Viaggio in Brianza/28: a Molteno la chiesa di San Giorgio domina il paese dalla collina

Questa domenica il nostro Viaggio in Brianza prosegue arrivando sino a Molteno, precisamente alla sua parrocchiale dedicata a San Giorgio Martire.
Il territorio del paese si sviluppa su di un’irta collina che rappresenta il ''Ceppo'', anima pulsante delle origini del paese; sul culmine troviamo la chiesa. Lo sviluppo dell’area urbana si è ampliata alle pendici di questo colle dove si possono trovare svariate aree coltivate.

VIA BONANOMI
Lasciandoci alle spalle quello che si potrebbe definire il nuovo centro del paese, Piazza Risorgimento, ci incamminiamo lungo via Bonanomi e subito a sinistra si può trovare quello che rimane della prima e più antica casa di villeggiatura con giardino. Di questa villa si hanno notizie già dal 1721, quando era di proprietà del signor Piazzoni Nobile Costanzo. Di fronte, un ermetico palazzo dal portone ligneo che nasconde una Corte spaziosa al cui centro cresce una rigogliosa magnolia.
Continuando sulla strada in porfido, si apre il pittoresco scenario del paese: una sorta di piazza in pendenza al cui centro, con dolce mormorio, gocciola la fontana. Si tratta di una piazza chiusa in cui lo sguardo spazia a trecentosessanta gradi alla ricerca di scorci caratteristici: le logge nei sottotetti da cui svolazzano lenzuola profumate in attesa di essere asciugate e portali ad arco che danno sulle corti.
Procedendo lungo la salita, ci accompagnano le mura di cinta del giardino di Villa Piazzoni fino a raggiungere una piccola scala che conduce alla grotta della Madonna di Lourdes. Pochi passi ancora ed ecco  piazzale della chiesa. Da questa altezza si può osservare la chiesina di San Rocco, il parco di Villa Rosa (oggi sede del municipio) e sullo sfondo il paesaggio che, da Raviola, tocca Garbagnate Monastero e corre verso la frazione di Gaesso.
Proseguendo sul porfido a lato della chiesa, si raggiunge la parte retrostante della stessa dove possiamo trovare l'occasione per scendere attraverso l'antica scalinata ed assaporare altri scorci meno noti di questo centro abitato. Proprio qui un tempo sorgevano le mura del castello di Molteno.


DAL CASTELLO ALLA CHIESA: LA FAMIGLIA MOLTENO
Un simile rilievo, isolato come il Ceppo, circondato da paludi che lo rendevano inaccessibile, ben si prestava per una rocca di difesa al tempo delle frequenti guerre di predominio. Intorno all'anno 1000 è facilmente ipotizzabile che qui vi si trovasse una fortezza dei signori locali.
Nel 1569 il curato di Molteno inizia così la sua relazione sullo stato d’anime: “Alla Parrochial Genesia do S.to Georgio in Molteno iuspatronato della famosa Casa delli Molteno…”. Se la famiglia aveva il diritto di patronato su una chiesa era perché quella chiesa era stata fondata e sostenuta finanziariamente da quella casata. Anche la dedicazione della Chiesa al Martire San Giorgio rende verosimile l'ipotesi che la fondazione della stessa sia dovuta ad una famiglia nobile, proprietaria e feudataria del posto. È certo che dove oggi sorge la chiesa un tempo si trovava il castello dimora della famiglia Molteno.
Dell'esistenza di un castello a Molteno abbiamo ricordo in alcuni documenti riferiti ai suoi ruderi. Una prima attestazione la si può ritrovare nella visita pastorale di San Carlo nel 1571, quando viene descritta la casa parrocchiale confinante da una parte con il castello e dall'altra con la proprietà di un certo Antonio Riva. I ruderi del castello vengono citati ancora al tempo della visita del cardinal Federico Borromeo sempre a proposito delle proprietà parrocchiali.

