Il Fumagalli ospita Rocco Mangiardi, imprenditore calabrese ribellatosi alla 'Ndrangheta

Gli ospiti della conferenza insieme agli studenti dell'istituto Fumagalli presenti nella sala del centro la Colombina

''La Calabria è bella, bellissima. Io in quei momenti ho messo sulla bilancia proprio la mia terra, ma anche la mia famiglia e la mia fede. Mi è uscito tanto di quel coraggio che avrei potuto regalarlo a chiunque. Perchè la nostra vita merita di essere abitata, deve essere proprio come noi la vogliamo e non qualcosa che ci viene imposto dagli altri''. Ha usato queste parole Rocco Mangiardi, testimone di giustizia, per raccontare agli studenti di classe quinta dell'istituto Graziella Fumagalli di Casatenovo la sua storia. Il piccolo imprenditore con attività aperta nel 2000 in Via del Progresso - una tra le zone più industriali di Lamezia Terme - si è trovato faccia a faccia con la cosca ‘ndranghetista dei Giampà.

Il testimone di giustizia Rocco Mangiardi

E' accaduto tutto qualche anno più tardi la fondazione della sua impresa, a conduzione familiare e con qualche dipendente a carico, quando il calabrese ricevette la sgradita visita di alcuni estorsori appartenenti ad una delle cinque cosche che detenevano il monopolio di Via del Progresso.

Senza mezzi termini gli chiesero il ''pizzo'', per contribuire allo sviluppo del sistema 'Ndrangheta. ''Iniziarono a dirmi che se avessi voluto che non succedesse nulla ai miei figli, che non accadesse nulla a me stesso e che la mia attività non saltasse in aria, avrei dovuto dare un piccolo pensierino a zio Pasquale". Il ''regalo'' in questione ammontava a 1200 euro, da versare ogni mese alle casse di quello "zio" che in realtà non era altro che il boss della ‘ndrina malavitosa del quartiere Nicastro, Pasquale Giampà.

Furono momenti estremamente difficili per l'imprenditore calabrese che, forte del sostegno della sua famiglia, decise di non piegarsi a quel sistema e di denunciare il tentativo di estorsione e le minacce subite. ''Se avessi pagato a quella gente 1200 euro al mese, come mi chiedevano, avrei dovuto rinunciare ad uno dei miei dipendenti, a dare lavoro ad un bravo padre di famiglia. Non nego di aver avuto paura, non sono un supereroe, ma non volevo dare neppure un centesimo a quel boss. Ho temporeggiato chiedendo di darmi una ventina di giorni di tempo perchè sarei dovuto salire qui al nord da alcuni parenti; in realtà sapevo benissimo che sarebbero scattati i fermi. Io avevo denunciato cinque persone, ma ne furono inizialmente arrestate soltanto quattro. L'ultimo riuscì a farla franca, uccidendo qualche tempo più tardi un uomo: a pensarci non ci dormivo la notte, ma poi fu preso'' ha aggiunto Mangiardi davanti ad una platea di ragazzi attenta. ''Pasquale Giampà invece, fu condannato più volte all'ergastolo...so che si è anche pentito, dopo. Forse lo ha fatto perchè aveva paura: gli 'ndranghetisti non sono invincibili. E io i miei soldi a loro non li ho dati, perchè ho scelto di ribellarmi alle ingiustizie, di percorrere la via della legalità. Quello che dovrebbero fare tutti''.

Monica Forte

Una testimonianza, quella offerta da Mangiardi questa mattina, avvenuta a poche ore di distanza dalla notizia della maxi operazione contro la cosca Mancuso, che ha portato ad oltre trecento arresti fra Calabria e Lombardia. ''Lo Stato c'è, ma devono esserci anche cittadini responsabili, perchè non dobbiamo avere paura delle mafie'' ha aggiunto l'ospite.
La conferenza proposta dalla professoressa Caterina Loprete nell'ambito del progetto di educazione alla legalità, ha visto anche l'intervento di Monica Forte, presidente della commissione antimafia di Regione Lombardia. Con l'ausilio di Francesco Terragno, sono state illustrate ai ragazzi i diversi sistemi di criminalità organizzata: 'Ndrangheta, Camorra, Sacra Corona Unita, Cosa Nostra, distinguendo ciascuna per peculiarità, metodo d'azione e reclutamento di affiliati.

