Oggiono: la vedova Borgonovo racconta 8 anni d'amore e di SLA con il suo Stefano
Chantal Borgonovo, moglie del noto calciatore morto di SLA nel 2013, non è nuova a Oggiono: era già venuta a marzo in biblioteca, per presentare il libro "La mia vita in gioco". Proprio per questo, il parroco Don Maurizio Mottadelli ha deciso di riproporre l'incontro: i contenuti affrontati e l'esempio di amore mostrato dai coniugi Borgonovo, nonostante le difficoltà, meritava particolare attenzione. Quindi, la quarta serata del ciclo di incontri "Adamo dove sei?" ha ospitato la vedova Borgonovo e la giornalista Mapi Danna, coautrice del libro. "Avevo ricevuto indicazioni dal mio direttore editoriale presso Mondadori a proposito di una grande storia d'amore, da scrivere per il progetto "Love books". Quando incontrai Chantal pensavo che sarebbe stato facile, ma mi resi conto che non sapevo nulla della storia fra questa donna così forte e il marito, benché ne fosse noto a tutti il tragico epilogo. Chantal aveva trovato finalmente la forza di condividere la sua storia e da questo incontro è nato un romanzo. Vi invito a guardare queste foto: la relazione tra Chantal e Stefano si è sempre mantenuta viva, nonostante tutto, perché lo sguardo di Chantal è stato sempre lo stesso di quando aveva 15 anni: pieno di desiderio e amore" ha esordito la giornalista milanese.
Da sinistra il parroco Don Maurizio Mottadelli, Chantal Borgonovo e Mapi Danna
Erano due anni che Chantal Borgonovo voleva raccontare la sua storia d'amore con Stefano, incontrato a 15 anni per poi passarne insieme 31. Più volte si era chiesta a chi potesse interessare sapere qualcosa di più di loro, finché non ha trovato il coraggio di parlarne. "Siamo usciti in compagnia di amici per due anni e poi ci siamo fidanzati. Stefano ha esordito come calciatore a 17 anni nel Como: era di Giussano e amava davvero tanto questo sport. Ci siamo sposati giovani e abbiamo girato l'Italia, perché lui cambiava spesso squadra. Abbiamo avuto quattro figli ed eravamo al colmo della felicità e del successo. Altre coppie formate da giocatori di calcio si separavano dopo aver smesso di giocare, ma noi non ci siamo mai lasciati" ha aggiunto Chantal Borgonovo. Nella copertina del libro, la donna è alla guida di un'auto, così come ha guidato la famiglia dopo la tragica notizia della malattia contratta dal marito. Chantal ha sempre seguito e incoraggiato i sogni di Stefano e quando non gli è stato più possibile condurre una vita normale, ha continuato a tenere le redini della famiglia. "Stefano, dopo aver smesso di giocare, ha aperto una scuola calcio a Giussano e si preparava a vivere una vita serena. Ma nell'ottobre 2005 ha iniziato ad avvertire i primi disturbi, che inizialmente erano quasi impercettibili. Quando l'ho obbligato a sottoporsi a una visita, l'esito è stato tremendo: si trattava di SLA. La notizia è stata come una bomba per noi: la diagnosi si è rivelata veramente severa in un momento difficile come quello, con un figlio di 17 anni, una di 15, una di 5 e una di 3. Mano a mano la situazione è peggiorata, tanto che Stefano è arrivato a muovere solo gli occhi. Chiaramente ha vissuto molti momenti di sconforto, faticando all'inizio ad accettare la sua malattia, ma non si è mai arrabbiato: era una persona matura ed equilibrata, che ha affrontato la situazione in maniera egregia. Un giorno mi ha detto che temeva che lo avrei abbandonato, e allora sono stata io ad arrabbiarmi: non avevo intenzione di lasciarlo e non sono mai stata la sua badante o la sua infermiera, piuttosto sempre una moglie per lui. Litigavamo anche, lo trattavo senza compassione e questo forse lo ha aiutato a non sentirsi mai un malato" ha raccontato la Borgonovo. A un certo punto l'ex calciatore è arrivato a non respirare più e bisognava decidere se tracheomizzarlo o lasciarlo lentamente morire. Quello è stato il momento in cui Chantal lo ha sposato per la seconda volta: "eravamo in rianimazione al Niguarda perché Stefano aveva avuto una crisi respiratoria che avrebbe potuto portarlo alla morte. Il medico mi ha chiesto se volessi tentare di rianimarlo o no: quel momento in cui ho dovuto decidere è stato per me eterno. Non avevamo mai parlato di morte, benché sapessimo che la malattia si sarebbe conclusa così. Avevo in mano parte del destino di mio marito, ma mi aiutò pensare al fatto che lui era ancora nel pieno delle facoltà intellettive, sebbene il corpo lo stesse tradendo. Ho deciso