Nel triangolo dei suicidi-omicidi dove manca un’attività fattiva dei servizi sociali ormai sempre più appaltati alle coop. di servizio

Dr. Enrico Magni
Psicologo, psicoterapeuta, specialista in criminologia
Sotto il cielo inquinato ai piedi delle Prealpi  lombarde sono ricorrenti degli eventi che mettono di discussione lo stato del benessere sociale ed economico.  Dentro a questo benessere ci sono sacche di povertà, di miseria che sono tenute il più possibile ai margini del mito asburgico della ricca e produttiva Lombardia. Poi si assiste a eventi ricorrenti di omicidio-suicidio familiare.
E’ facile e semplice ricostruire un calendario di questi omicidi stando solo sull’asse triangolo Monza-Varese-Sondrio. In questo triangolo si registrano (proporzionalmente) più suicidi singoli e omicidi familiari che in tutte le altre località.
L’omicidio-suicidio familiare di Como è l’ultimo, sono solo passati due anni da quello di Chiuso, Lecco. C’è sempre una costante che riemerge, è quella di una mancanza attiva, fattiva e non ricattatoria e sicuritaria dei servizi sociali ormai completamente appaltati alle varie coop di servizio e centrati a svolgere una funzione normativizzante per il controllo sociale.
La politica proposta dal centralismo regionale e dei comuni è lontana da quelle che sono le stratificazioni complesse e dinamiche di questa società frantumata. La frantumazione è una caratteristica della società a valle delle Prealpi Orobiche perché è più speculare al conflitto globalizzazione localizzazione.
I motivi che portano a un familicidio (omicidio in ambito familiare) sono vari: condizione sociale, economica, povertà, vendetta, gelosia, impotenza, disagi psicopatologici.
I fattori ambientali, sociali, economici e psicologici sono importanti e interindipendenti l’uno dall’altro.
Quando c’è un omicidio familiare vuol dire che l’omicida sta vivendo  un processo cognitivo ed emozionale distorto e distorcente.
In sostanza l’omicida vive una condizione soggettiva distorta, tutto quello che gli sta attorno è elaborata in modo distorcente. La realtà, le condizioni affettive, economiche, sociali sono sottoposte a una deformazione; le emozioni, i fatti, le relazioni sono costantemente interpretate per confermare il pensiero deformato e deformante.
L’oggetto che motiva l’azione omicida cambia in funzione di chi è l’agente dell’atto. La motivazione dell’atto omicidario della madre nei confronti dei figli o del marito va ricercata in una costellazione psicologica diversa dall’atto omicidario del padre: il ruolo, il genere sono importanti e sono distinguibili.
C’è però una costante omicidaria che è presente negli stessi attori familiari. E’ la costante dell’appartenenza, dell’unicità, dell’identità, del possesso, dell’essere una cosa unica che vive solo se riesce a stare in simbiosi con se stessa vivendo in uno stato fusionale inscindibile: l’uno non può vivere senza l’altro (uno per tutti e tutti per uno). Questo è il dato costante e di base che ricompare.
Il padre che uccide i figli,  perché è in uno stato di povertà materiale, perché è senza lavoro, perché si sente abbandonato dai servizi sociali d’assistenza, è convinto che senza di lui non c’è possibilità di soluzione per i suoi figli, per la sua famiglia: lui è la vita, lui è la morte.        
Dr. Enrico Magni
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