Al microfono il dirigente scolastico Renzo Izzi

Dalla Sacra Corona Unita, più territoriale e legata quasi esclusivamente alla terra pugliese, fino alla nota Cosa Nostra siciliana, depotenziata dopo l'azione e l'impegno messo in campo dai magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. E poi ancora la Camorra, mafia estremamente giovane (ribattezzata, appunto "Google generation" e raccontata nella celebre serie Gomorra) e, per questo, profondamente legata all'uso dei social network per comunicare non solo all'interno della propria rete di sottoposti ma anche all'esterno, ostentando pericolosità e ricchezza, usando linguaggi tipici, icone specifiche e brand ricorrenti.

La professoressa Caterina Loprete

Da ultima, ma sicuramente non per importanza, la ‘Ndrangheta: un'organizzazione tipica delle zone della campagna calabrese e caratterizzata dal fatto che "tutti i suoi componenti sono affiliati tra loro tramite un vincolo di sangue originario o acquisito''. Profondo è il senso di appartenenza che lega i suoi aderenti e riduce il numero di pentiti e collaboratori di giustizia all'interno delle sue fila, proprio a causa del senso di tutela nei confronti della propria famiglia, quasi impossibile da tradire.

A destra Francesco Terragno

È proprio per questo motivo che la mafia calabrese è una delle più pericolose non solo in Italia, ma anche nel mondo (con ramificazioni in Germania, Canada e Australia) infiltrandosi in diversi settori: da quello turistico alla ristorazione, dalla vita notturna agli appalti pubblici. Il tutto sfruttando tecniche subdole come minaccia, intimidazioni e corruzione. Talmente è forte il potere della 'Ndrangheta, che i suoi esponenti possono permettersi di pagare la cocaina acquistata a credito, caso più unico che raro nei sistemi di criminalità.

''Dobbiamo manifestare vicinanza a chi denuncia: se il singolo può essere colpito facilmente, tutti insieme possiamo fare molto per combattere la criminalità organizzata, attivando quel senso di comunità che spesso manca'' ha detto Monica Forte, ricordando quanto la stessa magistratura, oltre allo stesso cittadino, spesso lamenti di essere lasciata sola contro un nemico troppo forte. ''Bisogna sempre denunciare e non cedere, mostrando vicinanza alle persone che non si sono piegate'' ha aggiunto l'ospite.

Una mattinata ricca di spunti di riflessione per i ragazzi, come ha ricordato la professoressa Caterina Loprete, invitando gli studenti a ''fare rete'', comunicando ai coetanei l'importanza del messaggio emerso questa mattina. ''Anche io, come Monica e Rocco, sono calabrese: ci accomuna la grinta e l'entusiasmo nel far capire a voi tutti come la giustizia sia indispensabile. Cercate di parlarvi, trasmettendo reciprocamente i valori veri'' ha aggiunto la docente, ringraziando - oltre agli ospiti intervenuti - il preside Renzo Izzi per aver acconsentito allo svolgimento della conferenza, la consigliera del comune di Casatenovo Enrica Baio e il presidente della Provincia Claudio Usuelli, che impossibilitato ad intervenire ha fatto giungere i propri saluti.

''L'insegnamento per me è come l'aria che respiro: stare con i ragazzi in classe non dev'essere inteso solo ed esclusivamente dal punto di vista della didattica teorica, ma riuscire a trasmettere loro - grazie a iniziative come questa - anche l'entusiasmo e la passione per questo lavoro, che per me è una vera e propria missione'' ha concluso la professoressa Loprete, alla quale sono andati anche i ringraziamenti del dirigente scolastico per l'interessante proposta.
Gloria Crippa
Invia un messaggio alla redazione

Il tuo indirizzo email ed eventuali dati personali non verranno pubblicati.