Barzago: cibo e arte nella tavola rotonda con Orazio

Gli spettatori del territorio hanno potuto assaporare - ed è proprio il caso di dirlo - sabato 9 gennaio a partire dalle ore 11, sulla pagina Facebook di Zampediverse, una diretta speciale. Si è infatti svolto l'incontro - seppur a distanza, causa Covid - dal titolo ''Andiamo dall'Orazio''.



Moderata da Loredana Fumagalli si è tenuta una tavola (più che rotonda, imbandita, grazie all'aperitivo offerto dalla Marco D'Oggiono Prosciutti) tra Francesco Cheloni e Giovanna Bettega dell'Osteria Manzoni di Barzago, che da qualche anno tramanda la propria idea di ristorazione; Agnese Spreafico, socia dell'impresa oggionese che allieta le tavole, brianzole e non, con prodotti di qualità, nonché Gaetano Orazio, artista poliedrico che da anni riporta, con la sua pittura sporca (così definita dal compianto Philippe Daverio), sulla tela tutta la profondità delle radici della terra tra Monza e Lecco.
''Io vengo dall'agro salernitano, ma da quando ho 15 anni vivo in Lombardia. Ho passato la mia vita in fabbrica e ancora adesso vado a gustare la nebbia, a bagnarmi nel fango, a cercare di riscoprire il fanciullo che è in me: per questo mi reputo appartenente a questa terra, mi ritengo brianzolo'' il commento iniziale di Orazio.

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Un viaggio, dunque - intervallato dalle domande dei numerosi partecipanti, tutti da ricondursi al mondo degli appassionati food bloggers che cercano di riportare la Brianza e la riscoperta del territorio - volto a riscoprire sapori e memorie squisitamente brianzoli, in contatto con il territorio ed i suoi colori, avendo quale trait d'union la ricchezza culinaria (piatti e prodotti) delle nostre terre, elevati a forme d'arte, nei salumi di Marco d'Oggiono come nelle tele di Orazio, passando dai piatti dell'Osteria Manzoni.
Come raccontano difatti Cheloni (anche lui, originario della Toscana, brianzolo d'adozione come l'artista Orazio, che cerca di trasfondere tutto il valore di questa terra nelle sue creazioni culinarie) e Bettega, i colori sono fondamentali anche in cucina: bisogna seguire difatti le stagioni, cucinando quello che la terra ci dà, per rispettare le materie prime e poter poi mangiare, anche con gli occhi, i prodotti della Brianza.
Un prodotto che viene rispettato, dunque, ma anche trasformato: difatti, senza trasformazione non si potrebbe avere né gastronomia né arte. Che sia nei paesaggi su tela, nei salumi ovvero nei piatti dell'Osteria, la materia prima (con una magia degna del Boccino d'Oro, dessert ideato magistralmente durante il primo lockdown, ispirato alla saga di Harry Potter che veniva trasmessa in TV e, appunto, trasformata in un piatto sublime) si trasforma in cibo per lo spirito e per il corpo: per dirla con Gabriele Orazio, difatti, siamo tutti mutanti, siamo tutti artisti.


I partecipanti hanno poi rivelato i loro luoghi, piatti e prodotti preferiti della terra (andate a cercare le castagne d'acqua, con cui i nostri avi facevano eccellenti risotti!), da Montevecchia al Lago Annone, passando per tutti i colli che arricchiscono la verde Brianza che, nelle parole di Paolo Cattaneo (citato, in apertura d'intervento, da Agnese Spreafico) dobbiamo imparare - complici le limitazioni agli spostamenti - a guardare la Brianza con occhi nuovi, riscoprirla ed apprezzarla, come turisti nella nostra stessa terra: perché la Brianza è una vera metropoli in campagna.
Mari.T.
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