C’è Sanremo, rito fatto di panna montata e cioccolato della nonna. E  tutto passa in secondo piano: politica, virus,  barconi, morti

Tra le festività previste dal calendario gregoriano in versione italica bisognerebbe inserire quella di Sanremo con la chiusura delle scuole di ogni ordine e grado e quattro giorni di ferie per tutti i dipendenti.

Il fenomeno del coronavirus, la morte del giovane medico che aveva segnalato la nuova patologia (630 morti ufficiali), la scoperta allo Spallanzani delle tre ricercatrici che hanno isolato il virus, l'incidente terrificante del treno a Lodi con la morte sul posto di lavoro del macchinista Giuseppe Ciccù e Mario Di Cuozzo e il ferimento di trentun persone, che evidenziano per l'ennesima volta lo stato fragile delle infrastrutture e della manutenzione ordinaria, tutto passa in secondo piano: persino la solita politica reboante e ripetitiva.

Anche l'immigrazione passa in terzo piano. I barconi, i pericolosi e nefasti barconi scompaiono dalla percezione, per quattro giorni l'insicurezza temuta e frutto di incubi dai piccoli agli anziani si nebulizza nel cielo desertificante di questo inverno anomalo. Le cavallette nel frattempo stanno invadendo e distruggendo le terre nella vicina Africa. Ma c'è il festival: viva il festival.

Gli stessi giornali nazionali dedicano paginate ai vari pettegolezzi, alle fregnacce dei personaggi che stanno sopra, sotto, di lato del palco di Sanremo, pochi commenti e approfondimenti. Tutto è all'acqua di rose:

Sanremo è Sanremo.

E' la consacrazione ritualistica postmoderna della società desacralizzata alla ricerca di un luogo in cui glorificare e destoricizzare la contemporaneità che ha bisogno di uno spazio illusionario per allontanare, almeno per quattro giorni, i fantasmi della quotidianità, e far finta che tutto è un grande palazzo fatto di regine e principi che illuminano l'oscurità della notte.

E' un rito fatto di panna montata, di cioccolato caldo delle nonne degli anni sessanta. Scorrono volti, parole e immagini che evocano un passato melenso, addolcito da pacchi strappati dalla soffitta di un film in bianco e nero restaurato con colori artificiali della tecnologia avanzata.

Nel frattempo l'astronautica Luca Parmitano atterra nella steppa del Kazakistan dopo 328 giorni con gli altri astronauti: è un'impressa straordinaria che dovrebbe far increspare la pelle delle braccia. Ma c'è Sanremo, perché Sanremo è Sanremo.

Canzoni, volti, input che rievocano una stagione fatta di contraddizioni grosse come delle mastodontiche case sventrate ancora dai combattimenti della guerra con bambini con calzoni corti, scarpe bucate, cortei di operai, scioperi, per non parlare degli anni settanta. Tutte queste vagonate di miseria dopo cinquant'anni, quarant'anni sono presentate in salsa dolce con canzoni di quel tempo. Quel tempo non era colorato: era triste, faticoso, fatto di miseria sociale, culturale, economica.

Tutto questo calderone si mischia con colori, luci e lo si accosta all'attuale e lo si assapora con delle stelle filanti. Dell'oggi compaiono solo delle apparenze di transizione; apparenze che transitano senza sapere dove andranno.

Ma se Sanremo è un figurato dell'attuale panorama, che panorama è quello che sta dietro l'invisibilità di questo apparire?

E' un rappresentato di un mondo sociale e culturale medio che sta tra passato e presente in bilico con un futuro incolore. E' come stare all'interno del palazzo di Buckingham Palace tra tendaggi, armadi, mobili pesanti che faticano a convincere il giovane Harry a non scappare dall'opprimente puzza di pop neo ipermoderna con fronzoli che svolazzano in un caos caotico ma sempre tenuto costante.

E' il raffigurato di una società media conservatrice, che non sa nemmeno di esserlo, che si sente sicura solo ballando il liscio, la dens musica con salsa italica alla rapping. E' il rappresentato di questa conservazione generalizzata, non è un caso che sullo stesso palco compaiono personaggi di diversa provenienza sociale, politica e culturale. E' un grande contenitore che contiene tutto l'indistinto modo di essere.

dr. Enrico Magni
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