Viaggio in Brianza/15: tappa a Viganò, fra municipio, Palazzo Nobili e casa di riposo

La nuova tappa del nostro Viaggio in Brianza ci porta questa domenica nel piccolo comune di Viganò, proprio presso il suo palazzo municipale, una volta residenza estiva della famiglia Nobili.

VIGANOREM
Di Viganò si ha la prima traccia in un diploma redatto il 27 aprile 1162 a Pavia, dato dall'imperatore Federico Barbarossa all'abate Algiso, titolare dell'antica abbazia di Civate. Su questo atto sono elencate ben 35 località nelle quali vengono confermati gli antichi possedimenti dell'ente monastico. Non si può escludere che Viganò possa comparire in documenti di epoche precedenti poiché sul diploma la località viene definita come "antica", ma per risalire alle origini storiche è possibile solo fare ipotesi.
Secondo gli storici basandosi sui nomi dei Santi, a cui sono dedicati gli edifici religiosi, è possibile determinare il periodo di costruzione. In Brianza il cristianesimo si afferma soprattutto per la tenace opera di evangelizzazione voluta da Sant'Ambrogio alla fine del Quarto secolo promuovendo l'edificazione di chiese ed oratori che inizialmente erano dedicati ai santi martiri. La chiesa parrocchiale di Viganò è dedicata a San Vincenzo, un martire al quale dovevano essere particolarmente devote le prime comunità cristiane in Brianza.

Sebbene se ne siano perse le tracce materiali, a Viganò esisteva anche un antico oratorio dedicato a Santo Stefano, un martire che è stato tipico del culto cristiano del Quinto secolo e non sarebbe azzardato ipotizzare che abbia soppiantato precedenti divinità pagane. È significativo che la chiesetta di Santo Stefano, ripetutamente riportata sulle mappe in occasione delle visite episcopali, fosse collocata nel nucleo storico di Viganò Sopra, proprio all'incoccio tra la via che una volta proveniva da Monticello (l'attuale Via Quasimodo) e la strada che portava a Crippa e Sirtori (l'attuale Via Risorgimento). Ancora oggi è chiamato "Santo Stefano" il gruppo di case che si affaccia sulla piazza Battisti ed è suggestivo pensare che le belle colonne di granito situate nel contiguo cortile privato possano aver fatto parte della struttura muraria di quell'oratorio.
Ulteriori approfondimenti sulle lontane origini di Viganò possono essere fatti studiando l'etimologia del suo nome: Viganò deriva dal latino "vicanorum", ovvero dei Vicani; da questo iniziale termine latino vi è stata la volgarizzazione della "c" in "g" ed il genitivo "-orum" è stato troncato con la "o", come successo per Barzanò. Vicani erano comunemente chiamati dai Latini gli abitanti del Vico, ovvero del villaggio, ma nelle zone a nord del Po con il termine "Vici" si indicavano gli insediamenti rurali dei Celti. Questo gruppo etnico occupava allora non solo la parte settentrionale della Pianura Padana, contendendola alle popolazione di ceppo ligure ed agli Etruschi, ma estendeva il suo territorio a buona parte dell'Europa occidentale e balcanica, lasciando notevoli tracce come le tombe risalenti al Sesto e Settimo secolo, ritrovate all'inizio del Novecento, presso la vecchia stazione tramviaria di Barzanò.
La civiltà dei Vicani, basata sull'allevamento e la pastorizia, non conosceva la proprietà privata ed aveva sviluppato una forma di utilizzo comunitario dei pascoli e dei boschi gestita dalle adunanze della popolazione.

