L'Irap, l'imposta regionale sulle attività produttive, che colpisce paradossalmente le aziende con più dipendenti, al di là del risultato d'impresa (già di per sé una follia) vale 8 miliardi in Lombardia. Meno di quanto, come dicevamo prima, i comuni lombardi hanno depositato a interessi zero presso la Cassa depositi e Prestiti. Merate dispone di 5 milioni di euro, frutto delle entrate tributarie dei meratesi. Potrebbe finanziare servizi a costo ridottissimo per l'utenza. Oppure investire in opere pubbliche. O ancora ridurre sensibilmente la fiscalità locale. Invece non può fare nulla di tutto ciò perché i soldi sono bloccati dal Patto.
La Lombardia ha dieci milioni di abitanti e tremila dipendenti regionali; la Sicilia ha la metà della popolazione e trentamila dipendenti. Può farlo perché è una regione a statuto speciale qualifica che le consente, tra l'altro, di trattenere il 100% delle tasse pagate dai siciliani. Se anche la Lombardia fosse una regione a statuto speciale il bilancio regionale non sarebbe di 23 miliardi ma di 80 miliardi con i quali sarebbe possibile abolire un'infinità di tasse, balzelli e ticket sanitari. Pensiamo quante situazioni si potrebbero sanare con 1 miliardo di risorse in più ogni settimana.
Purtroppo i lombardi hanno perso, semmai l'hanno avuta, la capacità di ribellarsi, di operare resistenze passive, scioperi fiscali e tutto quanto serve per ristabilire l'uguaglianza delle regioni davanti allo Stato. Merate non beneficia in pratica di alcun trasferimento dallo Stato ma lo scorso anno ha dovuto devolvere soldi propri, per un milione di euro, al fondo di solidarietà. In pratica ha donato soldi ad altri comuni certamente non virtuosi.
Ebbene in un quadro simile, anziché chiedere alle nostre rappresentanze parlamentari di smetterla di obbedire ai partiti e di scaldare le poltrone, da Lupi a Fragomeli passando per la Tentori e di attuare tutto quanto è possibile per ottenere giustizia, avviamo processi di fusione tra comuni che esistono storicamente da secoli. Cancelliamo entità di riferimento, come i municipi, per accentrare tutto in grandi strutture, sicuramente più lontane dai cittadini, più anonime, come i grandi ospedali paragonati ai medi come il Mandic. Cancelliamo feste di paese, sagre, tradizioni, ricorrenze, festeggiamenti, ricordi anche tristi e dolorosi, insomma uccidiamo la nostra storia per la maggior gloria di Roma Capitale (e di Napoli e di Palermo ecc. ecc.).
No caro Giovanni, forse le nostre idee sono superate dalla modernità, o dall'indifferenza che caratterizza le nuove generazioni rispetto alla storia del paese in cui vivono. Ma restiamo convinti difensori dell'autonomia di ciascun comune, dell'identità di ogni comunità. Al contrario siamo da tempo persuasi che se non si riprendono i grandi temi dell'autonomia e dell'indipendenza assisteremo al progressivo degrado anche delle nostre imprese, massacrate da carichi fiscali che non consentono più nemmeno di investire nella manutenzione ordinaria degli impianti. E ai "nostri" nipoti non resterà che andare a lavorare per i cinesi. Come già fanno tanti "nostri" figli. Senz'altra alternativa.