Casatenovo da scoprire/2: ex monastero e chiesa di S.Margherita con i suoi affreschi

Nella seconda puntata di ''Casatenovo da scoprire'' andremo a conoscere la Chiesina di Santa Margherita, situata a pochi passi dal confine con Monticello, nella zona più a nord del paese.



A causa delle continue scorribande da parte degli invasori in Brianza, e dopo innumerevoli sacchi occorsi alla cittadina e ai conventi di Casatenovo, il monastero di Santa Margherita rimase aperto fino al 15 ottobre 1451, nonostante fosse privo di monache e badessa da oltre quarant’anni. In quel periodo (era il momento di transizione tra i signori di Milano Visconti e Sforza) in Brianza imperversavano continue guerre che influirono, appunto, sulla vita del monastero stesso, il quale fu chiuso per bolla papale richiesta dalla famiglia Casati.




Dopo la sua chiusura fu unito al beneficio e alla rettoria della Chiesa di Santa Giustina a Casatenovo, a quell’epoca cappella di palazzo dei Casati. Nel 1462 i Casati diedero ordine di ristrutturare la chiesa e l’anno seguente venne nuovamente affrescata secondo uno stile ancora tardo gotico ma con influenze del primo rinascimento lombardo.
Nel 1571 San Carlo cambiò la disposizione di alcuni elementi della chiesa, facendo inserire un campanello (oggi ancora visibile accanto alla porta); fece murare alcune porte da cui accedevano i contadini, fece ristrutturare il soffitto in legno e fece cambiare l’acquasantiera a piedistallo che si trovava al centro della cappella con una più ridotta appesa al muro.
Inoltre fece abbattere un portico antistante alla facciata in quanto pericolante e voleva far aprire un vero e proprio rosone sopra all’ingresso. Dalla visita di San Carlo venne proibita la celebrazione della messa “alla romana”.




Nel 1770 il papa riconfermò il giuspatronato dei Casati sulla chiesa di Santa Margherita nonostante la famiglia non lo desiderasse e per questo si opposero, ma in seguito ritirarono la loro opposizione.
Nel 1850 durante dei lavori di restauro fu rinvenuta sotto l’altare un’ara dedicata a Mercurio. L’ara votiva era probabilmente posta a sostegno dell’altare e questo ha indotto gli studiosi a pensare che simboleggi la supremazia del Dio cristiano sulla religione pagana, che per tutto il medioevo rimase fortemente radicata nei territori rurali e contadini come la Brianza. Si ipotizza che, prima della chiesa, ci potesse essere un tempio dedicato a Mercurio. Come altri ex-monasteri benedettini a carattere rurale, nel tempo anche questo fu trasformato in edificio agricolo.
Si arriva alla chiesa da una bella scala realizzata con sassi di fiume. Subito si pone di fronte a noi la facciata, molto semplice, nella quale si evidenzia, con un corso di mattoni, la possibile originale facciata a capanna, al cui culmine è posta una croce.
Ora mettiamo alla prova la nostra fantasia e immaginiamo la chiesetta di Santa Margherita come era nel passato: immersa nella campagna, addossata al convento e con una facciata che copriva l’ingresso e non molto distante dal castello della famiglia Casati con l’annessa cappella di Santa Giustina di cui abbiamo già parlato nella scorsa puntata.



Sopra alla copertura a due falde è stato costruito, nel tempo, un sopralzo, probabilmente quando il convento è stato sostituito da un complesso rurale. Altri elementi della facciata sono una finestra ottagonale, posta in asse con l’ingresso, e il portale a due ante, di dimensioni ridotte, che è stato restaurato alla fine del 2017.
Osservando con attenzione si può notare che la chiesetta è stata realizzata in muratura di pietra rasata con intonaco al rustico, mentre sono stati usati i mattoni per i due contrafforti di forma triangolare presenti sul fronte laterale. Qui si apre l’unica finestra della chiesa, mentre superiormente sono visibili delle aperture relative al corpo di fabbrica costruito successivamente alla chiesa.
La pianta è molto semplice: un rettangolo con un’abside finale. Sulla destra, prima del presbiterio, si apre una porticina laterale. Il controsoffitto attuale è ligneo, con travature, molto caratteristico, ma la parte più interessante di Santa Margherita è relativa agli affreschi, presenti nell’abside, nell’arco absidale e sulla parte finale delle due pareti laterali, dove la loro bellezza e il fascino che suscitano nei fruitori rendono questa chiesetta una piccola perla del nostro territorio.




