Viaggio in Brianza/39: tappa a Sartirana fra vecchia e nuova chiesa, le cascine e il lago

In questa nuova tappa del nostro Viaggio in Brianza vi portiamo alla scoperta di Sartirana a Merate. Con questo articolo vorremmo guidarvi in un breve itinerario tra i principali punti di interesse della frazione che abbiamo potuto approfondire con coloro che vivono in paese.

LE ORIGINI DI SARTIRANA
"Chi invece di discender a Merate, seguiti l'altura, dopo Cicognola trova Sartirana, paese antico, con laghetto limaccioso e malinconico, e con case de' Calchi [...]". Con queste parole Cesare Cantù introduceva la frazione di Merate nella sua opera "Grande illustrazione del Lombardo-Veneto", facendo pensare ad un paese misterioso ed interessante che spinge il lettore a saperne di più.
Lo stesso nome della frazione non ha ben chiare origini, dal Dizionario dei toponimi Milanesi di Olivieri si suppone che derivi da Sertoriana, ovvero un possedimento appartenente a Sertorius, si potrebbe infatti trattare di un terreno che in epoca romana fu affidato ad un veterano di guerra con quel nome.

La storia di Sartirana però inizia molto prima dell'arrivo dei romani in territorio comasco. La posizione sopraelevata e salubre, la presenza del laghetto e la vicinanza dell'Adda hanno indubbiamente favorito l'insediamento di popolazioni in età preistorica come delle civiltà palafitticole come quelle di Lagozza di Besnate in provincia di Varese.
I Galli-Celti ed i romani hanno lasciato una impronta ben visibile del loro passaggio, portando il territorio ad un notevole sviluppo grazie anche la presenza dell'importante strada che da Milano passava per Sesto, Monza, Calco, Airuno, Valgherghentino e raggiungeva Lecco e ancora più su la Svizzera. Le testimonianze di questo periodo sono molte in Brianza, ma anche a Merate dove venne rinvenuta un'ara dedicata alle Matrone, divinità galliche, scoperta nel 1930 e conservata nel Convento di Sabbioncello.

Rispetto al periodo medioevale gli storici sono concordi nell'attribuire la costruzione del castello di Sartirana e la proprietà dei terreni circostanti, alla potente famiglia longobarda dei Calchi che presero il nome dal vicino paese di Calco.

CHIESA DI SAN PIETRO: FULCRO DELLA FRAZIONE
Il punto di partenza del nostro itinerario è la vecchia chiesa di San Pietro, posizionata in quello che era il centro del paese. L'esistenza di questo edificio è documentata da Goffredo da Bussero nel suo "Liber Notitiae Sanctorum Mediolani", in cui l'autore riporta la presenza di una chiesa intitolata a San Pietro: "Sartirana ecclesia sancti Petri".
Nel secolo successivo, il Quattordicesimo, la zona circostante alla chiesa aveva la medesima conformazione attuale: costruita su un rialzo, la chiesa aveva sul davanti e sul fianco meridionale un piccolo spazio, pochi metri di cimitero, e sul fianco settentrionale il passaggio ai caseggiati colonici di proprietà della collegiata di Beolco ma in cui risiedevano gran parte dei contadini alle dipendenze dei Calchi.

La prima conformazione della chiesa viene descritta dalle visite di Padre Leonetto, delegato dal Cardinal Carlo Borromeo e da quelle di quest'ultimo arcivescovo: ad una sola navata con l'altare maggiore in una cappella con abside semicircolare ornata di pitture molto antiche; sul fianco meridionale trova posto la vecchia cappella di forma quadrata costruita a metà Cinquecento dalla famiglia Calchi: la cappella gentilizia viene descritta come di nobile fattura ed elegante decorazione. A fianco di questa fu aggiunta un'altra cappella a destra di quella gentilizia, appena a sinistra rispetto l'altare maggiore; questa area viene oggi chiamata cappella degli uomini, poiché questi ultimi trovava posto presso di essa quando le celebrazioni esigevano che uomini e donne fossero divisi.
Dalle descrizioni redatte per le diverse visite pastorali nella seconda metà del Quattordicesimo secolo, la chiesa ha tutte le caratteristiche della costruzione romanica: abside semicircolare con tre finestrelle a feritoia, il tetto con le capriate a vista, due porte (una in facciata e l'altra sul lato settentrionale) e una feritoia a forma di croce in facciata, sopra la porta centrale; nessuna finestra a nord e una sola a forma circolare verso mezzogiorno.
Nel 1883 venne demolita l'antica abside, ampliato il presbiterio e costruito ex novo il coro con un arretramento di circa cinque metri. Ulteriore ampliamento si ebbe tra il 1924 ed il 1926 per volere del parroco Bettinelli con l'aggiunta della cappella dedicata a San Giovanni Bosco.

