'Nostra Famiglia': l'atleta paralimpico della nazionale De Pellegrin incontra gli studenti

Oscar De Pellegrin
Giovedì pomeriggio lo sport e la disabilità si sono incontrati alla Nostra Famiglia: il campione paralimpico Oscar De Pellegrin ha parlato ai ragazzi della scuola ospedaliera della sua incredibile storia, fatta di delusioni, sconfitte ma anche vittorie e grandi soddisfazioni. “So che siete tutti appassionati di sport e questa cosa mi fa piacere: è importante alla vostra età, ma è anche fondamentale non far spegnere le passioni che si accendono, cosa che può accadere se non c'è un impegno costante. Io non avevo mai fatto molto sport da giovane, ma avevo un fisico atletico, ero alto 1.90 m e, dopo la scuola, avevo trovato lavoro in un'officina. A 21 anni purtroppo sono finito sotto un trattore, quindi non sono più riuscito a camminare e da allora sono costretto alla sedia a rotelle. A causa della mia disabilità, mi sono accorto della discriminazione che viene rivolta a chi ha questi problemi, ma vorrei invitare voi, che siete il nostro futuro, a cambiare le cose” ha detto lo sportivo. Il messaggio principale che ha voluto trasmettere ai giovani studenti è che si può e si deve sempre osare, perché c'è vita anche dopo la disabilità: è una vita diversa, ma è giusto includere nella società chi ha queste difficoltà. “Io mi sento molto fortunato, anche solo per la possibilità che ho di parlare coi giovani della mia esperienza; probabilmente non l'avrei avuta se non fossi diventato disabile. Ma dovete sapere che chi, come me, ha queste caratteristiche, è come una 500, mentre chi non ha nessuna disabilità è come una Ferrari: apparentemente è questa la vettura con più potenziale, ma la vera benzina sono l'impegno e il sacrificio” ha continuato De Pellegrin. Nel suo libro “Ho fatto centro”, che è riuscito a pubblicare grazie alla collaborazione di diverse persone, l'olimpionico ha parlato soprattutto dello sport come terapia: per lui è stato un mezzo per uscire di nuovo di casa dopo l'incidente, perché all’inizio pensava che fosse meglio farla finita e arrendersi al dolore. Ma si è appassionato prima all'atletica leggera, poi al tiro a segno e infine al tiro con l'arco, vestendo solo sei anni dopo la tragedia, nel 1990, la maglia azzurra. “Lo sport è divertimento, condivisione, ma anche la soddisfazione di trionfare dopo un intenso impegno. La medaglia più bella non è né d'oro, né di bronzo, ma è ritrovare la voglia di vivere dopo un infortunio così terribile grazie allo sport” ha affermato il campione. I ragazzi presenti sono rimasti affascinati dalle sue parole e gli hanno fatto molte domande: ad esempio, com'è sentirsi il primo al mondo? “È una bella sensazione, perché hai raggiunto un risultato importante, ma poi la mente è sempre proiettata al successivo, perché non bisogna mai adagiarsi sugli allori. Il risultato si raggiunge sempre dopo le sconfitte, quindi imparate ad accettarle per crescere, migliorare e ripartire ancora più forti” ha risposto. La sua passione per l’arco non è nata durante quella che ha chiamato la sua prima vita; quindi, la seconda vita è stata molto più appagante, perché lo ha avvicinato a un mondo prima nemmeno immaginato.

Al termine dell'incontro - al quale hanno partecipato anche i bambini dell'istituto comprensivo di Bosisio - il campione ha mostrato un video in cui ha raccolto fotografie della sua vita, per dimostrare che lo sport ha spalancato per lui nuovi orizzonti. La disabilità non è stata un ostacolo per l'atleta, ma un mezzo per raggiungere persone, idee, luoghi. “Le paralimpiadi di Londra sono state il coronamento di una carriera, anzi, di una vita intera. Poi mi hanno rubato la medaglia, ma dopo quattro mesi un collezionista l’ha ritrovata in Albania e me l’ha riportata. Per me è stato un bel gesto, perché questa medaglia aveva un valore affettivo importante, ma soprattutto perché ho capito che ovunque si vada, ci sono persone buone e di valore, che bisogna amare e accettare senza discriminazioni”.

Infine, lo sportivo ha condiviso la sua esperienza di genitore di un figlio con difficoltà cognitive: “I 32 anni del mio matrimonio sono il trait d'union tra le mie due vite. Mia moglie ha voluto restarmi accanto nonostante il mio incidente, così dopo diversi anni insieme abbiamo provato a fare alcuni esami per capire se avremmo potuto avere un figlio. Ma sono emersi problemi a causa della mia disabilità, quindi abbiamo deciso di adottarne uno: è un ragazzo rumeno, che era in un orfanotrofio e non era assolutamente autonomo. Abbiamo fatto fatica a crescerlo, ma mi sento il genitore più felice della terra: nonostante mio figlio abbia fatto molta fatica a scuola, ora ha iniziato a lavorare e troverà sicuramente il suo posto nel mondo. La scuola deve aiutare famiglie come la mia, perché questi ragazzi insegnano tanto, ma non sono ancora sufficientemente capiti”. De Pellegrin e i membri del suo staff hanno concluso il bel pomeriggio invitando tutti al campionato paralimpico di tiro con l’arco che si terrà a Cologno Monzese nel week end: una bella occasione per vedere all'opera grandi campioni nello sport e nella vita.
R.S.