quindi di tentare di rianimarlo, sebbene ci fosse il rischio che non servisse a tenerlo in vita. Penso che lui abbia voluto lasciare a me la decisione, perché sapeva che ero sola e per me sarebbe stata dura. Alla fine si è svegliato e gli hanno detto che sarebbe sopravvissuto solo con un ventilatore. Inizialmente Stefano non ha detto cosa voleva fare; glielo hanno richiesto e a quel punto ha risposto, muovendo le palpebre, che voleva continuare a vivere. E infatti è vissuto ancora cinque anni, dopo essere stato tre mesi in ospedale. Una volta dimesso, Stefano è diventato un'altra persona: non si è nascosto più, ha vissuto la quotidianità appieno, ha ripreso i numerosi contatti che aveva prima ed è entrato nello stadio di Firenze nel 2008 con nostra figlia Alessandra. Facendosi vedere, ha voluto svelare che la malattia non aveva distrutto l'uomo" ha detto la vedova Borgonovo. L'ex calciatore si era isolato per due anni, perché si vergognava, aveva paura e non accettava di aver bisogno di aiuto. Ma durante l'incoscienza della crisi respiratoria aveva detto alla moglie di aver visto una figura femminile, che gli aveva rivelato che non era il suo momento e che doveva continuare a vivere. "Lui era molto credente e forse si era attaccato alla vita nuovamente perché aveva visto la morte in faccia. In soli 18 mesi il corpo lo aveva abbandonato e si vergognava anche con me. Poi invece si è riaperto al mondo, prima con un'intervista in TV e poi entrando nello stadio fiorentino. Così facendo, si è portata all'attenzione una malattia che prima non si conosceva molto, sebbene oggi ne soffrano 5000 italiani. Tutti gli spettatori dello stadio erano commossi, mentre io sorridevo perché finalmente eravamo tornati alla luce del sole. Stefano ha poi scritto un libro e diversi articoli, ha fatto il padre e il marito e ha capito che si può trovare una missione e un talento in ogni situazione. Le sue gambe non rispondevano più, ma poteva ancora dare tanto al mondo" ha detto Chantal Borgonovo. Anche i figli hanno avuto una parte fondamentale: Andrea, il pià grande, all'inizio non accettava la malattia del padre, però si era preso un impegno tutte le sere. Alle 23, ovunque si trovasse, tornava a casa e sollevava il padre dalla poltrona, dove lo aveva messo di giorno, per portarlo a letto.
È stato un apporto significativo, dato che all'inizio Stefano non voleva una badante. Si era ammalato a 41 anni e non poteva accettare di essere lavato, vestito, aiutato da altri, proprio lui, che era stato un calciatore. La seconda figlia, Alessandra, invece si rendeva utile preparando la cena per sorelline, mettendole a letto e poi facendosi coinvolgere nella fondazione. "A un certo punto Stefano doveva stare sempre a letto, quindi lo abbiamo messo in un soggiorno, dove aveva una sala hobby e riceveva gli amici. Non poteva più uscire, quindi gli abbiamo portato il mondo dentro casa. Aveva un computer particolare, che gli permetteva di chiamare al telefono e navigare su Internet, usando solo gli occhi. Abbiamo vissuto cinque anni così e sono stati belli, tutto sommato, tanto che a volte li rimpiango" ha sottolineato Chantal Borgonovo. La morte è sopraggiunta per Stefano durante l'estate 2013: non voleva che i suoi ragazzi perdessero l'abitudine di andare al mare, anche se ogni vacanza era un vero trasloco, perché bisognava portare tante apparecchiature ed erano coinvolte molte persone per gli spostamenti. "In quel periodo era necessario cambiare la cannula del ventilatore ogni due mesi, per evitare infezioni. Ma era rischioso per Stefano, perché poteva anche morire durante l'operazione. Io ero partita al mare con mia figlia Benedetta e proprio quella volta il cambio della cannula si è rivelato fatale. Alessandra me lo ha comunicato per telefono e per me è tuttora un cruccio non esserci stata in quel momento. Ma forse è stato meglio così e credo che i miei figli abbiano voluto proteggermi" ha concluso la Borgonovo. Il libro "La mia vita in gioco" è ormai giunto alla terza edizione e ha vinto il Premio Zanibelli, promosso da una casa farmaceutica per dimostrare che la medicina, in questi casi, non basta: serve anche l'amore, la relazione, la vicinanza della famiglia. Le autrici stanno facendo molte presentazioni nelle scuole e nelle università e si sono accorte che ai ragazzi il libro piace davvero, perché trasmette un bel messaggio e racconta una storia positiva e di speranza, più che di malattia.
Roberta Scimè