L'ARRIVO DEI ROMANI E LA DECADENZA DELLE TRADIZIONI VICANALI
I romani, arrivati nel Secondo secolo avanti Cristo, usavano dividere il territorio conquistato tra i veterani delle truppe, imposero la proprietà privata ai Vicani, lasciando aree le aree meno adatti alla coltivazione. Inoltre un trattato stipulato nel 191 avanti Cristo, tra Romani ed Insubri, ovvero i Celti della Brianza, prevedeva che nessun insubre poteva ottenere la cittadinanza romana. Se ciò da una parte ghettizzava le popolazioni autoctone briantee, dall'altra contribuì a mantenere intatta la struttura sociale dei Vicani, prolungando nel tempo le caratteristiche dell'insediamento celtico nelle forme dei Vici.
Sembra che i Vicani godessero di una posizione giuridica diversa nei confronti degli altri abitanti del territorio. Conservando infatti tradizioni ed istituzioni celtiche riguardo la proprietà ed i rapporti sociali che sopravvissero alla romanizzazione del territorio, ben oltre la caduta dell'Impero Romano d'Occidente.
Si può pertanto dedurre che a Viganò, per meritarsi l'appellativo di territorio dei Vicani, queste consuetudini sociali si siano mantenute più che in altre zone e questa ipotesi è confermata da un documento datato 1356 relativo ad una cessione di beni ecclesiastici, nel quale si dà cenno ad una località di Viganò detta ad Maiolam: erano chiamati Mallii gli antichi convegni rurali e Malliola i luoghi delle adunanze. Il documento appena citato è interessante anche perché, oltre a citare toponimi tutt'ora in uso e testimoniare la presenza, già allora, della chiesa di San Vincenzo, fa menzione di un terreno comune a vigneto per il quale la gente di Viganò era tenuta a corrispondere ogni anno 3 mine (arcaica unità di misura del Mediterraneo orientale) di vino in occasione della Pasqua. Considerata l'esigua quantità, è da ritenersi un'offerta simbolica alla chiesa per la celebrazione delle messe pasquali.
Un altro documento, posteriore di cento anni, dimostra che Viganò conservava ancora le usanze vicanali. A metà del Tredicesimo secolo, sulla pubblica piazza di Viganò si radunavano i rappresentanti dei comuni e delle chiese appartenenti alle pievi di Missaglia e di Agliate per definire annualmente la nuova ripartizione degli estimi sulle persone, voluta da Francesco Sforza, duca di Milano, che gravava ulteriormente sui magri bilanci familiari già resi critici dalla continua situazione di guerra.
C'è da chiedersi il perché questo grande convegno avvenisse proprio a Viganò, un villaggio di poche case senza né una torre né un castello, così povero da non potersi permettere un sacerdote a tempo pieno e non in un borgo più importante come poteva essere Missaglia, Barzanò oppure Besana. Infatti secondo un atto notarile dell'agosto 1453 al prete Carulo de Pirovano viene chiesto di celebrare la messa per Viganò e per Monticello, poiché le due comunità, singolarmente, non erano in grado di mantenere due sacerdoti.
Si può a buon diritto ritenere che le genti brianzole di quel tempo riconoscevano Viganò come il luogo depositario delle più antiche usanze dei raduni comunitari, sopravvissute al corso dei secoli, all'Impero Romano ed alle invasioni barbariche. Frequenti mutamenti di ordine politico nel territorio viganese, nonché l'inquinamento culturale apportato da diverse dominazioni straniere che imposero il loro potere, fecero scomparire tradizioni così antiche di cui rimangono solo labili tracce.

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UNA POSSIBILE ORIGINE DELLA FESTA DI SANTA APOLLONIA
La festa patronale di Santa Apollonia che si celebra a Viganò e che oggi è soprattutto conosciuta come la sagra del raviolo dolce, fino a qualche decennio fa era notissima in tutta la Brianza perché vi si svolgeva l'usanza popolare della "bulada della murusa" durante la quale i giovani chiedevano in sposa le ragazze. Questa festa in paese attirava in paese un gran numero di persone. Potrebbe essere stato un ultimo ricordo di quelle remote usanze? L'ipotesi non ha, fondamenti storici, ma alcuni studiosi etnografici sostengono che certe tradizioni popolari lombarde, così come alcune leggende, fra quelle della "Gibiana", sostengono che traggono origine dalla antica civiltà popolare celtica.