L'antico campanile si trovava all'incontro tra il semicerchio absidale con la navata, verso mezzogiorno. Il Cardinale Federico Borromeo nella visita pastorale del 1610 lo definisce pericolante, motivo per cui venne demolito con la costruzione della sacrestia nel 1680. L'attuale campanile venne costruito a cavallo tra il Quindicesimo e Sedicesimo secolo sfruttando la muratura della cappella di patronato Calchi. Della sua esistenza si ha conferma in un elenco di arredi, paramenti e suppellettili del 1748 in cui viene compreso "[...] il campanile con due campanne et orologgio".
La statua di San Pietro, che viene portata in spalla ancora oggi per le strade di Sartirana nel giorno della festa patronale, è quella originale che ha trovato posto in chiesa nel 1909.

LA NUOVA CHIESA DI SAN PAOLO: INCOTRO TRA ARCHITETTURA E FEDE
Seconda tappa del nostro itinerario è la chiesa di San Paolo, di recente costruzione oltre che di imponente presenza.
Il paese di Sartirana non è mai stato ricco a tal punto di potersi permettere la costruzione di una nuova chiesa ma l'esigenza di un tempio capace di accogliere tutta la popolazione di Sartirana esponenzialmente cresciuta con il passare dei secoli si è fatta sempre più forte sino agli anni Ottanta del secolo scorso. Proprio in quella decade venne inviato un primo progetto che giunse sino a Monsignor Giuseppe Arosio, responsabile del Piano Montini - Nuove Chiese. Questo progetto si prefiggeva di affrontare la grande crescita demografica della diocesi di Milano che negli anni Sessanta avrebbe rischiato di lasciare sole migliaia di anime che giungevano da tutta Italia. Il Cardinale Giovanni Montini (poi Papa Paolo VI) promosse la costruzione di nuove chiese, tra le quali venne inclusa anche quella di Sartirana che venne definita come "Il fiore all'occhiello del Piano Montini" dal Giornale di Merate nell'articolo per la posa della prima pietra, il 9 giugno 1992.

Nel 1995 i lavori furono terminati anche se con tante proteste perché il progetto non venne inizialmente apprezzato dai sartiranesi. Tutti però rimasero a bocca aperta quando entrarono e scoprirono quanto fosse bella quella chiesa.
L'architetto che si occupò della costruzione fu Mario Bott, laureato in Architettura a Venezia nel 1969 dopo aver collaborato con architetti di fama mondiale come Le Corbusier e Julian de la Fuente. Aprì uno studio a Lugano ed insegnò al Politecnico di Losanna entrando a far parte della Federazione Architetti Svizzeri e membro onorario delle equivalenti federazioni in Germania e Stati Uniti. Le suo opere sono sparse in tutto il mondo e rappresentano sicuramento un punto di riferimento della nuova architettura di metà Novecento. Un esempio del suo stile, oltre che a Sartirana, si può vedere nella Cattedrale di Evry a Parigi: tra le due chiese si possono notare dei chiari punti in comune: l'uso del mattone, la vetrata rappresentante l'albero della vita e la presenza di un matroneo.

