Il centenario del Pci, molti semi lanciati, tanti dispersi nel corso degli avvenimenti storici e sociali

Enrico Magni
Non intendo sostituirmi agli storici, posso solo, in una pagina, mettere in evidenza una interpretazione di un tratto psicologico che è stato presente nel PCI.
Certo, sono passati cent'anni dalla nascita del Partito Comunista Italiano, sono tanti e pochi allo stesso tempo, molti semi sono stati lanciati, tanti si sono dispersi nel corso degli avvenimenti storici e sociali.
Basta voltare la testa all'indietro e davanti agli occhi scorrono diapositive in bianco e nero di un paese per l'80% agricolo, per il 20% con un'industria meccanica e manifatturiera prevalente presente nell'alta Lombardia, con una scolarizzazione bassa, con un alto tasso di analfabetismo e semianalfabetismo, con una mortalità della natività elevata, con una vita media sui settant'anni, con infrastrutture minime, con una mobilità di merci e di persone prevalentemente circoscritta al territorio.
L'Europa è appena uscita dalla Prima Guerra mondiale, da una pandemia distruttiva. C'è la fame per le strade. C'è la rivolta del pane (1917), c'è l'occupazione delle fabbriche (1919/20). Le condizioni di vita sono spaventose, i diritti sociali e politici sono riservati a pochi.
Tutto ciò convince Lenin che l'Italia sia il paese occidentale dove la rivoluzione potrebbe scoppiare per prima.
E' dentro questo scenario che un gruppo di intellettuali borghesi come Nicola Bombacci, Amadeo Bordiga, Onorato Damen, Bruno Fortichiari, Antonio Gramsci e Umberto Terracini, affascinati dalla rivoluzione d'ottobre del 1917 in in Russia e da Lenin, daranno origine al Partito Comunista, separandosi dal Partito Socialista (1921) durante il Congresso del Partito socialista italiano di Livorno.
Il luogo del dramma della separazione, della divisione, della maledizione è il teatro San Marco di Livorno. Il teatro è il luogo sacro della rappresentazione, della elaborazione e trasformazione della realtà. San Marco è compagno degli apostoli Paolo e Pietro: Pietro lo chiama suo figlio. Stando dentro alla drammaturgia la separazione è lo scontro, scarto tra padre e figlio. La separazione, la divisione sono due costanti che si ripeteranno nel tempo. Tutto questo è un processo inconscio collettivo causato da un meccanismo coattivo: coazione a ripetersi che si riproduce e si rigenera costantemente nel tempo.
Le condizioni sociali storiche, antropologiche cambiano ma sulla scena del dramma compare la scissione, il distacco. Infatti, Lenin, già nel 1920 scrive un opuscolo L'"estremismo", malattia infantile del comunismo. In questo opuscolo c'è già la questione predittiva della malattia che perseguiterà socialisti, comunisti, progressisti. C'è un filo rosso inconscio che domina la scena.
Non è un caso che la disciplina all'interno del partito sia marcatamente autoritaria, gerarchica, dispotica. Chi si pone come voce critica è considerato un possibile traditore. La storia del partito è costellata da morti fratricide. Non entro nel merito di tante vicende, queste le lascio agli storici, mi soffermo soltanto a evidenziare l'ambivalenza della pedagogia del partito fin da quell'epoca.
Da una parte il partito svolge un lavoro profondo di alfabetizzazione, di formazione degli analfabeti, costruisce e forma una classe dirigente con una formazione costante; mette al centro l'istruzione, la cultura come leva per migliorare le condizioni sociali. Ma, l'altra facciata di questa pedagogia è autoritari, 'leninista': il partito ha sempre ragione.
Chi appartiene al partito, chi fa parte del partito è tenuto a rispettare, obbedire le direttive. E' il centralismo democratico. Questa impostazione genera una ricaduta verticale dal centro alla periferia. C'è una linea continua: la linea del partito,quando è presa, non si discute. E' quella.
Questo causa uno scontro tra onnipotenza/impotenza, tra ordine/disciplina. E' una pedagogia che contiene in sé il germe del conflitto tra Zeus e Prometeo che sfugge alla dialettica (Hegel, Marx) o, banalmente, al dialogo costruttivo. Questa malattia ha contaminato la storia del partito, che non va confusa con la partecipazione affettiva, sociale, collettiva e comunitaria della gente e degli iscritti.
Oggi, come ieri, l'essere di sinistra, progressista, inclusivo va oltre alla dimensione del partito, anche se il partito svolge ancora una funzione condizioni necessaria per governare, ma i partiti, i movimenti...non sono lo Stato.
Dr.Enrico Magni
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