L'ingresso in tribunale a Lecco
Terminata l'escussione dei testi di lista, venerdì 8 febbraio sono stati ascoltati in aula i consulenti del Pubblico Ministero Silvia Zannini. L'incarico conferito al dott. Paolo Tricomi, anatomopatologo, e al cardiologo dott. Vaccarella - con l'obiettivo di verificare una effettiva relazione di causalità fra il mancato soccorso prestato all'uomo e la morte dello stesso - è confluito in due relazioni, redatte nel 2015 sulla base degli atti in possesso della Procura della Repubblica. I due specialisti hanno quindi riferito al giudice monocratico Enrico Manzi i risultati del loro lavoro. "Ci sono tutta una serie di situazioni cliniche e di evoluzioni nel tempo e nei modi dei disturbi che Borghetti ha accusato, che ci lasciano dire che con altissima probabilità era possibile ipotizzare un infarto miocardico" ha detto il dott.Tricomi. Sarebbe stata infatti una situazione tipica quella che ha interessato l'annonese: un soggetto iperteso, fumatore e sovrappeso che si sottopone ad uno sforzo -quale scalare una parete rocciosa- che accusa un forte dolore agli arti superiori e al torace, per poi essere rilevata l'assenza di coscienza e una fibrillazione ventricolare a basso voltaggio una volta raggiunto il nosocomio. Alla domanda del PM Silvia Zannini - se al pronto soccorso si fossero attuate tutte le cure necessarie - i due consulenti hanno risposto affermativamente. Alla luce di quanto prospettato, quindi, come si poteva evitare la morte del 52enne? "I protocolli prevedono che qualora si presenti un sospetto di infarto, il paziente venga messo a riposo" ha spiegato il dott. Vaccarella "e vengano attivati i sistemi di emergenza-urgenza". Una volta allertato il 118 e raggiunto il presidio sanitario più vicino solitamente si procede con un'angioplastica per ripristinare il flusso di sangue "in questo modo se si è al di sotto delle sei ore di tempo dalla comparsa dei primi sintomi il cuore può riprendere appieno le sue funzioni" ha continuato il cardiologo. Inoltre, secondo il suo parere, il tragitto compiuto a piedi da Borghetti per arrivare all'ambulatorio del dott. Riccio e nuovamente dall'ambulatorio alla macchina, avrebbe costituito un ulteriore sforzo compromettendo ancor più la situazione. Insomma, le linee guida internazionali prevedono che in caso di infarto anche la guardia medica, sprovvista di defibrillatore e quindi impossibilitata ad attuare le procedure di emergenza, debba chiamare il 118 ed attendere i soccorsi. "C'è stata un'inerzia fra evidenze di carattere clinico ed una incapacità di bloccare il paziente in una situazione di rischio immanente" ha concluso il dott.Tricomi, ritenendo che sussista il nesso causale fra le procedure non avviate dal dott. Riccio e la conseguente morte di Luca Borghetti. Secondo una stima dell'anatomopatologo, nel caso in cui l'uomo fosse stato soccorso in tempo dagli specialisti del PS, poteva esserci almeno un 90% di possibilità che il paziente si rimettesse senza gravi conseguenze.