L'opera di Sartirana appare esternamente austera e severa, quasi impenetrabile data la mancanza di finestre sulla facciata principale. La forma regolare del cubo lascia intravedere la parete ricurva del corpo cilindrico che vi è inscritto; questo è un motivo ricorrente nella ricerca dell'architetto Mario Botta, che disegna le sue figure per sottrazione di volumi da forme primarie, in questo caso il volume di un cilindro sottratto a un cubo.
Nel caso della Chiesa di San Paolo di Sartirana, la proposta di questa forma cubica voleva dare un nuovo centro al paese, effetto realmente ottenuto perché la percezione dello spazio è mutata con la costruzione di questo edificio. A ciò ha contribuito anche il grande sagrato che è divenuta la nuova piazza centrale del paese: uno spazio collettivo che si offre come luogo di incontro e di vita della comunità.
L'ingresso dell'edificio, invece di essere esaltato, è schermato: per trovare il portone bisogna quasi incunearsi tra cubo e cilindro. L'intenzione dell'architetto era probabilmente quella di accompagnare il visitatore ad un incontro con un elemento luminoso posto all'ingresso dell'edificio prima di godere della vetrata in fondo alla chiesa. Padre Pozzi osservava che la stessa inserzione del cerchio nel cubo produce un'inversione degli schemi tradizionali: non la pianta quadrata che termina con la cupola circolare, ma una pianta circolare sovrastata da un soffitto quadrato.

Certamente l'immediata impressione di abitare uno spazio sacro è ottenuta anche dal sapiente uso della luce che penetra nella chiesa attraverso due fonti: il grande abside, schermato con la calda trasparenza dell'onice pachistano (scelto perché con la sua opacità evita di far vedere il campo di calcio dietro alla chiesa), e le cappelle laterali che catturano la luce zenitale attraverso i lucernari posti lungo il perimetro della copertura. La grande sagoma dell'albero della vita disegnata sulla vetrata dietro all'altare, dimostra tutta la sua forza quando viene attraversata dai raggi del sole serali, inondando tutta la chiesa con una intensa e calda luce.

Oltre all'aula dell'assemblea, la chiesa presenta ai piani superiori un matroneo e una balconata; con questa soluzione la chiesa, dimensionata sulla popolazione parrocchiale, permette di accogliere in particolari occasioni un maggior numero di fedeli. La pavimentazione è in lastre di pietra intercalate da listelli di marmo nero, mentre l'arredo, disegnato dall'architetto Botta, è realizzato in legno di rovere; un crocifisso settecentesco trova posto sopra il tabernacolo.

Nella cappella di sinistra, la bella tela della Madonna detta "della tenerezza" è di autore ignoto del Settecento. Un piccolo gioiello è il fonte battesimale, realizzato su disegno dello stesso architetto Botta che riprende lo schema architettonico della chiesa, così come la decorazione del tabernacolo.
A completamento dell'opera, durante la costruzione della chiesa si intervenne per edificare a fianco un oratorio in stile con il tempio.

LE CASCINE DI SARTIRANA: RACCONTI DI CHI C'ERA
Il nostro tour continua nell'antico centro storico di Sartirana che nasconde molta più storia di quella che si percepisce. È da considerare che Sartirana sorge tra l'Adda e la strada che collega Milano con Lecco e la Valtellina, una zona ricca di castelli medievali di cui rimangono i resti ancora oggi: anche l'abitato di Sartirana trae le sue origini dalla presenza di un castello nobile della famiglia Calchi, di probabile origine longobarda.
L'antico centro storico di Sartirana è tipico dell'abitato sorto attorno al castello costituito da edifici dipendenti e al servizio dello stesso forte. Osservando una carta del paese è possibile riconoscere la pianta rettangolare del nucleo antico smussata agli angoli che appare compatta e costruita con evidente intento difensivo, permettendo di individuarne il confine tra le vie Fontane, Farini e Dante.

Secondo alcuni, l'antico castello dei Calchi a Sartirana sarebbe identificabile nella ex villa Barbò, chiamata anche "Cà Reale". In realtà questo edificio imponente del Diciassettesimo secolo è stato costruito ex novo come villa di campagna dalla nobile famiglia Barbò, fatto che si può ritenere veritiero data la posizione al di fuori del nucleo più antico del paese. In realtà l'antico castello dei Calchi si potrebbe invece riconoscere nell'edificio d'angolo tra via Umberto I e via Farini, conosciuto anche come Corte del Belgio. Questo edificio mostra evidenti tracce di antichità, come le finestrelle murate, inoltre è ubicato nella parte più alta del paese all'interno del perimetro del piccolo borgo di Sartirana.
Il nucleo si compone di tante cascine un tempo abitate da contadini che condividevano la quotidiana fatica del lavoro nei campi. La storia di chi in quelle cascine ci ha vissuto ci è stata raccontata da Eugenio Bonalume e Matilde Perego, due sartiranesi di ottantasette e novant'anni. Hanno frequentato le elementari mentre era in corso la Seconda Guerra Mondiale e di quel periodo ricordano le bombe a cui, dopo alcuni mesi, si abituarono: capirono che gli obbiettivi più vicini erano Merate oppure Olgiate Molgora, di sicuro non le quattro case di Sartirana.