Le monache benedettine che vivevano nel monastero di Santa Margherita, seguendo la regola imposta da san Benedetto, basavano la loro vita sul motto ora et labora ovvero prega e lavora: con questa espressione Benedetto voleva sottolineare che ciascun monaco o monaca doveva servire Dio pregando ma non oziando, perché l’ozio è nemico dell’anima, perciò le monache in determinate ore dovevano attendere al lavoro manuale e in altre ore alla lettura spirituale.
La giornata di una monaca benedettina cominciava alle due di notte, quando la campana del convento annunciava il mattutino. Le monache uscivano dai dormitori si recavano in chiesa e attendevano alla preghiera che avveniva sotto forma di canto. La preghiera era l’attività primaria, quella che Benedetto chiamava in latino “Opus Dei” (letteralmente “Opera di Dio”); successivamente, alle quattro, dopo un’ora di riposo, si ritornava in chiesa per cantare di nuovo.




Al canto del gallo, dopo un’altra ora di riposo, le monache si dividevano secondo le loro mansioni: chi ricamava, cuciva, cucinava, curava l’orto. C’erano anche le monache erboriste che preparavano medicine nella farmacia, di cui ogni monastero era dotato. Verso le ore tredici il lavoro era stato già interrotto due volte per cantare in chiesa, ma a quell’ora la campanella annunciava il pranzo, a base di verdura, pane, frutta, a volte pesce; la carne era proibita. Si mangiava nel refettorio, in perfetto silenzio, mentre una delle monache leggeva testi sacri. Dopo il pranzo, si riposava passeggiando nel cortile. Quindi passavano altre ore al lavoro fino al vespro, la preghiera serale. Seguivano una cena frugale e la compieta, la preghiera che chiudeva la giornata, ogni monaca benedettina si ritirava allora a riposare su giacigli di paglia, ma alle dieci di sera si svegliava per recitare il notturno. Quindi dormiva fino alle due e tutto ricominciava.
Ogni monaca benedettina doveva piena obbedienza alla badessa, la madre superiora, eletta dalle stesse monache. Attraverso l’obbedienza, infatti, si coltivava la virtù dell’umiltà, essenziale per la salvezza eterna. Non era permessa alcuna forma di proprietà personale e non si potevano ricevere lettere senza il permesso della badessa. Una regola ferrea imponeva il silenzio e ben raramente alle monache veniva permesso di scambiare qualche parola.




La storia dello splendido ciclo di affreschi che ne caratterizza l’interno comincia pochi anni dopo, nel 1462, quando la chiesa fu restaurata. Solo un anno dopo, erano terminati i lavori per le pitture del catino absidale, come si può leggere nel cartiglio ubicato al di sotto della figura inginocchiata dipinta sulla parete destra. Costui è molto probabilmente Giacomo del Torgio, cappellano di Santa Margherita dal 1451 e uomo sensibile alle più attuali e inquietanti questioni teologiche sulla definizione della Trinità, scoppiate nell’ambito delle discussioni del Concilio di Firenze. Non a caso il ciclo di affreschi che si dispiega sulle pareti dietro l’altare segue un programma iconografico molto complesso e denso di dottrina. E’ riconosciuto dagli studi che fu Giacomo a suggerire il tema dell’Incoronazione della Vergine da parte di Dio Padre e Gesù Cristo, da entrambi i quali è emanato lo Spirito Santo. Appare infatti evidente il riferimento alla diatriba sul filioque, ovvero se lo Spirito procedesse dal Padre o dal Figlio.


