La poesia di Umberto Colombo/48: la guerra, ''una dissennata follia''

Sono trascorsi 105 anni dalla fine del primo conflitto che vide protagoniste le più grandi potenze del mondo. Ricorre infatti quest’oggi, 4 novembre, l'anniversario dell’armistizio di Villa Giusti del 1918, che si fa coincidere generalmente con la conclusione della Grande Guerra. Il trattato fu firmato a Padova il giorno prima, il 3 novembre 1918, quando il comando dell'esercito austriaco, ormai in rotta, siglò l'armistizio mentre l'esercito italiano entrava a Trento e la marina a Trieste. Fu il comandante delle forze armate italiane, il generale Armando Diaz a comunicare, tramite bollettino, la fine del conflitto e la vittoria del popolo italiano.
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Di fatto, quella ottenuta dall'Italia è passata alla storia come una vittoria ''mutilata", in quanto la penisola si vide riconoscere solamente il Trentino, l'Alto Adige, l'Istria e Trieste, ma non la Dalmazia e la Libia. 
Il 4 novembre è la ricorrenza in cui si celebra la giornata dell'Unità Nazionale per l'annessione di Trento e Trieste al Regno d'Italia e la giornata delle Forze Armate, poiché quei giorni del 1918 vennero dedicati - in Italia e in Europa - ai soldati morti in guerra. Si tratta peraltro dell'unica festa nazionale celebrata dall'Italia prima, durante e dopo il fascismo: è stata istituita nel 1919 e dal 1977 si ricorda generalmente la prima domenica del mese di novembre.
''La data odierna coincide con la festa del 4 Novembre. In questa occasione parecchi anni fa avevo scritto una poesia conservata negli archivi degli Alpini Italiani da me data direttamente al Tenente Colonnello comandante durante la celebrazione svoltasi a Molteno'' racconta Umberto Colombo proponendo la poesia che pubblichiamo qui sotto.  
Una dissennata follia
 
La Prima Guerra Mondiale…
fu solo follia, l’orgoglio dei Regnanti,
o pingue prosopopea del male,
che spinse gli uomini mandanti?
 
 Quanta ragione sacrificata alla guerra,
quanta arroganza di colpo di mano,
fu quel comando inviso alla terra,
e dato al soldato in atto inumano.
 
Spara il cannone e uccide la vita,
Spara il cannone e il male avanza,
Spara il cannone la pace è finita,
Spara il cannone non v’è più speranza.
 
Quanta tragedia ha provocato,
Quanta affezione ha buttata via,
e il mondo intero irto e sacrificato,
dalla comune ragion di follia.
 
Fu nel dolore la grande vittoria,
fu nel dolore la grande sconfitta,
fu nel dolore l’effetto di gloria,
e quel dolore fu messo in soffitta.
 
Quei giorni di guerra da poco passati,
chiarirono molto sull’uomo nemico,
non era più il corpo, ma i panni indossati,
la vera ragione dell’odio infinito.
 
Che aspetto diverso ha l’uomo e il suo viso …
che piede, che spalle, che braccia cattive,
per essere odiato, temuto ed ucciso.
La Patria ci dice…  lanciamo invettive!...
 
Ma l’operaio, e il contadino,
che lascia la moglie, il figlio e l’ulivo,
non ha segreti… è solo un bambino,
che corre al richiamo col volto giulivo.
 
Ma viene inserito armato e vestito
nei grandi ranghi della milizia,
poi trasportato col senno rapito
e trasformato con grande malizia.
 
Spara al nemico vestito di grigio,
assumi con l’odio la grande difesa,
stai sempre allerta diventa più ligio,
potremo dal gioco armare l’offesa.
 
Così per paura è indotto al coraggio,
il sangue, il ferito, le grida di strazio,
fan breccia di mente anche sul saggio,
in rabbia vendetta, per l’essere sazio.
 
Ma dopo, il compiuto… non porta l’amore,
i tanti soldati uccisi per niente,
le loro famiglie ahimè nel dolore,
sono soltanto un pianto perdente.
 
Riviene la pace, non più grande guerra,
ma il canto felice di dolci pensieri,
di fatto raggiunge di nuovo la terra,
lasciamo il veleno, non più dispiaceri.
 
Ma il fatto passato non è conveniente,
distrugge il sociale, produce miseria,
tornato il soldato, non trova più niente,
la vita, il rispetto, la cosa più seria.
 
Dov’è quell’amore, dov’è la mercede,
la tanto promessa, avvolta nel miele?
Di fatto tradita, in barba alla fede,
e il pianto sleale non è più fedele.
 
Son tante le cose che lascian l’amaro,
son tante le cose di una partita,
ma il gioco assurdo lascia al somaro,
solo il rimpianto di gioia finita.
 
Cent’anni son passati da quel momento,
disgrazie, livori, proteste ed inganno,
ma il mondo di oggi non è più redento,
rimane ed è sempre bloccato e in affanno

Umberto Colombo
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