Oggiono: al Bachelet don Claudio Burgio racconta ''i suoi ragazzi''

Imparare ad ascoltare, a conoscere i giovani ed essere credibili ai loro occhi. È il suggerimento con il quale don Claudio Burgio, sollecitato dalla domanda posta da una docente, ha chiuso l’incontro di ieri mattina all’istituto Vittorio Bachelet di Oggiono, dopo aver interloquito per un’ora e mezza abbondante con gli studenti, accogliendo tutte le loro domande. 
Un invito, quello rivolto al cappellano del carcere minorile Beccaria di Milano, che per la scuola aveva una duplice finalità, come ha precisato la dirigente scolastica Anna Panzeri in apertura di incontro. ''Per gli studenti speriamo possa offrire spunti per affrontare le fatiche che ci sono in un percorso di crescita e a noi educatori che possa aiutarci a guardare davvero questi ragazzi, nel senso di fare la guardia, in modo positivo, perché sia veramente un accompagnamento''.
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A sinistra don Claudio Burgio

Don Burgio è noto per aver fondato una comunità di accoglienza per il reinserimento nella società: Kayròs, dal greco antico tempo opportuno, favorevole, è una casa aperta da 23 anni a Vimodrone con 50 posti. Qui arrivano i ragazzi, provenienti dal carcere penale o minori in difficoltà segnalati dal Tribunale, dai Servizi sociali e dalle forze dell’ordine per avviare un percorso di miglioramento della loro vita. Sono ragazzi cresciuti in quartieri difficili e in situazioni di degrado che, grazie alla comunità, cercano qualcuno che creda in loro, che gli offra la possibilità di ricominciare per riscattarsi dal loro passato, dall’onta che pesa sulla loro vita. Dalla comunità di don Burgio sono passati anche giovani i cui nomi sono familiari alla platea per essere volti noti dell’ambiente musicale, come Simba La Rue e Baby Gang. Ma anche ragazzi come Daniel Zaccaro che ha saputo imprimere un corso positivo alla sua vita, passando dal carcere alla laurea, fino a diventare un educatore della comunità Kayròs.
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''Sono ragazzi che vengono, come si usa dire, dalle ''baby gang'' ma sono giovani come voi, a volte simpatici e pieni di talenti. Escono dalla comunità molto rafforzati, migliorati. Alcuni di loro hanno un talento musicale: anche se hanno successi discografici, fanno ancora i conti con il loro passato e quello che hanno fatto da ragazzi perché a riparare un reato ci metti anni. Per me si può cambiare, migliorare, anche se non è facile. Tante volte c’è un pregiudizio – ha detto don Claudio - Diventare adulti è un’impresa per tutti, rimanere adulti è un’impresa ancora più difficile. Chi sbaglia, chi commette un reato, rischia di essere stigmatizzato per sempre. Anche un ragazzo che sbaglia si assume le proprie responsabilità ma non è un criminale a vita. Quando uno vive l’esperienza carceraria c’è uno stigma. Dire “non esistono ragazzi cattivi”, che è il motto della comunità, significa riconoscere che nessuno nasce cattivo, ma questo può essere una conseguenza dell’ambiente, delle condizioni in cui si cresce. Esiste una cattiveria che a volte è frutto di una mancanza da parte degli adulti, dello stato, della chiesa, delle istituzioni che dovrebbero pensare a voi''. 
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In Italia, 14 anni è l’età per essere imputabili, essere responsabili davanti alla legge e dunque poter subire la misura coercitiva del carcere. ''Se sei imputabile, si riconosce che a quell’età sei già responsabile, maturo: non sono d’accordo. Alzerei l’età imputabile perché a volte, i ragazzi non conoscono. Il compito di aiutare, far conoscere è dell’adulto. Da una parte, quindi, c’è una giustizia muscolare (come ad esempio il decreto Coivano che inasprisce le pene contro i minorenni in caso di reato), dall’altra parte ci sono ragazzi che non sanno, non conoscono. Dire che sono cattivi no, ma che ignorano - in senso latino - sì perché a volte non conoscono le leggi civili. Però cattivi mai''. 
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Dalla voce dei ragazzi è emersa anche la curiosità sull’aspetto religioso, visto che don Burgio non indossa la camicia ecclesiale: ''Il mio primo approccio non è parlare di Dio. Capisco che, se l’argomento interessa i ragazzi, qualcuno si fa qualche domanda sul fatto che io sia prete. Quando mi conoscono al Beccaria, da parte loro c’è un modo di interloquire teso alle domande interessate, al rapporto di convenienza. La prima domanda non strumentale, autentica che mi fanno è sulla dimensione religiosa: perché fai il prete? Mi chiedono. Non devo essere un prete convenzionale di prediche e assoluzioni. Si può capire che sono un prete per come vivo. La dimensione religiosa diventa un modo di vedere la vita perché si è credenti con la testa. Questo serve anche a me, per essere un prete un po’ più credibile. Vivere con i ragazzi è stata per me una scelta difficile, ma spettacolare: non posso recitare perché capiscono subito se stai fingendo. Ho imparato tanto dai giovani della comunità e del Beccaria: sono un prete migliore grazie a loro''.
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Da poco i ragazzi di Kayròs gli hanno manifestato l’esigenza di avere un piccolo spazio in comunità per la preghiera: ''Non me lo sarei mai aspettato'' ha aggiunto don Burgio che si è espresso anche sul tema della musica, dei social e del rapporto con il mondo adulto: ''Sono il primo fan dei miei ragazzi. Ho creduto per primo in loro perché la musica, da sempre, è una narrazione potente della realtà che, per quanto inguardabile, va affrontata. Quando Baby Gang mi ha fatto ascoltare le canzoni, ho capito che parlava molto di sé. Non penso che questa musica - trap, rap - sia la causa di tutti i mali, ma è espressione della realtà e come tale va guardata. Ho capito che, nella musica, questi ragazzi tirano fuori la loro vita e non sempre c’è del negativo, un’arrabbiatura perché ci sono testi bellissimi dove emergono le sensibilità. La musica è espressione di una generazione che si riconosce in questo tipo di narrazioni musicali. L’adulto deve provare ad ascoltarli per capire cosa c’è dietro questa realtà. I social amplificano questi modi di pensare: gli strumenti non sono mai sbagliati, dipende da come li usi, che significato dai. Se la vita la concepisci con i follower prima o poi ci sarà qualche problema, altrimenti diventa un collegamento''. 
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Al microfono la dirigente Anna Panzeri

