Barzago: sopravvivere alla Shoah. In tanti all'incontro con Sultana Razon Veronesi
Un racconto non felice, ma con un positivo lieto fine, quello narrato da Sultana Razon Veronesi, sopravvissuta alle persecuzioni naziste del secolo scorso e diventata poi medico e pediatra a Milano. La donna, nata in una famiglia ebrea di origine turche, è stata invitata nel pomeriggio di sabato 15 febbraio a raccontare la sua storia e l'esperienza atroce e reale dei campi di concentramento di fronte ad un numeroso pubblico riunitosi nella sala civica di Barzago. In occasione della Giornata della Memoria, il Consorzio Villa Greppi con la sua presidente, Marta Comi, hanno infatti voluto fortemente la presenza del medico milanese - già ospite in passato - per chiudere il ciclo di eventi denominato Percorsi nella Memoria che sono stati organizzati sul territorio in ricordo della Shoah ebraica e di quel momento buio della storia che per dovere di civiltà e per rispetto verso i milioni di vittime non si può rischiare di dimenticare.
Da sinistra l'assessore Francesca Mantonico, Andrea Bienati, Sultana Razon Veronesi e Marta Comi
I partecipanti hanno riempito fin da subito la sala, e tanta è stata l'emozione durante il racconto dell'ospite - vedova dell'oncologo Umberto Veronesi - salutata calorosamente al suo arrivo dai padroni di casa, il sindaco di Barzago, Mirko Ceroli e l'assessore alla cultura Francesca Mantonico.
"Se continuiamo a definire Sultana una sopravvissuta dei campi di concentramento, la vittoria è ancora una volta dei nazisti. Sultana andrebbe invece ricordata innanzitutto come una mamma, una nonna e un medico che ha avuto l'unica colpevolezza di essere nata in un contesto storico in cui a scuola ai bambini veniva insegnato che gli esseri umani sono divisi in razze, alcune migliori, altre non meritevoli neppure di esistere. Il mio augurio per questo pomeriggio è che chi ascolta possa farsi delle domande prescindendo da quel 15% di negazionismo che vige nel nostro Paese, e mi auguro anche che possa fare tesoro del dono della memoria che oggi Sultana farà a ciascuno di noi con il suo racconto" sono state le parole utilizzare dal moderatore dell'evento, il professor Andrea Bienati, che da anni accompagna la donna in giro per l'Italia per raccontare la sua esperienza.
"Se continuiamo a definire Sultana una sopravvissuta dei campi di concentramento, la vittoria è ancora una volta dei nazisti. Sultana andrebbe invece ricordata innanzitutto come una mamma, una nonna e un medico che ha avuto l'unica colpevolezza di essere nata in un contesto storico in cui a scuola ai bambini veniva insegnato che gli esseri umani sono divisi in razze, alcune migliori, altre non meritevoli neppure di esistere. Il mio augurio per questo pomeriggio è che chi ascolta possa farsi delle domande prescindendo da quel 15% di negazionismo che vige nel nostro Paese, e mi auguro anche che possa fare tesoro del dono della memoria che oggi Sultana farà a ciascuno di noi con il suo racconto" sono state le parole utilizzare dal moderatore dell'evento, il professor Andrea Bienati, che da anni accompagna la donna in giro per l'Italia per raccontare la sua esperienza.
Una storia iniziata quindi molto tempo fa, negli anni Trenta, quando la famiglia dell'allora bambina Sultana scappò dalla Turchia arrivando in Italia, a Milano, dove la vita si svolse regolarmente fino all'introduzione alla viglia degli anni Quaranta delle leggi sulla discriminazione degli ebrei. All'inizio, come ha raccontato la stessa testimone, il Regime Fascista non era di per sé un problema, ma lo divenne ben presto in seguito all'incitamento all'odio e alla violenza gratuita nei confronti degli ebrei che iniziò a rendere l'esistenza della famiglia Razon un vero e proprio incubo. Tutto cominciò con il trasferimento senza preavviso del padre in un campo di internamento a Ferramonti di Tarsia per ebrei apolidi, nel gennaio del 1941.
"Ricordo ancora bene il giorno in cui mia madre si decise a partire con me e mia sorella per cercare mio padre, era il giorno del mio compleanno, il 24 agosto 1941. Compivo nove anni. Ancora non immaginavo che i compleanni successivi non li avrei nemmeno ricordati" ha raccontato Sultana Razon pronunciando le sue parole con un tono quasi distaccato verso quegli eventi, e sterile da ogni tipo di rancore e odio.
"Ricordo ancora bene il giorno in cui mia madre si decise a partire con me e mia sorella per cercare mio padre, era il giorno del mio compleanno, il 24 agosto 1941. Compivo nove anni. Ancora non immaginavo che i compleanni successivi non li avrei nemmeno ricordati" ha raccontato Sultana Razon pronunciando le sue parole con un tono quasi distaccato verso quegli eventi, e sterile da ogni tipo di rancore e odio.
