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Scritto Sabato 14 maggio 2011 alle 16:47

Davigo: ''Non è vero che così fanno tutti. Io non rubo, tu neanche, siano già in due''

Ieri sera, dalle 21:00 a mezzanotte, si è tenuto a Pescarenico un incontro con il Consigliere della Corte di Cassazione ed ex membro del pool di Mani Pulite, Piercamillo Davigo. L'incontro, organizzato da Qui Lecco Libera, ha visto la partecipazione di più di trecento persone. Duccio Facchini, uno dei ragazzi di Qui Lecco Libera, ha cominciato con una domanda per rompere il ghiaccio - "Come giudica la situazione italiana dell'informazione, o della disinformazione, in merito alla giustizia?"

Al centro Davigo tra gli organizzatori dell'incontro

La risposta di Davigo è stata piuttosto esauriente. "Se si vuole parlare seriamente della giustizia, bisogna capirne i veri problemi e le soluzioni che si possono adottare per risolverli. I problemi della giustizia sono molteplici, ma il principale consiste nella durata dei processi causata, non come dice qualcuno, dalla pigrizia dei giudici, ma dal numero troppo elevato dei processi stessi. Per risolvere questo problema bisogna incidere sulla domanda di giustizia, che va abbassata diminuendo il numero del reati, e introducendo norme come la reformatio in peius (la facoltà del giudice di appello di aggravare la condanna, e non solo di cancellare, diminuire o confermare la pena, così da disincentivare i ricorsi che contribuiscono ad aumentare enormemente la durata dei procedimenti). Questi sono i veri problemi della giustizia e i modi concreti per tentare di risolverli. Invece l'informazione e la politica si occupano principalmente di altre questioni: quando si parla di riforma della giustizia, ad esempio, si discute della riforma della figura del pm, che dovrebbe diventare l'avvocato dell'accusa (come se il lavoro dell'avvocato e quello del pm fosse lo stesso) e della separazione del pm dalla polizia giudiziaria (che sarebbe sottoposta al governo); questo tipo di riforma, tuttavia, non inciderà assolutamente sui veri problema della giustizia: la durata dei processi e sul loro numero, ma la politica e l'informazione si occupano di ciò".

Davigo ha poi continuato parlando della criminalità. "Ci hanno raccontato per anni che la criminalità di strada è il problema dell'Italia. Naturalmente tutti noi pensiamo che i borseggiatori stiano bene in carcere, ma non credo che si possa paragonare la loro attività criminale con i crimini dei colletti bianchi. Il processo Parmalat, ad esempio, vede coinvolte 40000 vittime. Quanto ci mette un borseggiatore a fare 40000 vittime? Una vita! Senza contare il fatto che in una borsa può trovarci al massimo la pensione appena ritirata, mentre nel caso Parmalat ci sono persone che hanno visto scomparire i risparmi di tutta una vita. Eppure le carceri sono piene di delinquenti di strada, mentre i grandi manager bancarottieri quasi mai vi mettono piede, anche se condannati".

La seconda domanda verteva sulla corruzione, reato in cui il magistrato si imbatté all'epoca di Tangentopoli. Davigo ha spiegato che la corruzione è un reato difficile da colpire, perché ha una "cifra nera" enorme (il rapporto fra i reati commessi e quelli denunciati), dovuta al fatto che si tratta di un reato a vittima diffusa (la collettività ne è colpita, ma non c'è chi si sente direttamente colpito e quindi denuncia), ed è caratterizzato dalla serialità (il corruttore e il corrotto tendono a compiere più volte il reato) e dalla diffusività (tende a contagiare sempre più persone di un certo ambiente, fino a rendere gli onesti una minoranza). Per tutte queste ragioni, scovare la corruzione è difficile, tanto che spesso i magistrati si imbattono in essa indagando su altri reati. I principali reati che portavano alla scoperta della corruzione erano i reati finanziari (annotazioni per false operazioni inesistenti) o abuso d'ufficio. Non è un caso, secondo Davigo, che proprio questi reati siano stati depenalizzati da maggioranze di centrodestra e centrosinistra nel corso degli ultimi sedici anni. Si tratterebbe di una generale (e trasversale) insofferenza, da parte della politica, per il controllo di legalità.
Il dibattito è continuato con le domande dal pubblico, che hanno spaziato dall'attualità (legittimo impedimento), al passato (tangentopoli), alla giustizia in generale. "La Gran Bretagna spende gli stessi soldi dell'Italia per la giustizia penale. La Gran Bretagna, con quei soldi, fa 300000 processi e ha stabilmente circa 100000 detenuti; l'Italia fa tre milioni di processi, e quando ha 60000 detenuti ha bisogno di un indulto perché le carceri sono sovraffollate".

 


Le parole di Davigo dipingono un'immagine sconsolante del sistema giudiziario italiano: un'enorme e costosissima macchina che gira a vuoto. Sconsolante è anche l'immagine della politica, che sembra non essere in grado (o, peggio, non volere) risolvere seriamente i suoi problemi, visto che tutti i provvedimenti adottati negli ultimi venti anni hanno portato proprio all'aumento dei tempi dei processi.
Di fronte a questo scenario tutt'altro che ottimistico, Davigo avverte, però, di non cadere nel facile qualunquismo del "Sono tutti uguali. Rubano tutti." "Quando qualcuno mi dice così" - ha detto il magistrato - "io gli chiedo sempre: quindi rubi anche tu? e quando questo mi risponde di no gli dico: Bene! Allora siamo già in due. Visto che non tutti rubano? Per questo che bisogna fare i processi, per stabilire chi ruba e chi no!".
Infine, dal pubblico, è giunta un'ultima domanda. "Di fronte a questo panorama, l'inutilità di questa giustizia, dove trova la forza di andare avanti a lavorare, ben sapendo che il suo lavoro è spesso inutile, o addirittura dannoso?". La risposta di Davigo è stata pronta e decisa, come se in tanti gli avessero posto quella stessa domanda prima di allora "Credo che ognuno di noi debba fare al meglio delle proprie capacità quello che gli è toccato in sorte di fare, senza pensare alle possibili conseguenze. Se ognuno di noi facesse così, sono certo che il mondo andrebbe meglio".

Davide Colombini
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