Dunque il tema centrale è quello dell’Incoronazione della Vergine. Maria si trova ai piedi di Dio e Cristo, con le mani giunte in preghiera e in attesa della benedizione dello Spirito Santo. Tutti e tre si trovano all’interno di una mandorla di cherubini e serafini, gli angeli più vicini alla volontà di Dio. I primi sono dipinti in bianco, a indicare la loro chiara conoscenza di ogni cosa, i secondi in rosso, a ricordare il loro amore sempre acceso per Dio. Ai loro lati si dispone la restante corte celeste. Oltre ai simboli dei quattro Evangelisti, troviamo le Virtù che dispensano benedizioni, le Potenze, con vesti corte, gambali e spade per difendere il regno celeste, i Principati e le Dominazioni con lo scettro, i Troni con manti regali e turiboli per adorare il Signore. Nel registro inferiore abbiamo al centro gli apostoli, come se stessero presenziando all’Assunzione della Vergine in cielo, altro tema iconografico che va a sovrapporsi a quello dell’Incoronazione; ai lati i profeti che, accompagnandosi a vari strumenti, cantano in lode di Dio. Ancora più sotto, come a simboleggiare che l’opera della Redenzione poggia sul lavoro dell’uomo, il famoso ciclo dei mesi. È molto interessante perché, a dispetto del tema tipicamente medievale, è trattato in modo umanistico con l’inserimento per il mese di Dicembre della figura di Virgilio. Questi presenta la sua quarta ecloga, quella in cui, secondo l’esegesi successiva, è anticipata la venuta del Salvatore. Per questo motivo si lega al Natale di Cristo, che per tradizione si celebra ancora oggi in Dicembre. A sinistra chiudono questa grandiosa figurazione Adamo ed Eva. Nel timpano rimangono alcuni lacerti di santi, che nell’insieme simboleggiavano la Chiesa trionfante. Infine sulle pareti laterali vediamo una rappresentazione delle torri della Gerusalemme celeste, ognuna con sei delle dodici porte che caratterizzano la città. Si accompagnano ad altri affreschi singoli: a destra il già menzionato ritratto di Giacomo del Torgio, a sinistra un Cristo in pietà e una Madonna con Bambino fra Santa Margherita e un Santo vescovo.
Per quanto riguarda lo stile, gli affreschi di Santa Margherita hanno delle caratteristiche uniche e eccezionali. La critica ha più volte fatto il nome di un grande maestro tardogotico, Cristoforo Moretti, una delle figure chiavi in Lombardia per lo snodo fra pittura cortese e pittura rinascimentale. Infatti il ciclo presenta degli elementi in comune con l’unica opera firmata di Cristoforo, il polittico di Sant’Aquilino, oggi conservato al museo Poldi-Pezzoli di Milano. Il riscontro preciso si ha con la Madonna col Bambino e S. Margherita della parete di sinistra (negli alberelli, nella foggia dell’abito, nell’atteggiamento delle mani) e con le allegorie dei mesi (molto simili alla figurine dipinte a monocromo sulla spalliera del trono della Vergine nelle tavole milanesi).


Altri elementi desunti da importanti pittori sono le formazioni rocciose che abitano il paesaggio in cui siedono i musicisti-profeti. Sicuramente queste piccole montagnole sono un forte ricordo degli affreschi nel Palazzo Branda Catiglioni di Castiglione Olona (VA)  di Masolino da Panicale, il noto collaboratore di Masaccio nella cappella Brancacci di Firenze. Anche il toro, simbolo di Luca, dipende da un disegno del celebre pittore e medaglista tardogotico Pisanello. Il ciclo di Santa Margherita a Casatenovo si può inserire a pieno diritto in quella linea della storia dell’arte lombarda che collega il mondo tardogotico al rinascimento. I punti salienti di questo sviluppo sono: i già menzionati affreschi di Masolino da Panicale a Castiglione Olona, del 1435, sia nel palazzo del vescovo e umanista Branda Castiglione che nell’abside e nel battistero della Colleggiata del paese; il grande ciclo con le storie di Teodolinda nel Duomo di Monza, dei fratelli Zavattari e datato 1441; la decorazione pittorica della nostra Santa Margherita, che risale al 1463 anno esatto; la cappella Portinari in Sant’Eustorgio dipinta dal bresciano Vincenzo Foppa tra 1463 e 1468; gli affreschi perduti per la cappella ducale del Castello Sforzesco del 1472-1473. Per tutti gli appassionati d’arte o i curiosi che desiderano capire meglio l’importanza del ciclo casatese all’interno di una prospettiva storica più ampia, una visita ai sopradetti monumenti è caldamente consigliata.


Parlando con coloro che oggi abitano il cascinale a fianco della chiesina, si possono scoprire tanti aneddoti come la leggenda che esista una rete di gallerie sotterranee che connettono tutti gli edifici ecclesiastici da Santa Margherita al convento della Misericordia di Missaglia; un altro esempio la cappella era stata trasformata in granaio durante gli anni cinquanta dato che le spesse mura e le poche e piccole finestre permettevano che al suo interno si creasse un ambiente fresco e secco, adatto per riporre i frutti dei campi.

Non tutti a Casatenovo conoscevano questo luogo artisticamente molto significativo. La Pro Loco di Casatenovo e la stessa Amministrazione Comunale si sono impegnati per valorizzarla organizzando eventi, concerti e visite guidate per raccogliere fondi e ristrutturare e rendere fruibile questo meraviglioso luogo per matrimoni e altri eventi.
Vogliamo ringraziare le studentesse Rebecca De Pace, Rebecca Casiraghi, Sara Mapelli, Chiara Trezzi e Stefano Villa che, coordinati dalla prof.ssa Claudia Molteni Ryan dell’istituto “Alessandro Greppi” di Monticello B.za, ci hanno fornito, molte informazioni sulla storia del monastero e della vita delle monache benedettine che lo abitavano.

Conosci qualche tesoro nascosto di Casatenovo che vorresti conoscere o fare conoscere? Non esitare a contattarci! email: redazione@casateonline.it
Rubrica a cura di Giovanni Pennati e Alessandro Vergani
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