Paul Assange e Abdel Latif: due storie di informazione negata

Sì, in questo tempo di epidemia, di vicinanza al Natale, con il freddo, la neve sui monti, per le strade, con alcuni poveri diavoli che gelano e muoiono di notte in androni della capitale o in qualsiasi altro luogo, per il network locale, attento alla cronaca e alla politica, potrebbe essere uno spericolato doppio salto raccontare di storie apparentemente dissimili e lontane. Eppure le storie sono sempre connesse da una dinamica che fa interagire il micro e il macro. Le due storie riguardano l’informazione e il potere.

Il dr. Enrico Magni
La prima è di Julian Paul Assange, nato a Townsville, 3 luglio 1971, giornalista, informatico attivista australiano, cofondatore e caporedattore dell'organizzazione divulgativa WikiLeaks. Nel 2010 è salito ad ampia notorietà internazionale per aver rivelato tramite WikiLeaks documenti statunitensi segretati riguardanti crimini di guerra, ricevuti dall’ex militare Chelsea Manning. I files per l’Amministrazione America, essendo classificati come segreti di Stato, non dovevano essere pubblicati. L’autore che pubblica informazione segretate dallo Stato va contro a delle sanzioni penali dure che prevedono anche la pena capitale. Per questo motivo Julian Paul Assange scappa in Russia, in Svezia e dal 2012, fino l’11 aprile 2019 (7anni), si rifugia nell’ambasciata dell'Ecuador a Londra. In seguito è arrestato dal servizio britannico e sottoposto a giudizio per l’estradizione negli Stati Uniti. D’allora Assange è detenuto nel carcere di massima sicurezza di Belmarsh.  Nils Melzer, inviato speciale delle Nazioni Unite contro la tortura, afferma di essere gravemente preoccupato per le sue condizioni di salute, infatti, Assange è ricoverato da mesi nell'infermeria del carcere.

Il 4 gennaio 2021 (primo grado di giudizio) il giudice britannico respinge la richiesta di estradizione negli Usa, ma il 10 dicembre 2021, l'Alta Corte di Londra, ribalta la sentenza di primo grado ed è per l’estradizione. Assange rischia una pena di 175 anni di prigione. E’ la prima volta nella storia degli Stati Uniti che un giornalista finisce in carcere per il suo lavoro. Molte testate giornalistiche, anche italiane, si sono mosse per accedere alla visione della documentazione, ma il giudice Edward Mitchell nega il diritto alla stampa di accedervi. A questo punto la questione non riguarda solo la stampa ma tocca i gangli della democrazia.  E’ un problema di tutti i cittadini. Solo attraverso l’accesso agli atti è possibile farsi una doxa in merito a tutta la vicenda. Solo quando è possibile conoscere i fatti si può esprimere un parere.
La questione di Assange è indicativa per il frastuono mosso e sollevato dalla più autorevole democrazia (USA), ma storie similari alla sua, meno appariscenti sono presenti non solo nelle democrazie occidentali. Basti pensare ai 22 mesi di prigionia inflitti al giovane dottorando Patrick George Zaki per aver scritto sulla condizione dei cristiano copti, oppure al giornalista Shahira Amin, simbolo della rivoluzione di piazza Tahrir, in carcere dal 2019, o per lo scrittore Yamal al Yaml e tanti altri giornalisti.
La seconda storia è di Abdel morto in un reparto di psichiatria dopo la detenzione in un Centro di permanenza per rimpatri.

Sono quelle strutture brutte, vergognose come tante strutture psichiatriche che cozzano con il concetto di società aperta come sosteneva il filosofo Karl Popper. C’è modo e modo di accogliere, redistribuire e rimpatriare. La gestione di questi centri è sostanzialmente segretata, svolge una funzione di controllo e di punizione. Sono realtà che, il vecchio Michel Foucault, descriverebbe con acuzia: sorvegliare e punire.

Abdel Latif, si è sentito male nel Cpr di Ponte Galeria ed è stato portato nel reparto psichiatrico del San Camillo ed è morto. La cosa si è saputa perché si è mosso Stefano Anastasia, Garante dei diritti delle persone private della libertà per la Regione Lazio. Sulla sua morte ancora molte domande sono senza risposta. Come per Assange le autorità cercano di negare l’informazione e di nascondere. Va detto che la contenzione è diventata una modalità di operare. I decessi per arresto cardiaco sono frequenti. La contenzione causa delle reazioni incontrollabili. Non è il primo. Le due storie evidenziano l’importanza di un’informazione libera, seria e approfondita.
Dr. Enrico Magni
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