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"Qui dove oggi sorge il vecchio oratorio, durante l'occupazione tedesca era stato piazzato un centro di comunicazioni nazista. Questo era collegato attraverso un grosso tubo di gomma che correva lungo la strada sino a Merate dove vi era il centro operativo nazista per questa zona. In paese allora c'era un ingenuo signore che era dedito al bicchiere sin troppo spesso, cosa che gli causava non pochi problemi ed il soprannome "ul Galet". Probabilmente istigato da qualche compagno di bevute, tagliò lo spesso cavo che collegava i nazisti tra Sartirana e Merate: per questo venne immediatamente preso e fucilato. Il giorno dopo venne appeso lungo la strada provinciale, all'altezza di Osnago, suo paese natale" così ricorda Eugenio. Un altro ricordo del signor Bonalume è legato a due ragazzi di origine russa di cui non ricorda il motivo per cui fossero in zona, che si recavano dalla sua famiglia saltuariamente per mangiare qualcosa ed ascoltare Radio Londra ed i suoi report sullo status della guerra; verso la fine del conflitto i due russi decisero di lasciare Merate per ritornare in Russia grazie ad un camion che sarebbe partito una sera dei primi mesi del 1945. Quel furgone partì, ma purtroppo venne fermato e mitragliato ad un posto di blocco tedesco sulla strada per Rovagnate. I due morirono insieme ad altri che stavano lasciando Merate per tornare a casa.

"La mia famiglia e quella di mio zio erano composte da dodici persone che condividevano la stessa piccola casa, ma si riusciva a stare bene lo stesso con il poco che si aveva. Sartirana contava circa seicento persone prevalentemente contadini che si aiutavano come possibile. Ad esempio, se moriva una mucca, tutti gli altri contadini erano quasi obbligati ad acquistarne la carne per sostenere la famiglia che, perdendo una vacca, perdeva un importante parte del proprio patrimonio. Il macellaio allora preparava dei pacchetti dello stesso prezzo, mettendo dei tagli di pregio e uniti ad altri di minor valore meno. Inoltre, dopo la raccolta delle ciliege, alcuni andavano a venderle lungo la strada provinciale sperando nel passaggio di qualche forestiere affamato per il viaggio" ci ha detto Matilde, spiegandoci come era possibile in casi straordinari avere la dispensa per la celebrazione domenicale: a giugno i contadini dovevano raccogliere il grano quando era maturo, nel terrore di poter perdere il raccolto a causa di un apossibile tempesta, si doveva lavorare anche la domenica, cosa impensabile allora. In queste domeniche era indispensabile chiedere il permesso al parroco per assentarsi dalla celebrazione e lavorare nel giorno del Signore.

IL LAGO DI SARTIRANA: DA UNA FAVOLA ALLA REALTA' DI OGGI
Terza ed ultima tappa del nostro piccolo itinerario è il Lago di Sartirana, conosciutissimo per le sue acque tranquille, ma oggi in grande difficoltà.
Intorno a questo lago non tutti sanno che circola una leggenda che veniva raccontata ai bambini intorno al fuoco la sera nelle cascine. Ve la riportiamo qui di seguito.
C'era una volta un pellegrino vecchio e stanco. Era in cammino da molto tempo, senza fermarsi in alcun luogo. Si narra che quando giunse a Sartirana il lago non esisteva ancora: il paese si adagiava su una ridente vallata dove i contadini vivevano felici con le loro famiglie.