Dalle rovine vennero tratti alcune costruzioni, tra cui un’abitazione di proprietà di Donna Giulia Venini, presso cui venne ritrovato un armadio a muro chiuso da mattoni contenente vari libri e  manoscritti antichi. Questi vennero venduti dai muratori che trovarono questo ripostiglio al tabaccaio Luigi Colombo come carta per avvolgere la merce. Malgrado tutte le ricerche vennero recuperate solo pochissime pagine di questi volumi che furono successivamente smarrite.
Bisogna però dire che sarebbero necessarie delle ricerche più approfondite capaci di ricostruire la storia dell’antico castello e della sua famiglia.
I nobili ”de Molteno” più che al castello erano interessati alla chiesa che era annessa. È vero che negli inventari del tredicesimo secolo non era stata annoverata, ma è noto che gli elenchi di Goffredo da Bussero (che redisse l’elenco delle chiese e dei relativi santi nel Ducato di Milano) mancano alcuni santi, tra i quali San Giorgio. La dedicazione al Santo guerriero è peraltro tipica delle cappelle private che corredavano le postazioni militari.
Per quanto riguarda la datazione, la chiesa esisteva già nel 1206, ma i finanziamenti della famiglia Molteno, giunsero successivamente e sostennero la chiesa per molto tempo. A questo proposito e significativo il testamento di un certo Marchiolo da Molteno del 1395 con cui lasciò tutti i suoi averi per un quarto alla chiesa di San Giorgio di Molteno e per gli altri tre quarti alla chiesa di Santa Maria di Villinicino. In questo modo Marchiolo da Molteno volle destinare un’elemosina annuale ai parrocchiani di entrambe le chiese. Questo è solo un esempio delle opere che la famiglia Molteno fece a favore della chiesa di San Giorgio nonostante a quel tempo non vivessero più nel loro paese natale.
Nell'archivio parrocchiale non vi è alcun documento dal quale si possa ricavare il tempo in cui fu eretta la chiesa di Molteno; il più antico dei registri è quello dei battesimi e non va oltre il 1564. Sembra dunque che la costruzione di questa parrocchia debba risalire a tempi più lontani, però mancando documenti storici che possano dare una data precisa all'avvenimento di questa costruzione, dobbiamo prendere in considerazione una visita fatta a Don Paolo Bonanomi nell’aprile del 1894 la cui cronaca è stata ritrovata negli archivi parrocchiali:

“Si deve sapere che in un giorno del mese di Aprile nel 1894 e quel giorno pioveva a dirotto, un signore ed una signora si presentarono in casa parrocchiale cercando del parroco don Paolo Bonanomi. Il signore tarchiato e robusto, di una quarantina d'anni non aprì bocca. La signora invece con molta gentilezza e parlando un francese un poco stentato, disse che essi venivano dall'Africa ma non spiegò da quale regione o stato essi provenivano: nella loro famiglia si diceva che i loro antenati al tempo delle crociate avessero costruito la chiesa di Molteno e che poi fossero partiti per l'Africa; il motivo della loro visita era appunto che essi volevano vedere la chiesa voluta dail loro antenati.
Don Paolo Bonanomi promise loro che li avrebbe condotti a visitare la chiesa, ma che non avrebbero trovato nulla di quanto cercavano poiché la suddetta chiesa doveva essere stata abbattuta e al suo posto ora ve ne era un'altra che risaliva al 1713. Infatti andarono a visitarla e si resero conto che non aveva nulla che si riferisse al tempo delle crociate. Ma ecco l'anno seguente (1895) in primavera venne un altro signore che si presentò come fratello della signora venuta l'anno prima. Pisse che i loro antenati erano oriundi di Molteno anzi che il loro cognome era Molteno. Il parroco poté constatare da un biglietto da visita: Percy A. Molteno – Parklands, Shiere. Qo Palace Court W. – nr. Guildford.

Il signore fece molte domande intorno alla chiesa ed al cimitero. In questa occasione don Paolo si mise a riflettere e sì ricordò che il muro, che si trovava a sinistra del piccolo corridoio che dalla sacrestia metteva nel presbiterio e che guardava nel cortile della Chiesa parrocchiale, era il più antico e forse poteva risalire all'epoca delle crociate. Ad avvalorare questa ipotesi all'esterno del muro vi era un arco trino (un arco diviso in tre piccole finestrelle) che guardava nel cortile della casa parrocchiale punto il signore tornò dopo quindici giorni con due suoi fratelli e dopo aver visitato la chiesa ed il muro dell'arco trino si congedarono”.
Dal racconto che si è citato, si può desumere che la chiesa di Molteno e forse anche la parrocchia, siano state fondate al tempo delle crociate, ovvero tra l'Undicesimo ed il Dodicesimo secolo. È facile prestare fede alla testimonianza dei signori suddetti, poiché al tempo della guerra degli inglesi con i Boeri, nella regione del Sud Africa chiamata Transvaal, molti telegrammi riportavano il nome della località Molteno, paese omonimo che si trova in quella regione. Ritrovare in quella zona questo nome può far concretamente supporre che alcune persone siano emigrate in Sud Africa e abbiano fondato il paese di Molteno portando con sé notizie sul loro paese di origine che ancora oggi vengono tramandate nelle famiglie dei loro posteri.


