
Oltre ad averci reso tutti
virologi, dopo essere stati nei tempi scorsi ingegneri civili esperti di ponti all'epoca del crollo a Genova, o a turno costituzionalisti, mojitisti, allenatori della nazionale (questo sempre), il bailamme generato dal Coronavirus ha fatto uscire allo scoperto il talento nascosto e sinora colpevolmente non valorizzato degli
esperti di didattica.
L'esperto di didattica "duepuntozero" lo riconosci subito: se gli chiedi un appuntamento non squaderna una vetusta agenda moleskine in pelle nera traendo una stilografica dal taschino. No! Egli apre Google Calendar sul suo smartphone sincronizzato col suo laptop sincronizzato col pc della segretaria sincronizzata con l'agenda della vicepreside che al mercato mio padre comprò e controlla quali
slot settimanali ha liberi da
meeting,
call,
briefing, e
workshop (sovente pronunciato con la "
s" terminale, come le bestie di paese declinano al plurale le parole inglesi senza rendersi conto che si tratta di prestiti integrali, e nessuno che non voglia apparire figo a sproposito direbbe "
films"). §L'esperto di didattica è
easy,
friendly, aborre l'asimmetria docente-discente persino nel
dress code; niente giacca e cravatta o tailleur (per le docenti): occorre un
new deal informale.
L'esperto di didattica lo riconosci quando la lingua gli si impasta con gli anglismi di moda, perché la didattica oggi è
blended,
flipped,
cooperative, e non gli par vero che ci sia voluto un virus del cavolo per sdoganare la sua personale
learning platform open source per sostenere l'
home schooling.
L'esperto di didattica sostiene, difende, propugna la cosiddetta "
didattica a distanza" come un misirizzi: si apra una
chat con gli alunni, si crei una
virtual classrom, si faccia lezione in teleconferenza e nulla andrà perduto. Anzi. Da giovane, quando non esisteva ancora whatsapp, ebbi una fugace storia d'amore (un
flirt, direbbe il di cui sopra) con una mia altrettanto giovane amica. Ci scrivevamo lunghe teorie di sms sdolcinati, poetici, a volte persino un po' audaci (e suvvia!), come i sonetti e le canzoni degli Stilnovisti sull'amor di lontananza. Poi ci siamo baciati, e posso dire che era tutta un'altra cosa, perché una teleconferenza può anche andare, il telelavoro per certi àmbiti funziona, ma un "telebacio" non stimola le endorfine e tutte quelle belle cose che una relazione vera, occhi negli occhi, riesce a fare. Insegnare è un'esperienza estetica ed erotica. Non c'era bisogno che lo dicesse Massimo Recalcati ma citiamolo:
"Le parole sono vive, entrano nel corpo, bucano la pancia: possono essere pietre o bolle di sapone, foglie miracolose. Possono fare innamorare o ferire [...] sono corpo, carne, vita, desiderio [...]. La parola non si limita a uscire dal corpo ma ha un corpo. Cos'è allora, un'ora di lezione? È un incontro con l'ossigeno vivo del racconto, della narrazione, del sapere che si offre come un evento".
Io mi chiedo come tutto questo possa passare attraverso un file in pdf condiviso sulla piattaforma del registro elettronico, o un
videoclip di lezione caricato su youtube, senza che chi insegna possa cogliere il
feedback della classe, i ritmi, i respiri, le curiosità, la sorpresa di fronte a qualcosa di nuovo, lo sforzo di apprenderlo.
Si dirà che in casi estremi si devono trovare rimedi nuovi, e la necessità si fa virtù. Io vorrei sommessamente far notare che non si impara solo a scuola. Che quando la scuola viene meno per ragioni più grandi di lei non viene meno la curiosità dell'essere umano di apprendere, e che
i genitori a casa non sono dei meri istitutori domestici chiamati ad eseguire (male: non è il loro mestiere)
delle consegne che i docenti hanno diramato (male: avrebbero di gran lunga preferito lavorare di persona coi loro studenti) tramite le chat delle mamme.
I genitori (e i nonni, perché il carico di questa quarantena quaresimale delle scuole è perlopiù sul loro groppone)
possono insegnare molto ai loro figli anche senza gli input della scuola. Possono leggere con loro, costruire qualcosa, guardare insieme un film e poi riflettere su di esso, suonare la chitarra, fare una passeggiata, giocare, anche. Annoiarsi un po', perché la noia è importante. E poi esistono le biblioteche, esistono i musei, esistono i cinema! Ah no, mannaggia! Questo virus è intelligente: oltre ad avere un orologio da polso perfettamente sincronizzato che gli permetteva di puntare nei bar solo dopo le 18.00, ha anche un perfetto senso dell'orientamento e gli piacciono proprio i musei e le biblioteche, che sono vietatissimi. E si diffonde attraverso i gesti più belli che abbiamo: i baci, gli abbracci, le strette di mano. Non ama invece i centri commerciali (vallo un po' a capire!) e non riesce a travalicare la distanza di un paio di metri.
Non ce la fa, poverino...
Ho come l'impressione che questo virus e la cultura si assomiglino un po': ché per trasmettersi hanno bisogno di un incontro personale, di "corpo, carne, vita, ossigeno vivo", come dice Massimo Recalcati. In attesa che gli esperti di teledidattica sviluppino anche il televirus (il prefisso
tele- in greco significa "da lontano") dello
smartschooling: e allora non c'è distanza che riuscirà a proteggerci dal paradosso di una necessità elevata a virtù.
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