PALAZZO NOBILI: DA VILLA DI DELIZIA A MUNICIPIO
Purtroppo non si hanno documenti che ne possano dare una datazione certa, ma questo edificio di origine ottocentesca, è probabile che sia stato costruito all'inizio del secolo, quando Vertemate Franchi Fedele comprò da Villata Guido e Carlo, residenti a Viganò, i terreni dove attualmente sorge palazzo Nobili. Il motivo per cui questo edificio porta il nome "Nobili" è perché questa famiglia ne è divenuta proprietaria con il trascorrere del tempo e delle generazioni, sino a quando non è stato donato, nel 1952 alla Fondazione Cabiati e Ronzoni di Seregno.
Per quanto siamo riusciti a scoprire, l'odierno palazzo comunale di Viganò divenne la residenza estiva della famiglia Nobili che si spartiva con la famiglia Pirovano i terreni e le cascine circostanti per la coltivazione dei campi. "Ricordo bene che di fronte al portone una volta c'era un'esedra con un cancello in ferro battuto, mentre alle spalle del palazzo si estendeva un immenso parco attraversato da un lungo viale che, si raccontava, era percorso dalle sfarzose carrozze dei signori" testimonia Renato Ghezzi, Assessore alla Cultura e ai Servizi alla Persona del Comune di Viganò.
Nella seconda metà del Novecento, il palazzo venne adibito a residenza estiva per le orfane ospitate della Fondazione Cabiati-Ronzoni e, come afferma Renato Ghezzi: "Ho bene in mente l'immagine di quelle bambine che d'estate passeggiavano in gruppo per il paese e spesso erano oggetto di scherzi infantili di alcuni bambini". I Nobili erano molto legati alla fondazione Ronzoni e l'avevano sempre supportata durante il periodo in cui avevano vissuto a Seregno. Un importante aiuto, oltre alla donazione della villa viganese, fu la concessione nel 1928 del terreno su cui ancora oggi trova luogo la sede della Fondazione Ronzoni, in via Benedetto 49.
A metà degli anni Ottanta la Fondazione Ronzoni decise di vendere il palazzo in centro a Viganò all'amministrazione comunale, contemporaneamente si impegnò a realizzare una struttura che fosse in grado di svolgere le medesime funzioni. L'edificio fu costruito proprio davanti a Palazzo Nobili, dove per qualche anno sono continuate le attività della fondazione seregnese.
Mentre palazzo Nobili divenne il centro nevralgico per l'amministrazione del territorio, alla fine degli anni Ottanta la nuova struttura della Fondazione Ronzoni ospitò la biblioteca civica che vi rimase sino al 2011. Venne in seguito trasferita nel vecchio palazzo comunale in piazza Don Gaffuri.
Per ricostruire esattamente la storia del Palazzo Comunale sarebbe necessario svolgere ricerche più approfondite, poichè i documenti che lo riguardano sono divisi tra l'Archivio di Stato di Milano e quello di Como, alcuni addirittura a Vienna, in quanto che uno dei proprietari, Generale Antonio Bertoletti, morto a Vienna, compì l'atto di donazione per i figli proprio da quella città. La nostra ricerca, come per ogni nostro articolo, non si ferma qui. Il nostro obiettivo è di ricostruire tutte le vicende storiche che hanno portato alla costruzione di questo Palazzo cercando di capire i motivi che hanno spinto una delle più ricche famiglie lombarde dell'epoca, i Vertemate Franchi, a scegliere proprio Viganò per la costruzione di una delle loro residenze.

I LAVORI DI RESTAURO DEL PALAZZO COMUNALE
L'attuale vicesindaco di Viganò, Stefano Cazzaniga a conclusione dei lavori di restauro nel dicembre 2012m sul periodico edito dall'amministrazione comunale "Il Punto"raccontava: "L'elemento che salta subito agli occhi è la differenza cromatica delle facciate rispetto a come erano prima dei lavori. Si è infatti passati dal giallo, tipico di molti edifici della zona, a un bianco calce. Proprio quello era il colore originario dell'edificio e, in accordo con la Soprintendenza per i beni culturali e architettonici di Milano, si è scelto di ridonare l'antica colorazione alle facciate. Chi anticamente ha costruito quel Palazzo non aveva scelto a caso il bianco dal momento che, come oggi si può ben notare, le decorazioni in pietra molera sono messi in risalto, mentre con il giallo tendevano a confondersi. Anche gli infissi e il portone hanno richiesto un'opera di restauro; anche in questo caso la colorazione è ritornata ad essere quella originale, un grigio poco più scuro rispetto a quello presente prima dei lavori. Ovviamente i restauri non hanno interessato solo gli aspetti cromatici, ma sono state effettuate una serie di operazioni per rimettere a nuovo gli intonaci, riparare le crepe anche strutturali, che erano presenti e eliminare muffe, alghe e altri organismi biologici che avevano intaccato alcune parti del Palazzo. Gli elementi in pietra molera sono stati anch'essi sottoposti a trattamenti di pulizia e rinforzo. Inoltre anche il tetto ha subito un'importante opera di restauro con il recupero di tutte le tegole originali e il rifacimento della copertura sottostante con materiale adatto alla coibentazione".

VILLA PEVERELLI CASA DI RIPOSO FRATELLI ENRICO ED ANTONIO NOBILI
La struttura originaria della casa di riposo, tuttora corpo centrale dell'intero stabile, è opera di Francesco Peverelli, architetto milanese di fama internazionale, collaboratore dell'architetto Luigi Cagnola e continuatore dell'opera dello stesso nella direzione dei lavori dell'Arco della Pace dal 1833 al 1838. Attorno all'anno 1840, pensò di costruirsi una villa in Brianza, allora luogo privilegiato di villeggiatura delle nobili famiglie milanesi. Progettò egli stesso la costruzione, ponendo particolare cura alla "torretta", sulla quale venne impressa l'iniziale del cognome della famiglia. Scopo della torretta, posta sul punto più alto del parco, era quello di dare un'immagine visibile da lontano della proprietà e di avvistare in anticipo le carrozze degli ospiti della villa.

