Cassago: Milena Bracesco e Rosella Stucchi raccontano la storia dei loro padri, protagonisti della Resistenza, alla media 'Fermi’
Due donne e un cuore solo, che batte per la libertà e i diritti. Milena Bracesco vicepresidente del comitato antifascista Aned Monza-Sesto S. Giovanni e Rosella Stucchi, presidentessa ANPI dello stesso territorio, sono state ospitate nella mattinata di sabato 22 aprile presso la scuola secondaria di primo grado "Enrico Fermi" dell'Istituto "Agostino d'Ippona" a Cassago Brianza. Grazie alle loro testimonianze gli studenti delle classi terze hanno scoperto il significato della Resistenza partigiana in Italia nella lotta di liberazione dai nazi-fascisti.
Cresciuto durante il ventennio fascista, in cui era vietata la libertà di pensiero e di parola, Enrico Bracesco aveva lavorato alla Breda di Sesto San Giovanni: "Mio papà era un operaio specializzato, un attrezzista per un'azienda che produceva aerei, treni ma anche armi in tempo di guerra. È dalla fabbrica che è nato l'antifascismo, che già respirava in famiglia".
Durante la lotta partigiana, a seguito della pubblicazione dell'armistizio avvenuta l'8 settembre 1943, Enrico Bracesco era addetto al trasporto di armi tra la città e le montagne: "Era un corriere e spesso partita con viveri, coperte ma anche armi che servivano ai partigiani del lecchese e sulle montagne. Era il novembre 1943 e, nel tornare a casa, è stato inseguito dalla polizia fascista. L'anno prima era stato processato per aver organizzato uno sciopero in fabbrica. Era tenuto d'occhio. Quella notte era alla guida di un moto-furgone, che si è capovolto e gli ha tranciato la gamba destra. Accompagnato all'ospedale San Gerardo dal suo compagno, ha subito un'amputazione. Da quello che mi è stato raccontato, perché ero troppo piccola per ricordare, era tra la vita e la morte ma è riuscito a cavarsela. In ospedale, nello stanzone, c'erano però anche delle spie fasciste che osservavano tutte le persone che andavano a fargli visita. Così è scappato e si è nascosto da parenti a Milano. È stato però visto e individuato dalle spie, che lo hanno catturato e portato prima al carcere di Monza e poi al San Vittore di Milano".
Come ha scritto nel suo libro "Tornim a baita", che significa "torniamo a casa" secondo la frase detta dai generali ai soldati al termine della ritirata dai territori russi, il soldato Stucchi è riuscito fortunatamente a rientrare in Italia dopo l'estenuante campagna voluta dal fascismo: "L'8 settembre del 1943 mio papà si trovava in Alto Adige. Alle due di notte ha sentito delle urla e l'arrivo dei tedeschi, che hanno arrestato quanti più italiani potevano per deportarli in Germania. Mio padre si è salvato perché è riuscito a nascondersi sotto una tettoia. A piedi dall'Alto Adige è andato in Valtellina. Inizialmente è tornato a casa riprendendo la sua professione di avvocato, ma poi è andato a Milano per vivere in clandestinità perché i nazifascisti erano sulle sue tracce" ha raccontato la figlia Rosella.
Una scelta rischiosa ma di grande responsabilità, dunque, quella che ha portato il monzese a diventare partigiano. Al termine della guerra, Stucchi è stato poi eletto deputato nelle file del Psi dal 1953 al 1958 ricoprendo per quasi trent'anni anche la carica di consigliere comunale a Monza. Ha trascorso gli ultimi anni di vita nella stesura delle sue memorie.
Da sinistra Milena Bracesco, il vicepreside della scuola media professor Cesare Montagna,
il professor Gianluca Alzati, Rosella Stucchi e il sindaco di Cassago Rosaura Fumagalli
Cresciuto durante il ventennio fascista, in cui era vietata la libertà di pensiero e di parola, Enrico Bracesco aveva lavorato alla Breda di Sesto San Giovanni: "Mio papà era un operaio specializzato, un attrezzista per un'azienda che produceva aerei, treni ma anche armi in tempo di guerra. È dalla fabbrica che è nato l'antifascismo, che già respirava in famiglia".