Tra il pubblico anche il sindaco Mirko Ceroli
Al termine dell'esperienza di internamento durata un anno, la famiglia fu trasferita in un paese del Veneto, in provincia di Rovigo, dove dopo la proclamazione dell'armistizio nel 1943, gli insulti, le minacce, il disprezzo e la discriminazione verso gli ebrei aumentò in maniera insostenibile. Di lì a poco i gerarchi fascisti incarcerarono i genitori lasciando Sultana, la sorella e alcuni cugini orfani e abbandonanti, costretti a vivere alla giornata e in condizioni di povertà estrema per alcuni mesi, finchè anche loro vissero l'esperienza della detenzione, potendo, pur sempre nella disperazione, poter riabbracciare la propria famiglia. Da lì iniziò il viaggio più drammatico per la bambina e i suoi cari, un viaggio partito dalla reclusione nel campo di concentramento di Fossoli, dove negli stessi mesi era stato portato anche Primo Levi e che terminò attraverso il lungo e devastante viaggio nel treno per bestiame, per trasferirli fino al campo di sterminio di Bergen-Belsen.
Marta Comi e sotto Andrea Bienati
"Non ho mai voluto sapere dove si trova quel posto, ad oggi non l'ho mai nemmeno cercato sulle cartine geografiche" ha spiegato Sultana, raccontando il loro arrivo al campo e come l'origine turca avesse permesso alla sua famiglia di ricevere un trattamento "privilegiato" da parte dei nazisti a causa dell'alleanza tra Turchia e Germania.
"Potevamo ricevere solo 189 calorie al giorno da consumare, avevamo imparato a convivere con la violenza gratuita, il gelo insopportabile, la paura e la morte, la cui presenza era sempre più costante col passare dei giorni. Ricordo poco degli ultimi giorni al campo, stavo per morire, mi ero ammalata di Tubercolosi a causa delle condizioni malsane e inumane in cui i gerarchi nazisti ci lasciavano ogni giorno. Bergen-Belsen è stata liberata dagli Alleati il 15 aprile 1945, e nei giorni prima la Germania aveva già patteggiato lo scambio di prigionieri con la Turchia, che ci permise di salvarci ancora una volta dalla "Soluzione finale" per essere rimandati a Istanbul. Durante lo spostamento sono stata curata, mi sono rimessa in sesto e in generale abbiamo ricevuto cibo e attenzioni sicuramente migliori rispetto a quelle del lager, perché ogni traccia di quell'incubo doveva sparire agli occhi dell'opinione pubblica. Arrivati in Turchia siamo stati subito incarcerati perché i nostri passaporti erano scaduti e solo dopo sette mesi, nel gennaio del 1946 abbiamo potuto fare ritorno a Milano, dove abbiamo ritrovato sì una città desolata e distrutta dai bombardamenti, ma che per noi costituiva comunque il primo vero momento di felicità dopo cinque anni di sofferenze" ha detto il medico, concludendo la sua storia con il riscatto positivo della sua vita, con la sua scelta di intraprendere gli studi medici e il divertente ma pur sempre amaro episodio del suo innamoramento per un ragazzo tedesco, un sentimento bandito però subito dal padre.
"Potevamo ricevere solo 189 calorie al giorno da consumare, avevamo imparato a convivere con la violenza gratuita, il gelo insopportabile, la paura e la morte, la cui presenza era sempre più costante col passare dei giorni. Ricordo poco degli ultimi giorni al campo, stavo per morire, mi ero ammalata di Tubercolosi a causa delle condizioni malsane e inumane in cui i gerarchi nazisti ci lasciavano ogni giorno. Bergen-Belsen è stata liberata dagli Alleati il 15 aprile 1945, e nei giorni prima la Germania aveva già patteggiato lo scambio di prigionieri con la Turchia, che ci permise di salvarci ancora una volta dalla "Soluzione finale" per essere rimandati a Istanbul. Durante lo spostamento sono stata curata, mi sono rimessa in sesto e in generale abbiamo ricevuto cibo e attenzioni sicuramente migliori rispetto a quelle del lager, perché ogni traccia di quell'incubo doveva sparire agli occhi dell'opinione pubblica. Arrivati in Turchia siamo stati subito incarcerati perché i nostri passaporti erano scaduti e solo dopo sette mesi, nel gennaio del 1946 abbiamo potuto fare ritorno a Milano, dove abbiamo ritrovato sì una città desolata e distrutta dai bombardamenti, ma che per noi costituiva comunque il primo vero momento di felicità dopo cinque anni di sofferenze" ha detto il medico, concludendo la sua storia con il riscatto positivo della sua vita, con la sua scelta di intraprendere gli studi medici e il divertente ma pur sempre amaro episodio del suo innamoramento per un ragazzo tedesco, un sentimento bandito però subito dal padre.
Una storia ricca di dettagli, in cui la burocrazia ha giocato un ruolo determinante sopraffacendo la volontà e la sostanza dell'essere umano. Una storia faticosa da digerire ma che non ha lasciato tracce d'odio nemmeno in una delle sue ultime testimoni viventi. "Ho paura che la memoria scompaia con me una volta che non ci sarò più, ma cerco di essere comunque fiduciosa che la testimonianza di chi è riuscito a tornare da quei posti possa far sopravvivere il loro ricordo anche nel futuro" ha concluso l'ospite al termine del suo intervento.
Martina Besana