La villa rimase di proprietà della famiglia Peverelli fino al 1932, quando il dr. Peleo Peverelli, medico chirurgo, la donò ai frati francescani della parrocchia di S. Angelo di Milano, in segno di riconoscenza per le cure ricevute presso l'Ospedale Fatebenefratelli. Presso la Casa di Riposo si può apprezzare la lapide dedicata alla Sig.ra Maria Maruti vedova Peverelli, morta nel 1895, donna di notevoli qualità morali che i figli hanno voluto ricordare e portare a futura memoria.
la Casa di riposo della Fondazione Nobili sorse nella villa Peverelli attorno agli anni Quaranta del secolo scorso per iniziativa ed opera generosa e benemerita dei fratelli Antonio ed Enrico Nobili di Seregno che nello statuto indicavano le finalità del loro progetto: "[...] allo scopo di lenire i disagi delle persone anziane del Comune di Barzanò [...] Per loro intervento, [...] l'Ordine Religioso di San Carlo Borromeo dei Frati Minori di Milano [...] donava all'Ente Comunale di Assistenza di Barzanò una ex villa padronale [...] Per la costituzione di un primo fondo per le spese di funzionamento e per provvedere alla trasformazione del fabbricato i signori Enrico ed Antonio Nobili donavano la somma di lire [...] L'Istituzione per condizione voluta dai Signori Nobili sarà denominata ‘Fondazione Fratelli Enrico ed Antonio Nobili - Ricovero per vecchi' [...]"
Se un ramo della famiglia Nobili si era impegnato per la tutela e difesa delle orfane, un altro si era invece prodigato per la cura degli anziani con la creazione di questa fondazione.
Dopo lo scorporo dal comune di Barzanò degli odierni comuni di Sirtori, Viganò e Cremella del 1953, lo statuto della fondazione dei Fratelli Nobili venne modificato con una precisazione: "A seguito della ricostituzione in Comuni autonomi di Sirtori, Viganò e Cremella, già reparti del Comune di Barzanò, la giurisdizione territoriale dell'ex Comune di Barzanò è stata suddivisa fra gli attuali Comuni di Barzanò, Sirtori, Cremella e Viganò. Conseguentemente la Fondazione si intende istituita a favore degli abitanti dei predetti Comuni ed ha sede in Viganò. [...]"

LA TORRETTA PEVERELLI
Incontrando il presidente della Fondazione Enrico e Antonio Nobili Tarquinio Tuccia ci è stato possibile chiedergli maggiori informazioni sulla torretta che si staglia sul fondo del parco della casa di riposo, ben visibile da via Monte Grappa: "La Torretta Peverelli venne edificata nella prima metà del Diciannovesimo secolo, andando a completare il patrimonio edilizio dell'ottocentesca villa Peverelli che ospita la casa di riposo. La costruzione di questa torretta ornamentale è dovuta probabilmente alla concezione dei giardini all'inglese di stampo settecentesco, in cui venivano posizionati ad arte, in aree verdi di vaste dimensioni e di elevate qualità paesaggistiche, elementi architettonici o ‘false rovine' in grado di suscitare sorpresa o curiosità nel visitatore. In tale ottica quest'opera è stata posizionata al culmine della proprietà: come ultima meta per coloro che attraversavano il parco, oppure come destinazione per coloro che volevano godere della riguardevole vista dalla sua cima. L'elevata qualità delle soluzioni architettoniche e decorative della torretta Peverelli ne fanno un oggetto di grande pregio oltre che una possibile attrazione per i più curiosi. Per questo motivo i lavori che si stanno svolgendo grazie alle generose donazioni, al prezioso supporto della Fondazione Comunitaria del Lecchese Onlus e i contributi dei Comuni di Viganò, Barzanò, Cremella e Sirtori, permetteranno di rendere questa torretta un'occasione di apertura della Rsa verso il territorio. È infatti nell'interesse della Casa di Riposo che, quando le condizioni epidemiologiche lo permetteranno, questo prezioso manufatto sia reso il centro di iniziative che portino animazione per i suoi ospiti, come anche un'occasione di riscoperta della sua storia per i più giovani".

In questa tappa a Viganò abbiamo ripercorso la storia su due ville ormai totalmente trasformate dall'amore di una famiglia. Con le informazioni che siamo riusciti a raccogliere, abbiamo capito quanto la generosità della famiglia Nobili ha reso questo piccolo borgo un porto sicuro per chi era un tempo come oggi, in una situazione di particolare fragilità.

Rubrica a cura di Giovanni Pennati e Alessandro Vergani
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