Nell’arco di due anni siamo passati dalla dimensione della certezza a una di incertezza, attesa, stallo

Alla fine di quest'anno tra covid diciannove e contrasti sociali ci si ritrova nella selva oscura trafitta di ombre, da luci sommesse, da voci contrastanti e incertezze per il futuro prossimo. La selva, il bosco e il cadere delle foglie coprono il sentiero e simulano vie mettendo il viandante in difficoltà. La dritta via non è smarrita, è soltanto nascosta da sterpaglie, arbusti, ombre, luci che ingannano lo sguardo e fanno rallentare il passo, anche perché sotto il fogliame potrebbe celarsi dell'acqua gelata e far scivolare.

Se si ascolta il fruscio strisciante del vento, il suono di un uccello, il brucare ansioso del cinghiale che smuove con il grugno la terra per soddisfare il suo bisogno costante di cibo, camminare nel bosco è un'avventura affascinante perché è possibile esplorare l'ignoto, l'inganno, l'inatteso. Basta allungare le antenne come fanno le lumache. E' come percorrere la trama complessa della scoperta di un vaccino, di un farmaco sicuro e certo: è quello che bisognerebbe fare in questo momento storico.

Nell'arco di due anni si è passati dalla dimensione della certezza che ogni cosa toccata fosse manipolabile e controllabile dall'essere umano a una condizione d'incertezza, di attesa, stallo.

Sul bancone del farmacista non si trova la pasticca risolutiva per il male; la maga con la sua pozione non solleva più la speranza della guarigione e le preghiere pur rassicurando non tengono lontano il malevolo, l'ingannatore. Nemmeno le stupende luci proiettate sulle facciate dei palazzi, delle piazze riescono ad esorcizzare questo Natale che doveva annunciare vacanze di riscatto. No. Tra pochi giorni sul palco le luci si spegneranno lasciando posto al grigiore delle facciate e delle piazze.

E' arrivata l'ennesima variante. La parola inconsueta è entrata in tutte le case. E' sulla bocca di tutti. Variante. Tutti sono convinti di conoscerne il significato: forte, debole, leggera, di passaggio. Ognuno cerca una risposta rassicurante; ognuno si convince che è meglio fare questo che quell'altro. L'insicurezza penetra nel reticolo sociale, la politica balbetta, spesso è dislalica e inciampa contro l'imprevedibile. I rimedi sono parziali, anche perché la questione è complessa e coinvolge la biocomplessità del sistema e ogni singola parte: dall'individuo al collettivo.

Invece si è verificata una rottura sostanziale tra le parti. La frattura pubblica più vivida (semplifico) è quella tra studiosi della bioscienze (biologi, medici, ricercatori) e umanisti (filosofi, letterati, giuristi e non solo). Si è creato uno scontro che non riguarda i no vax, si vax. La faccenda riguarda la rimozione e la negazione dell'interdisciplinarità del sapere tra materie scientifiche e umanistiche. Tra le varie parti si sono verificati degli scontri, delle contrapposizioni; viceversa sarebbe necessario un dialogo per far emergere la complessità della questione per trovare delle risposte costruttive. La contrapposizione non è funzionale al sapere e alla conoscenza. Il virus mette a dura prova tutti.

La governance dovrebbe svolgere una funzione di mediazione tra le parti, dovrebbe favorire un confronto costruttivo: è chiedere troppo. I media e i social network usano questa contrapposizione a vantaggio dell'uno o dell'altro. Il risultato è la babele. C'è il rischio, come nella metafora biblica che, i presuntuosi attori del sapere e della comunicazione, per la discordanza di animi e dei modi di esprimersi, incomincino a non comprendersi più producendo un virus complementare in grado di deformare e trasformare il sapere in un'afasica babilonia.

In questo momento critico il sociale, la collettività, l'individualità necessitano di ascoltare voci diverse in grado di costruire un sapere per il futuro e non rivolto all'ombra raffigurata nella caverna.

Il virus si vince solo esaltando tutti i talenti. Tutti sono chiamati al tavolo a giocare la partita.

 

dr. Enrico Magni
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