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Scritto Venerdì 15 ottobre 2010 alle 18:43

Viganò: la storia di Ibrahim, rifugiato politico della Costa d'Avorio ''assunto'' dal Comune

Ibrahim presso l'ufficio
tecnico di Viganò
Vive a Viganò da poco meno di un mese, si alza di buon’ora tutte le mattine per recarsi al lavoro presso gli uffici del municipio di via Risorgimento, sempre pronto a scambiare una parola o regalare un sorriso al primo passante.

Nulla di strano, fin qui, nella nuova vita di Ibrahim, cittadino ivoriano da poco approdato nel piccolo paesino brianzolo alla ricerca di un lavoro. Una storia comune a molti altri connazionali emigrati dal cuore dell’Africa in cerca di fortuna e di una nuova vita.

Il caso di Ibrahim è tuttavia decisamente più complesso. In Italia è giunto da rifugiato politico, dopo essere stato arrestato nel proprio Paese di origine, la Costa d’Avorio, con la semplice accusa di rappresentare l’opposizione al governo in carica dai primi anni del Duemila.

Lo abbiamo incontrato davanti alla sua scrivania al secondo piano del palazzo municipale, nelle stanze dell’ufficio tecnico dove dal 4 ottobre riveste il ruolo di “assistente” al geometra comunale, controllando conteggi e smistando documenti.
Un lavoro trovato grazie all’aiuto della cooperativa “La Grande Casa”, che ha potuto così offrire al cittadino ivoriano una prima occasione di “riscatto” dopo la fuga dal paese natale, lontano da moglie e figli.

La storia di questo “rifugiato” parte da lontano, dal cuore del continente africano. Dopo la laurea in economia conseguita presso un’università locale, Ibrahim ha avviato la professione di contabile, consentendogli si sposarsi e di avere due bambini. Parallelamente, così come avviene nel resto del mondo, accanto al lavoro iniziò ad inserirsi un’attività di tipo politico, in opposizione alla maggioranza locale.
“In Costa d’Avorio formalmente esiste una democrazia che però, di fatto, assume i caratteri del regime – ci ha spiegato l’ivoriano – per il solo fatto di rappresentare l’opposizione venni incarcerato per un anno e mezzo, lasciando soli mia moglie e i miei due figli. Una volta uscito nessuno volle più darmi un lavoro, in un clima sempre più pesante nei miei confronti. Decisi quindi di fuggire. Grazie all’aiuto di una dottoressa togolese riuscii a fuggire attraverso il confine con il Ghana, per poi imbarcarmi due anni fa su un volo diretto verso l’Italia.
Giunsi a Cremona, dove conobbi una persona disposta a ospitarmi. Iniziai a svolgere piccoli lavori di pulizia per le strade, cercando di guadagnarmi da vivere. Mio cugino, residente a Lecco, seppe della mia “fuga” e venne a cercarmi, portandomi in Brianza. Dopo aver avviato i contatti con La Grande Casa, mi fu proposto questo lavoro a Viganò, che accettai immediatamente”.


Una vicenda drammatica, fatta di dolore e di libertà negate, che ha spinto Ibrahim a lasciare in Costa d’Avorio la moglie e i due figli di 14 e 6 anni, impossibilitati a seguirlo oltreconfine.

“La mia famiglia è ancora laggiù. Prima mia moglie lavorava, dopo la mia incarcerazione nessuno l’ha più voluta assumere. Non so come riescano a vivere, ma ho dovuto andarmene. La speranza è quella di riuscire a trovare un lavoro che mi permetta di portarli via da quel paese, dove la democrazia è soltanto un’illusione”.


In Italia Ibrahim è riuscito ad ottenere un regolare permesso di soggiorno, grazie alla tenacia e alla forza di volontà che lo contraddistingue. “La prima richiesta l’ho presentata nel novembre del 2008, il permesso mi è stato rilasciato nel maggio del 2010. Nel frattempo mi sono dovuto arrangiare, continuando a trovare lavori precari per guadagnarmi da vivere. Fortunatamente nel mio cammino ho incontrato molte persone buone e gentili, disponibili e pronte a darmi una mano. In questo sono stato molto fortunato: anche a Viganò ho trovato persone disposte ad aiutarmi, a darmi un conforto, a spingermi ad andare avanti nonostante tutto. Questo per me è molto importante, specie adesso che il mio figlio maggiore si è ammalato e più che mai ha bisogno di me. L’Italia è un grande paese, con umiltà sto cercando di farmi una nuova vita, imparando la vostra lingua e lavorando onestamente. Vorrei iscrivermi all’università, dal momento che il mio titolo ivoriano qui non ha alcun valore. È dura, ma ho fiducia”.

Tra i sostenitori di Ibrahim, già molto conosciuto e benvoluto in paese, vi è il primo cittadino Renato Ghezzi, in prima linea nel tentativo di aiutare il rifugiato e i suoi familiari. “Il suo lavoro qui è appena iniziato, ma da subito ha dimostrato impegno e dedizione. La sua storia personale non è certo facile, ma nonostante tutto sta dimostrando una grande forza d’animo e una volontà invidiabile”.
R.B.
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