Molteno: viaggio nella casa per la cura delle dipendenze tra le mura della CAL che si occupa di reinserimento sociale

La comunità accoglienza e lavoro (CAL), nata nel febbraio del 1986 su impulso di Amelia Rivolta, compie questo mese 33 anni. Oggi come allora le esigenze sono tante: le competenze sempre più specializzate negli anni servono a rispondere, sotto diversi profili, ai bisogni degli utenti che hanno fragilità diverse. D'altro lato, si devono fare i contri con risorse scarse, che invece servirebbero per portare avanti il lavoro quotidiano.

L’ingresso alla cooperativa

La cooperativa, una casa di cura speciale, accoglie persone con disagi legati alle dipendenze, da alcol e, in maggiore misura, da stupefacenti: grazie a un percorso specifico, l'obiettivo è il reinserimento nel tessuto sociale.
Il vicepresidente Luca Ciusani, che ci ha accolto mostrandoci la sede, ha subito voluto chiarire un aspetto, ancora stigmatizzato e sul quale esistono pregiudizi. "La tossicodipendenza non è un vizio in senso stretto, religioso e morale. Non si diventa tossici perché si vuole. Le situazioni che arrivano sono complesse anche da un punto di vista medico perché la droga fa male".
In effetti, come lo stesso psicoterapeuta e psicoanalista ha scritto all'interno del volume "Il vizio di morire" - edito nel 2016 in occasione del trentesimo anniversario di fondazione della cooperativa - la tossicomania intesa come fatto sociale, dunque non individuale, ha origini abbastanza recenti con la diffusione dell'eroina negli Stati Uniti d'America negli anni Sessanta e in Europa il decennio successivo.

"Se si analizzano con attenzione le biografie dei tossicomani emerge quasi sempre una difficoltà estrema provata dal soggetto, in maniere diverse e in momenti diversi, a dare un senso al proprio agire, a trarre soddisfazione dal vivere". La principale causa della tossicomania è da attribuire dunque alla difficoltà di relazione con altri e, anche se talvolta gli esordi sono da attribuire al tentativo di appartenere a un gruppo, la meta finale è sempre lo stessa: la solitudine, il ritiro. Una lotta contro se stessi a cui non tutti, per svariati motivi, riescono a fare fronte.
"L'obiettivo che si pone la cooperativa è la cura degli stati di disagio, in particolare la tossicodipendenza, ma forniamo anche uno sportello psicologico per esterni a tariffe calmierate" ha proseguito il vicepresidente. "In aggiunta proponiamo una serie di attività collaterali, come il torneo di burraco e il mercatino per fare in modo che il cancello della comunità sia una membrana permeabile con possibilità di ingresso per gli esterni e di uscita per chi si vive qui. Queste proposte hanno quindi un duplice scopo: sono elementi preventivi per le ricadute e possono favorire un adeguato inserimento sociale".

Le stanze e, al piano terreno, gli spazi per la terapia

Il centro diurno e a sinistra la sede amministrativa

L'équipe è composta da sette educatori e da quindici professionisti tra coordinatori, psicoterapeuti, psichiatri, assistenti sociali. A loro vanno ad aggiungersi i volontari che si occupano dell'accompagnamento degli ospiti fuori dalla struttura e dei rapporti con le altre istituzioni. Da qualche tempo è infatti attiva una convenzione con un noto marchio di supermercati con sede a Casatenovo per la fornitura di derrate alimentari a cadenza settimanale. Un modo per mettere in rete risorse che altrimenti andrebbero sprecate.


La cooperativa, oltre a gestire le attività citate in precedenza per sostenere la mission, gestisce tre unità d'offerta: il centro diurno, la comunità terapeutica residenziale e un appartamento di housing sociale (casa AT). Il centro diurno è frequentato da persone che hanno una doppia diagnosi, una definizione comparsa negli anni '80 nella psichiatria statunitense per definire le persone che, accanto a un disturbo da abuso di sostanze, presentano un grave disturbo mentale. Si tratta di persone che frequentano la struttura solo di giorno, svolgendo un'attività occupazionale, ovvero ergoterapia.

La comunità terapeutica, invece, può ospitare al massimo 26 persone (al momento è pressoché completa) per un tempo massimo di tre anni. Per entrarvi sono necessari tre requisiti: essere maggiorenni, maschi e avere una diagnosi di tossicodipendenza. Spetterà poi compito all'assistente sociale valutare la possibilità di ingresso. Gli ospiti aiutano la comunità nella gestione quotidiana (cucina, pulizia, manutenzioni) e all'ergoterapia affiancano un'attività educativa e laboratori espressivi. Hanno inoltre la possibilità di avere colloqui con specialisti che seguono il loro percorso di "rinascita".

L'housing sociale, infine, è un progetto accreditato dall'agenzia di tutela della salute (ATS): a Molteno la cooperativa possiede un appartamento all'interno del quale possono convivere al massimo cinque persone che seguono progetti di 18 mesi rinnovabili. È rivolto a chi ha già compiuto un percorso di comunità senza che questo abbia portato gli esiti sperati, ovvero di reinserimento sociale o a chi è in carico da sette anni a un servizio per le dipendenze da sostanze legali e illegali (SERT) o a un servizio multidisciplinare integrato (SMI). I punti di forza di questa proposta sono una prospettiva di vita meno terapeutica e la riduzione degli episodi di gravi ricadute a cui un soggetto potrebbe andare incontro non appena finisce il legame con la comunità. Questi ospiti sono dunque liberi, ma devono rispondere a un educatore: c'è sempre quindi il riferimento della comunità che fa da garante, ponendo un limite alla tossicodipendenza. 
Quando chiediamo al vicepresidente un parere sul ritorno massiccio sul nostro territorio di droghe come l'eroina, la sua espressione dice già molto insieme alle parole con cui prova a esprimere sinteticamente il concetto. "La tossicodipendenza è un termometro della società". Dovremmo partire proprio da questa considerazione per comprendere che il tossicomane può diventare tale per debolezza, per la difficoltà a coltivare relazioni e per l'incapacità di trovare il proprio modo di affrontare la vita.

La tossicodipendenza forse non appare in strada come un tempo: non la vediamo tutti i giorni sotto i nostri occhi, non ne sentiamo parlare. Ce ne ricordiamo vedendo una siringa in un cestino sulla pubblica via. La dose si acquista facilmente con un cellulare e sul mercato è reperibile ogni tipo di sostanza. Il fenomeno appare invisibile, ma è più capillare di un tempo. Ricominciamo a parlarne.
Michela Mauri
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