Retesalute: dopo tutti gli errori ora c’è un piano di rilancio o si va verso la chiusura?

La vicenda di Retesalute, che fino a ieri l'altro si poteva aggettivare come drammatica, ora minaccia di finire in farsa. La messa in liquidazione voluta in particolare dai segretari comunali di Merate e Casatenovo (e tutti gli altri appresso) col parere nettamente contrario di Olgiate Molgora si è chiusa a tempo di record, qualcosa di mai visto in passato. E ciò ne sancisce senza ombra di dubbio l'inutilità! In più ora sembra che i liquidatori non abbiano terminato il lavoro, completando però l'incasso delle parcelle a suo tempo stabilite (140mila euro).

Così, a metà giugno l'unica azienda che ancora non ha approvato il bilancio 2021 è Retesalute. Mancano i conti di chiusura quindi la riapertura è puramente teorica. Così come il budget 2022/2023 non si capisce su quali basi sia stato costruito in assenza di elementi certi dell'esercizio precedente: pagamenti al personale interno, a terzi per prestazioni di servizi, spese generali, ammortamenti, accantonamenti, oneri finanziari e così via.

Elementi essenziali se davvero si vuole predisporre un ricavo remunerativo per ciascun servizio erogato direttamente o indirettamente.

La verità - come questo giornale ha sostenuto dal primo giorno - è che la messa in liquidazione dell'azienda è stata una cazzata solenne che solo una banda di distratti e/o disinteressati avrebbe potuto - come ha fatto - avallare.

Bastava riprendere il piano del CdA precedente con una ricapitalizzazione, la ristrutturazione del prezzo di vendita dei servizi e, soprattutto - cosa che gran parte del parterre leghista non capisce - allargare la base dei soci. Perché senza massa critica non si costruisce una struttura manageriale.

Ha ragione il dottor Maffi, occorre rafforzare la dirigenza, dal direttore generale che deve avere competenze diffuse, alla direzione amministrativa e finanziaria. Anche se vende assistenza e non bulloni Retesalute è una società come tutte le altre. Deve coprire i costi di struttura e realizzare un margine operativo netto da destinare a investimenti.

Invece si è fatto tutto il contrario: si è proceduto a liquidare l'azienda addossandole una massa aggiuntiva di spese tra perizie, consulenze varie, società di certificazione e collegio liquidatori, diciamo non meno di 3-400mila euro. Per poi tornare come al monopoli, al via. Cioè al piano redatto nel 2018: coprire pro quota e pro servizi acquistati i differenziali di costo, portare l'esposizione a livelli fisiologici. Manca un aspetto strategico: tentare di recuperare i nove comuni dell'area besanese che con dispendio di energie proprie Marco Panzeri e Emilio Zanmarchi avevano attirato nell'orbita dell'azienda speciale. Grazie ai quali raggiungere quella massa critica di cui si accennava prima.

E' mancata la politica, quella vera e l'inadeguatezza del presidente dell'assemblea dei soci ha fatto il resto. Ricordiamo bene le parole di fuoco rivolte agli amministratori precedenti e al personale amministrativo dopo il bordello sollevato da Alessandra Colombo, presidente dell'ultimo CdA e poi, guarda caso, membro del Collegio dei liquidatori su bilanci falsificati, denunce alla Corte dei Conti, rischio di decreti ingiuntivi e tutto il caravanserraglio che ha spaventato i soci, i quali, probabilmente, in passato avevano letto i bilanci come si fa con l'orario ferroviario.

Sul buon senso e la competenza tecnica ha prevalso la caccia alle streghe: prima parlando di furti o sottrazione indebite poi -compreso che nessuno aveva intascato un euro - accusando il personale amministrativo di manipolazione dei dati di bilancio. Il Collegio dei liquidatori è arrivato addirittura a chiamare in causa i membri del precedente CdA chiedendo di rifondere in solido 4 milioni e rotti di euro. Ma cazzo si può arrivare a tanto? Ecco come il dramma si evolve in farsa.

Perché è come dire che un'impiegata di categoria D ha battuto in genialità e architettura finanziaria 25 segretari comunali, altrettanti responsabili dei servizi finanziari dei comuni soci che hanno vagliato i bilanci aziendali dando implicitamente il via libera all'approvazione ai 25 sindaci presenti in Assemblea nessuno dei quali si stupiva per un esercizio che chiudeva in utile per 8 euro... Anche meno.

Dunque l'intelligence da una parte e i coglioni dall'altra? Diremmo proprio di no. E' più probabile che la situazione andava bene a tutti, c'era un patto di stabilità stringente, risparmiare sui servizi sociali faceva comodo a ciascun comune socio. E l'Ambito, che ancora nessuno ha chiamato in causa, ben lo sapeva scambiando fondi per servizi non erogati in proprio.

Adesso tutti a lamentarsi con il collegio dei liquidatori perché non ha completato il lavoro per il quale è stato (o si è) pagato.

E una sana autocritica prima? E qualche dimissione almeno per onestà intellettuale?

Oppure nulla cambia e tra un paio d'anni saremo punto e daccapo?

Ci spiega il vertice dell'assemblea qual è la strategia per questo e i prossimi anni? Si cresce, si torna a cercare comuni da aggregare? O si cedono servizi a soggetti che li erogano a un costo inferiore e certamente a una qualità inferiore?

Insomma in atto c'è un piano di sviluppo o un programma tacito di eutanasia?

Claudio Brambilla
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