Chiediamoci se il premierato forte sia meglio o peggio del premierato attuale

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Gentile Redazione,
ho letto con interesse l’intervento del Dott. Enrico Magni relativo alla modifica costituzionale in direzione di un ''premierato forte'' che il Governo sta delineando per il nostro Paese. Non ne condivido i toni del tutto negativi e a volte un po’ enfatici (viene messo di mezzo addirittura Nietzsche, con oscuri richiami alla psicologia di massa), occorrerebbe magari più pacatezza nel discutere di una modifica così cruciale per il nostro sistema di governo.

Tuttavia credo che si debba ringraziare il Dott. Magni perché porta anche sulle pagine del nostro territorio un dibattito che è sicuramente necessario, e perché è in effetti per alcuni aspetti ha ragione: occorre innanzitutto identificare i difetti che la nuova proposta contiene, ma - per carità - occorrerà inoltre prendere atto di come il sistema attuale di premiership si stia rivelando sempre meno funzionale alla sempre più spinta rapidità dei cambiamenti del mondo che ci gira intorno. Abbiamo un governo che sovente richiede settimane per nascere e poter prendere decisioni che a volte richiederebbero giorni, se non addirittura ore.

Pensiamo al voto dello scorso autunno, che è stato per fortuna chiaro - rara avis - nell’identificare un vincitore: è mai possibile che in queste condizioni così favorevoli (e io temo, irripetibili) ci sia comunque voluto quasi un mese per identificare e votare un leader di governo, quando in altri paesi europei la scelta di un premier a valle dell’esito del voto popolare è pressoché istantanea?
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Mi pare giusto criticare, ammonire, e magari anche paventare cesarismi come fa il Dott. Magni, tuttavia con lo spirito di un dibattito sereno e che porti auspicabilmente a una soluzione di governo più efficiente della attuale. O ci siamo dimenticati le fatiche, le alchimie infinite, i dibattiti, le riunioni di segreteria e di corrente necessari per mettere in piedi un Governo nella prima e seconda Repubblica, quando al primo refolo cambiava non solo premier, ma a volte anche il colore politico della maggioranza (pensiamo a quanto è avvenuto nel passaggio dal Conte I al Conte II). Perché è inutile girarci intorno, la Costituzione “più bella del mondo” che disciplina tuttora i riti di elezione del nostro premier, era idealmente concepita per un paese che usciva perdente da una Guerra Mondiale e che stava entrando in una Guerra Fredda, in un’Italia che si lasciava alle spalle una dittatura e aveva bisogno di utili pesi e contrappesi (ad esempio la Corte Costituzionale) per il controllo reciproco dei poteri, onde tener lontani i fantasmi di un nuovo dux.

A mio avviso, dopo quasi 80 anni, francamente questi timori in Italia non ci sono più, sarebbe quindi meglio evitare oscuri richiami a un passato che ci siamo definitivamente lasciati alle spalle. La verità è che il sistema attuale va guardato in faccia in tutta la sua farraginosità: è arretrato, lento, espone il governo del paese agli starnuti di pochi deputati, se non addirittura dei Senatori a vita, che - ricordiamolo - dopo la riduzione del numero dei parlamentari siedono comunque col medesimo numero in Parlamento e quindi pesano percentualmente assai di più per la stabilità del governo, pur non essendo stati in alcun modo votati. La verità è che il sistema di scelta del premier (insieme alla sua successiva fragilità operativa, esposta a ogni possibile cambio di casacca del gruppo parlamentare di turno) richiede una correzione importante, ormai oggettivamente ineludibile.

Anche a me la proposta attuale di modifica non convince del tutto, ma vediamo di non buttare il bambino con l’acqua sporca, una buona volta. L’importante è che vi sia nel dibattito serenità e non antagonismo di bandiera, che regni un rispetto reciproco e ragionato tra le parti politiche e delle opinioni dei cittadini. È quanto personalmente auspico, in piccolo, anche sulle pagine di questo “mio” affezionato quotidiano online.

Buon lavoro, e grazie per l’attenzione.
Renato Ornaghi
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