Quando il pellegrino giunse nel centro abitato, era tardo pomeriggio. Il povero girava e rigirava per le vie del paese alla ricerca di ospitalità, il cuore di tutti però era così indurito che nessuno gli volle prestare attenzione, anzi tutti, partendo dai bambini, cominciarono a deriderlo: ogni casa gli chiuse le persiane e le porte in faccia. Le madri, anche se affaccendate nei lavori domestici, correvano per vederlo e nascondere i propri figli sotto i loro grembiali. C'era anche chi, ancora più timoroso, si nascondeva dietro gli stipiti delle porte e lo guardava passare mogio e triste con quel cappello scuro calcato sulla testa, la lunga barba, i piedi nudi, un bastone, una bisaccia un po' logora ed un pastrano consumato dai tarli e dagli anni.
Però, proprio mentre stava passando davanti all'ultima casa, una porta si aprì e sul ballatoio comparve una donna di mezza età. Era rimasta vedova da alcuni anni ed abitava sola con i figli. Subito vedendolo, offrì ospitalità al pellegrino permettendogli di coricarsi in una stanza libera della piccola casa, dove si addormentò presto.
Anche la donna andò subito a dormire e quella gli sembrò proprio una notte tranquilla, ma al mattino una visione straordinaria doveva si mostrò ai suoi occhi: dopo aver aperto la finestra, che al posto del paese c'era un lago. Delle case e dei suoi abitanti non vi era rimasta traccia.
Anche se è solo una leggenda, tempo fa in paese qualcuno aveva ancora paura a gettare le reti in mezzo al lago perché potevano rimanere impigliate in qualche comignolo o nella torre campanaria sommersa.
Il laghetto è un vero gioiello della natura, geologicamente esso si estende sul fondo di una piccola conca costituita da due cordoni wurmiani di origine morenica. Il lago è alimentato principalmente da falde sotterranee freatiche e dai modesti apporti dalla canalizzazione esistente.
Lo specchio d'acqua si estende per circa un chilometro quadrato, con una profondità massima di circa tre metri e mezzo. Le specie ittiche più abbondanti sono il luccio, la scardola, l'alborella, la carpa, la tinca, l'anguilla. La vegetazione acquatica nel lago è estremamente ridotta anche a causa dell'introduzione, nel 1974, della carpa erbivora, ma si possono ancora pescare tinche, lucci, scardole ed il pesce sole, detto anche "gubbet" (una tipologia di pesce persico), ma anche boccaloni e trote. Malgrado la sua limitata estensione, la riserva ospita un interessante avifauna nidificante. Per quanto riguarda i mammiferi l'area naturale è occasionalmente visitata da alcune specie presenti nel territorio circostante. Sono stati osservati il riccio, la lepre comune, la volpe, la donnola e la puzzola.
È purtroppo da considerare come un luogo a rischio poiché le scarsità di piogge ha causato negli anni scorsi gravi casi di anossia nei pesci (soffocamento), dato che la poca quantità di acqua apportata impediva ai pesci di sopravvivere. Recentemente sono state fatte diverse proposte all'amministrazione comunale sulle possibili soluzioni, ma non è ancora stato fatto nulla di concreto in questo senso. L'associazione sportiva dilettantistica Briantea che ha la sua sede sulla costa del lago, è molto preoccupata e critica nei confronti dell'amministrazione comunale attuale che al momento non ha ancora preso provvedimenti utili. Le condizioni di siccità del territorio e le già alte temperature di queste settimane, mettono nuovamente in pericolo la fauna ittica del lago.

Al termine di questo itinerario che speriamo vi invogli a visitare Sartirana, vorremmo ringraziare tutti coloro che ci hanno supportato nella ricerca di informazioni e che si sono resi disponibili nell'aiutarci per la realizzazione di questo articolo: la Pro Loco di Merate, Josè Bonfanti, archivista della parrocchia di Sartirana che ci ha fornito il volume "Sartirana Beiantea: Parrocchia di San Paolo Apostolo" di G. Figini; Maurizio Galbusera, archivista della Parrocchia di Pagnano; Luigi Perego presidente della ASD Briantea; Matilde Perego ed Eugenio Bonalume per le loro preziose testimonianze sulla storia di Sartirana.

Rubrica a cura di Giovanni Pennati e Alessandro Vergani
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