Durante la lotta partigiana, a seguito della pubblicazione dell'armistizio avvenuta l'8 settembre 1943, Enrico Bracesco era addetto al trasporto di armi tra la città e le montagne: "Era un corriere e spesso partita con viveri, coperte ma anche armi che servivano ai partigiani del lecchese e sulle montagne. Era il novembre 1943 e, nel tornare a casa, è stato inseguito dalla polizia fascista. L'anno prima era stato processato per aver organizzato uno sciopero in fabbrica. Era tenuto d'occhio. Quella notte era alla guida di un moto-furgone, che si è capovolto e gli ha tranciato la gamba destra. Accompagnato all'ospedale San Gerardo dal suo compagno, ha subito un'amputazione. Da quello che mi è stato raccontato, perché ero troppo piccola per ricordare, era tra la vita e la morte ma è riuscito a cavarsela. In ospedale, nello stanzone, c'erano però anche delle spie fasciste che osservavano tutte le persone che andavano a fargli visita. Così è scappato e si è nascosto da parenti a Milano. È stato però visto e individuato dalle spie, che lo hanno catturato e portato prima al carcere di Monza e poi al San Vittore di Milano".
Milena Bracesco e Rosella Stucchi
Lì Enrico Bracesco è rimasto per pochi mesi, con poco cibo, fino a quando nella primavera del 1944 è stato caricato sui vagoni piombati alla stazione Centrale ed insieme ad altri 305 oppositori politici è stato portato al campo di concentramento di Fossoli, nei pressi di Modena. Altro viaggio della morte, poi, fino a Bolzano e ancora, per tre giorni e due notti, fino a Mauthausen, con l'arrivo il 7 agosto. "Da quel giorno le testimonianze si perdono perché nessuno lo ha più visto. Abbiamo due date della sua morte e sappiamo solo che è salito su un pullman fino al castello di Hartheim, da cui nessuno è più uscito vivo. Mio padre aveva le stampelle e i suoi compagni credevano che a lui potesse essere riservato un migliore trattamento. Così invece non è stato".Il sindaco Rosaura Fumagalli
Doloroso, per Milena, raccontare del luogo tremendo in cui i nazisti avevano dato vita all'esperimento Aktion T4 seguendo la folle idea di purezza della razza ariana di Hitler. Un programma tremendo di eutanasia su disabili, sia fisici che mentali, attuato da medici assassini. Diversa, seppur altrettanto forte e drammatica, la vicenda dell'antifascista e partigiano Giovanni Battista Stucchi, padre della signora Rosella, il quale ha preso parte alla campagna di Russia. "Mio papà era contrario alla battaglia ma era obbligato a partecipare, altrimenti finiva in prigione. Poteva farsi raccomandare da un comandante, ma ha scelto diversamente. A 17 anni aveva combattuto nell'esercito durante la prima guerra mondiale e si è fatto un esame di coscienza: sapeva che il fascismo era una sciagura e che si potevano vivere momenti migliori. Così ha scelto di combattere a fianco dei nuovi giovani per un futuro migliore" ha riferito la donna. All'età di 44 anni il monzese è così riuscito a resistere ad una temperatura di 40 gradi sotto zero: "Lui incitava i compagni, li obbligava a muoversi nella steppa perché fermarsi voleva dire morire. Faceva la staffetta, ossia il porta ordini dalle prime file dei comandi fino in fondo. Questo lo ha salvato insieme alla sua prudenza: none vitava i pericoli, ma li affrontava con grande attenzione e preparazione".Come ha scritto nel suo libro "Tornim a baita", che significa "torniamo a casa" secondo la frase detta dai generali ai soldati al termine della ritirata dai territori russi, il soldato Stucchi è riuscito fortunatamente a rientrare in Italia dopo l'estenuante campagna voluta dal fascismo: "L'8 settembre del 1943 mio papà si trovava in Alto Adige. Alle due di notte ha sentito delle urla e l'arrivo dei tedeschi, che hanno arrestato quanti più italiani potevano per deportarli in Germania. Mio padre si è salvato perché è riuscito a nascondersi sotto una tettoia. A piedi dall'Alto Adige è andato in Valtellina. Inizialmente è tornato a casa riprendendo la sua professione di avvocato, ma poi è andato a Milano per vivere in clandestinità perché i nazifascisti erano sulle sue tracce" ha raccontato la figlia Rosella.
Una scelta rischiosa ma di grande responsabilità, dunque, quella che ha portato il monzese a diventare partigiano. Al termine della guerra, Stucchi è stato poi eletto deputato nelle file del Psi dal 1953 al 1958 ricoprendo per quasi trent'anni anche la carica di consigliere comunale a Monza. Ha trascorso gli ultimi anni di vita nella stesura delle sue memorie.
S.A.