IL SAGRATO
La posizione rialzata dove vengono ubicati i santuari in Brianza vuole ricordare i santuari ellenistici e richiama per effetti scenografici e prospettici i temi analoghi sviluppati nel Settecento ed Ottocento nelle ville di delizia. Con questa descrizione del Morini può ben essere illustrata la chiesa di San Giorgio di Molteno.
Saliti lungo il lungo sagrato gli elementi che compongono architettonicamente la piazza antistante il santuario sono il tiglio secolare, la scala, la chiesa e la crocetta stazionaria: una sorta di piazza dechirichiana in cui ogni elemento non può essere sottratto all’unità se non si vuole perdere la sua unicità. Ecco allora che salendo la ripidissima scalinata costituita da lastre in serizzo, si scorge piano, piano, la fronte neoclassica della chiesa e lo sguardo, gradino su gradino, si allarga ad accogliere tutti gli elementi posati sulla piazza.
Il sagrato accoglie sul piano orizzontale il mosaico con la figura di San Giorgio che uccide il drago. Insieme si colgono gli altri elementi:
L'imponente tiglio che consideriamo facente parte della composizione originale, forse posizionato in modo del tutto intuitivo e casuale, ma che oggi si rivela elemento architettonico inscindibile dalle altre architetture e che caratterizza l'unicità del luogo.
La croce stazionale, in chiaro stile tardo rinascimentale, datata 1698 con scolpito nel basamento la figura di un drago alato. Forse questa non è altro che la “Pila lapidea ferram crucem sustinens…”, che il cardinal Giuseppe Pozzobonelli descrive essere al centro del cimitero. La data è probabilmente riferita alla costituzione del cimitero al di fuori della chiesa, come voleva l'autorità ecclesiale del tempo.
Questa piazza è cinta lungo il lato nord, parallelamente alla chiesa, da un alto muro in pietra che contiene la parte più alta del colle, che si erige ancora per alcuni metri di altezza e si apre lungo il lato ovest della chiesa (dove è l'ingresso) a formare il terrazzamento. Lungo quel muro, all’epoca della visita del cardinal Pozzobonelli, nel 1759 si sviluppò il cimitero.
Dalla piazza la scala, che si prolunga in via Vittorio Veneto, addentrandosi nell’abitato, congiunge il paese basso a quello alto, creando continui scorci prospettici di piacevole interesse paesaggistico.

IL CAMPANILE: SEMPRE ILLUMINATO
Il riferimento più lontano nella storia risale al 1571 quando San Carlo Borromeo, durante una visita pastorale in ogni parrocchia della Pieve di Oggiono, scriveva presentando l’elenco degli stabili della parrocchia di Molteno: “Il campanile era sulla sinistra di chi entrava in chiesa”.
Durante la visita di un successivo cardinale di Milano, il già citato Pozzobonelli, nel 1759 ci viene reso noto che: “Il campanile era quadrangolare portava quattro campane di media grandezza e c’era l’orologio”.
Il primo maggio del 1978 fu sfiorata la tragedia. Mentre suonavano le campane per un matrimonio, il battaglio della campana maggiore, del peso di cinquantacinque chilogrammi, per un difetto di lega si ruppe e rimase sospeso con la fune metallica di protezione che, qualche giorno prima, era stata provvidenzialmente annessa. Ci si accontentò di annotare il fatto solo sul chronicon parrocchiale, onde evitare incontrollabili allarmismi. Ancora oggi il vecchio battaglio viene conservato come sacro cimelio di un incidente sventato.
Il campanile di Molteno è sempre illuminato, come viene indicato nel libro che abbiamo utilizzato come fonte, perché rappresenta la comunità cristiana sempre in festa, e simboleggia la fede nel cuore di ogni membro della comunità.

