Il grande cocomero: il senso dell'attesa, l'importanza di giocare ad avere paura
Di ritorno a casa dal lavoro oggi ho trovato mio figlio di quattro anni tutto mascherato per "Aulin", mi ha detto. Cioè, non che fosse vestito da antinfiammatorio, ma un orecchio da pipistrello qua, un osso là, tutto felice...
Non che io ami in modo particolare questa festa (ma non mi piace nemmeno il nostro carnevale, se è per questo), ma mi piace fare qualche considerazione a voce alta. Le ricavo in parte dalla lettura di un bel contributo di Elena Franchi su "La Ricerca" http://www.laricerca.loescher.it/societa/1171-i-misteri-del-grande-cocomero.html, che rimanda a sua volta a un testo di Natale Spineto, di facile e interessante lettura http://www.laterza.it/index.php?option=com_laterza&Itemid=97&task=schedalibro&isbn=9788858118870.
Qui si impara - se ce ne fosse bisogno - che il nome "Halloween" deriverebbe da All Hallows Eve, vale a dire "vigilia di tutti i santi" e le origini celtico-pagane di questa festa si mescolano con i rituali delle veglie irlandesi d'Ognissanti; si evoca The Great Pumpkin, quello che in italiano è stato tradotto con "il Grande Cocomero" e che Snoopy e compagni attendevano, ansiosi di riceverne doni e balocchi; si discute anche delle derive trasgressive e grottescamente gotiche della festa che si è andata infarcendo di scheletri e armamentari sepolcrali di dubbio gusto.
Ma si impara anche a riconsiderare una religione dell'attesa - laica, se si vuole, infantile quanto si crede - che è in parte tipica dell'antropologia del mondo americano ma è anche di tutti i nostri bambini (e di noi quando lo siamo stati, come Linus, Charlie Brown & C.).
E si rivaluta forse anche l'importanza del "giocare ad avere paura" ma in condizioni di sicurezza. Che magari ci allena ad averne di meno quando purtroppo servirà. Il binomio del calendario liturgico che associa il ricordo dei Morti con la celebrazione della felicità dei Santi non ci dice cose tanto diverse.
Stefano Motta