arma'' spiega Quirico domandandosi: ''Si è posto il problema della responsabilità?''.
Il racconto della storia di quest’arma, come il racconto della vita del suo inventore, non è nient’altro che un ''pretesto''.  Un pretesto ''tremendo'' con il quale Quirico prova a ''raccontare un’umanità'' che il mondo occidentale ''non conosce''. 
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Quella fatta di uomini che vivono ''storie orribili'' in paesi dove non si può nemmeno avere l’idea di cosa voglia dire ''andare a scuola, avere un lavoro, aprire un rubinetto per bere acqua potabile o guidare una macchina''.
''La nostra vita qui non ha nulla a che spartire con quella''. Nulla a che spartire con la vita in quello che Quirico chiama ''il mondo del non diritto'' dove ''la vita umana non conta nulla. Vale zero''. ''Questo è il mondo al di fuori dell’occidente'' ricorda l’autore.
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L.A.
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