GLI INTERNI DELLA CHIESA: IL CICLO DECORATIVO
Sin dalla facciata esterna si può subito comprendere la presenza di tre navate: la navata centrale è caratterizzata da un alto fronte composto da una serie di paraste (colonne decorative realizzate in bassorilievo) di ordine dorico reggenti una prima trabeazione. Su questa è impostato l’arco a tutto sesto che rimanda alla navata interna voltata a botte. Sopra, a conclusione, vi è il timpano spezzato dai due pinnacoli laterali e la croce di ferro centrale. A lato due logge preannunciano gli ingressi alle navate laterali. Sopraelevata per cinque gradini è la cornice in arenaria contenente il portone ligneo d’ingresso, elemento centrale del fronte-chiesa in perfetto stile neoclassico.
Entrati in chiesa, all’ingresso sono posizionate due cappelle: il battistero e la cappella di San Giorgio. Quest’ultima costruita nel 1903, si compone di un altare marmoreo a basamento decorato a croci e foglie in bassorilievo, con due colonnine; sopra, un soffitto voltato con decorazione a cielo stellato. Nell’edicola si trova il dipinto ad olio su tela raffigurante il Santo che uccide il drago, opera del pittore Romeo Rivetta portata a termine dopo la morte del parroco Bonanomi. Di fronte, con le medesime decorazioni, è la cappella del battistero con il bellissimo fonte battesimale in legno posto su colonna marmorea rossa, incassata nella nicchia semicircolare. Sopra, un affresco raffigura San Giovanni Battista mentre battezza Gesù Cristo.
La navata centrale, delimitata da quelle laterali con tre arcate, è caratterizzata dall’elegantissima decorazione in stile neoclassico con effetti marmorei policromi e riflessi dorati. Non possono sfuggire all’occhio del visitatore più attento i due confessionali in legno di noce con geometria di stile Settecentesco, posizionati tra due colonne, addossati alle pareti.
A metà navata, sulla destra, guardando l’altare maggiore, è collocata la cappella dedicata a San Giuseppe. L’edicola, in marmo bianco e rosato, è costituita da un altare dai particolari appoggi a forma di zampe zoomorfe. Sopra possiamo trovare il dipinto ad olio su tela di Pietro Rossi, datato 1886, rappresentante la morte di San Giovanni, incorniciato da una struttura marmorea con timpano illuminato da fregi e capitelli dorati. A soffitto la decorazione è caratterizzata dai quattro ovali raffiguranti i Santi Pietro, Paolo, Carlo ed Ambrogio con al centro la figura di San Massimo.
Tutte le decorazioni sono opera dell’autore milanese Luigi Valtorta, compresi due dipinti raffiguranti San Luigi Gonzaga che riceve la prima comunione da San Carlo Borromeo e la Madonna attorniata da coloro che potremmo definire appartenenti all’ordine delle Figlie di Maria Madre della Chiesa. Dello stuccatore Innocente De Carlini ancora si può scorgere la firma sul pilastro sinistro dell’arco dell’altare maggiore. Sulle pareti laterali dell’altare sono affrescati due dipinti del pittore Radice Di Galbiate: Gesù attorniato da persone e bambini ed una Sacra Famiglia con angelo ambientata nel paesaggio locale, mentre a soffitto sono rappresentati Gesù che scaccia i venditori dal tempio e la Scala di Giacobbe con angeli, affreschi tutti risalenti al 1868.
A coronamento delle navate vi sono i vetri artistici dei serramenti. Ma tutta la struttura ed architettura così ben concepita, nonostante le diverse tappe di realizzazione, si focalizza nel cuore del tempio, precisamente gli altari.
L’altare maggiore, sopraelevato da cinque gradini, è di notevole pregio sia per le linee stilistiche, sia per i marmi di colori diversi armonicamente incastonati. È sormontato da un baldacchino classicheggiante soprattutto nelle colonne e fiancheggiato da due statue di angeli, motivo che si ritrova frequentemente negli altari maggiori della Brianza.
Sulla sinistra, l’altare della Madonna si presenta ricco per la sua struttura tutta in marmi misti che a loro volta creano un effetto policromo. Sopra domina una scultura lignea raffigurante la Vergine con il Bambino con abito e ampio manto damascati con motivi floreali, dorato, con grossi finti rubini e zaffiri. La scultura risulta di buon pregio artistico, improntata a canoni barocchi ben visibili nell’impostazione e ornamento degli abiti.
Sulla destra abbiamo l’altare di Sant’Antonio con marmi rosso, grigio e nero, circondato da una balaustra che rispecchia la policromia dei marmi dell’altare e sormontato dalla statua in gesso di Sant’Antonio che regge, con la destra, il Bambino.  Due gruppi di figure dipinte a mano, fanno da corona alle statue dei due altari laterali: Santa Caterina e San Domenico intorno all’altare della Madonna, Sant’Antonio e San Sebastiano intorno all’altare di destra.
Da ultimo vogliamo segnalarvi il coro, opera lignea di pregevole fattura dell’Ottocento, collocato nell’abside e composto da dodici stalli più uno centrale con caratteristico inginocchiatoio munito di leggio.