Sul tema del confronto generazionale il sacerdote si è espresso in questo modo: ''In questo momento ce ne sono due che non si parlano. La generazione adulta che non vi capisce, quella giovane che non si mette nemmeno a parlare con gli adulti. Se c’è questa distanza abissale tra adulti e giovani è un casino: è vero che dal punto di vista giovanile il mondo degli adulti li ha traditi, anche negli adulti c’è chi vale e chi vale meno, qualcuno che può dare ricchezza e qualcuno che è un cattivo esempio. Ma non tutti sono da buttar via. Quando io ero giovane, negli anni ’70, c’era una forte contestazione contro la società adulta. Oggi per voi sono diventati irrilevanti, non esistono. Voi però andrete avanti se farete tesoro anche degli sbagli che sono stati fatti nel passato: così potete generare il cambiamento della società. Prendersi cura degli altri vuol dire inaugurare una società completamente diversa da quella attuale, che oggi non è “I care”, ma “I like”. Siamo una società con un ego pazzesca: solo se siamo insieme, come generazioni, possiamo inaugurare una stagione diversa''. 
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In Italia sono presenti 17 carceri minorili, quasi tutti concentrati al centro sud: a nord ci sono nelle città di Treviso, Milano, Torino e Bologna. Il carcere minorile Beccaria è quello che detiene più ragazzi, circa 90. ''I ragazzi detenuti sono poco più di 400: di questi, 13 sono ragazze. C’è una grande sproporzione di genere – ha spiegato don Burgio - Il problema della devianza giovanile è al maschile. Va detto che il sistema della giustizia minorile non ama mandare subito i ragazzi nelle carceri, ma sono finiti lì perché non si è riusciti a trovare un modo per fermarli. Altrimenti ci sono una serie di misure alternative alla detenzione. Tutto cambia con il carcere degli adulti: al Beccaria ci sono 2 educatori ogni 10 ragazzi; a San Vittore, c’è 1 educatore ogni 400 detenuti. Il carcere è un dispositivo che, per il momento, non è stato superato: è l’ultimo sistema coercitivo presente in Italia per contenere alcune situazioni. Certo non è il massimo, non è davvero l’espressione di una società civile. Perché sia davvero un luogo di rieducazione, dev’essere gestito bene o diventa un inferno: una persona, già dentro sta male, quando uscirà, sarà incattivita e non solo non avrà risolto i problemi, ma ne avrà di più''. 
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Agli insegnanti, infine, ha fornito qualche spunto per l’approccio con i ragazzi: ''La prima cosa è avere una passione educativa che ti porta ad avere stima incondizionatamente, prima ancora di conoscere i ragazzi. Bisogna avere e dare fiducia: uno che si sente sfiduciato, dà il peggio di sè. Se un ragazzo che trasgredisce, non ha la possibilità di riflettere su quanto fatto, siamo fermi a un rapporto contrattuale. L’obbedienza contrattuale è falsa perché uno non è mai se stesso per paura del giudizio dell’adulto. Servono adulti e insegnanti che sappiano dialogare, che non abbiano sempre ragione loro in tutto. L’altra questione è non avere paura dei ragazzi, assumersi le proprie responsabilità fino in fondo ed essere persone credibili, che non hanno paura di prendere le decisioni, anche quelle negative. Significa saper differire un ragazzo, sapere che non lo capirà e che si arrabbierà''.
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L’incontro con don Claudio Burgio è stata un’opportunità per ragazzi e insegnanti per pensare alla loro relazione con il mondo adulto e viceversa. Un rapporto a due parti, che possono parlarsi, interloquire, conoscersi e crescere, maturare, evolvere in una versione migliore non solo per sé ma per l’intera società.
M.Mau.
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