L’ANTICO ORGANO
“L’imperatore austriaco Giuseppe II che regnò dal 1780 al 1790, si occupò molto anche delle riforme religiose pretendendo il diritto di compierle, inaugurando quel sistema giurisdizionalista che da lui prese il nome di giuseppino. Le sue riforme furono tante, tali e così minuziose che fu soprannominato ‘imperatore sagrestano’. Sotto le sue riforme, il monastero di San Pietro di Cremella venne chiuso nel 1786 e i suoi beni venduti; perfino le suppellettili della chiesa fu venduta. L’altare maggiore in marmo fu comperato dalla parrocchia di Cassago, le tre campane da quella di Veniano. Si mossero anche quei di Molteno per acquistare l’organo e perciò il quattro gennaio del 1787 indirizzarono al Regio Imperial Consiglio Governativo un’accorata supplica tramite Giuseppe Bressi, Priore della Confraternita del Santissimo e a nome dei Fabbricieri. Il 16 gennaio 1787 si metteva in moto la macchina burocratica governativa incaricando il parroco Pietro Cuzzi di Besana, subeconomo dei benefici vacanti perché conciliasse ‘col ricorrente la vendita dell’implorato organo per quel prezzo sarà creduto equo’. Poco meno di due mesi dopo l’amministratore di Besana riferisce di aver venduto per il prezzo di lire mille duecento alla chiesa di Molteno l’organo del soppresso monastero di Cremella”.
Con queste parole dello storico Cuzzi possiamo conoscere le origini dell’attuale organo di Molteno. Lo stesso storico riferisce poi che aveva rilevato da un antico registro delle annotazioni secondo le quali l’organo era stato comprato dal monastero per lire mille quattrocento l’undici marzo del 1616.
Nel 1897 l’intraprendente parroco don Paolo Bonanomi ampliò la chiesa parrocchiale con la costruzione delle due navate laterali, commissionò gli affreschi e l’intera decorazione da parte dei pittori Valtorta e Ribetta ed arricchì la stessa del sontuoso pallio in rame argentato, dorato e cesellato (dono della generosissima signora Isabella Riva), si occupò anche dell’organo che venne sostituito e trasportato, dalla navata laterale di fianco all’altare della Madonna, al posto attuale sopra al portone d’ingresso alla chiesa. In tal modo, seguendo le indicazioni dell’autorità ecclesiastica, si volle esaltare la musica sacra a discapito di quella profana e dai suoi strumenti. Per la festa di Sant’Ambrogio del 1897 venne collaudato il nuovo strumento realizzato dalla conosciuta ditta Ermolli Vittore.


UNA MERIDIANA SULLA CHIESA
Nella primavera del 1893 il Parroco Bonanomi si accingeva nell’ardua impresa di ultimare i lavori per il completamento dell’ampliata chiesa parrocchiale. Si trattava, come si esprime il chronicon redatto dal medesimo sacerdote: “Di arretrare le due Cappelle o altari laterali che stavano ancora stretti al vecchio posto, mentre le balaustre, obbligate ai due piloni con la sporgenza centrale, ingombravano la navata di mezzo e quindi l’estetica”.
Anche la meridiana che si trova sul lato sud della chiesa venne realizzata in quel periodo quale testimonianza pratica di come dagli antichi ad oggi, nella vita di tutti i giorni, il rapporto uomo-tempo non è mai dimenticato, ma sempre sentito e vissuto, unito al divino. L’opera, realizzata dall’ingegner Claudio Catuzzi, già residente a Molteno e con la concreta collaborazione del marmista Marco Frigerio di Sirone, è ancora oggi ben visibile nella sua ampia dimensione. Certi di aver suscitato il vostro interesse verso la chiesa moltenese, vorremmo cogliere l’occasione per ringraziare il parroco don Massimo Santambrogio che ci ha prontamente indicato il libro ''La chiesa di S. Giorgio: ove la notte non spegne la luce'' edito dalla comunità pastorale, nonchè importante fonte per questo articolo.

Certi di aver suscitato il vostro interesse verso la chiesa moltenese, vorremmo cogliere l’occasione per ringraziare il parroco don Massimo Santambrogio che ci ha prontamente indicato il libro ''La chiesa di S. Giorgio: ove la notte non spegne la luce'' edito dalla comunità pastorale, nonchè importante fonte per questo articolo.

Galleria fotografica (54 immagini)


Rubrica a cura di Giovanni Pennati e Alessandro Vergani
Invia un messaggio alla redazione

Il tuo indirizzo email ed eventuali dati personali non verranno pubblicati.