Oggiono: al Bachelet un pomeriggio di formazione su regole e legalità
''Educare al rispetto: il ruolo delle regole nella crescita personale e sociale'' era il tema al centro dell’incontro di formazione per docenti di ogni ordine e grado e dirigenti scolastici promosso, nel pomeriggio di giovedì, dall'istituto superiore Vittorio Bachelet di Oggiono nell'ambito della vigente Convenzione tra Regione Lombardia e USR Lombardia per il sostegno al progetto ''Centri di Promozione della Legalità: dalla comunità educante alla comunità monitorante - triennio 2023-2025 (L.R. 17/2015)''.

La materia trattata nel seminario si inseriva all’interno delle iniziative promosse dalla scuola in occasione della Giornata della Legalità che si celebra ogni anno il 23 maggio in memoria della strage di Capaci, dove il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e la sua scorta, persero la vita per mano della mafia.

Relatrici dell’incontro, apertosi con i saluti della dirigente scolastica Anna Panzeri, sono state Claudia Pecorella, docente di diritto penale all'Università Bicocca e Roberta Cossia, giudice di sorveglianza di Milano.

Tra le questioni trattate anche la giustizia penale italiana che, come spiegato dalla professoressa Pecorella, ''interviene quando c’è una violazione delle regole che consentono la nostra pacifica convivenza ed è lo strumento più afflittivo che lo Stato usa. È l’ultima ratio quando tutto il resto non è sufficiente a disincentivare il comportamento''. In particolare, il diritto italiano contempla una giustizia penale per minorenni e una per adulti.

Nel primo caso, i giudici sono sempre assistiti da esperti, prevalentemente uno psicologo o un criminologo che integra il sapere giuridico del giudice e si pone poi attenzione alle esigenze di crescita del minore con soluzioni orientate a colmare le lacune nell’educazione dello stesso, evitando di pregiudicare il suo futuro. C’è un tribunale per minorenni che si occupa dei reati commessi da giovani tra i 14 e i 18 che siano in grado di intendere e di volere, ma per costoro non è contemplata la pena a vita.

Ha spiegato il giudice Cossia: ''Un processo minorile tende a togliere il ragazzo dal contesto delinquenziale dove si è cacciato. Si cerca di arrivare il meno possibile ad una sentenza, il tentativo piuttosto è quello di ''agganciare'' il giovane e sottoporlo a una messa alla prova con interventi che possano spingerlo a riflettere su quello che è successo. La sentenza non è l’obiettivo e il perdono, che consiste nell’assoluzione, non è educativo perché il minore esce con l’idea dell’impunibilità. Quello che lascia una traccia invece è un percorso di messa alla prova tramite i quali il ragazzo è coinvolto, ad esempio, a tenere corsi di legalità nelle scuole, a farsi protagonista di un percorso. I giovani si sentono investiti in un compito che non pensavano di dover svolgere e ho capito dai loro sforzi che questo li gratifica tantissimo. Quando si arriva alla fine, si comprende come questi percorsi abbiano un senso''.

La giustizia penale per gli adulti, accanto alla funzione punitiva, considera sempre quella rieducativa e di reinserimento sociale. Questa esigenza non è soccombente e per le relatrici deve essere salvaguardata essendo contenuta nell’articolo 27 della Costituzione. Tra le pene, che sono la risposta al reato commesso, è previsto anche l’ergastolo.

''La giustizia retributiva, che vuole una risposta proporzionata al reato, è una logica che, grazie all’articolo 27 della Costituzione, deve essere superata perché non è questo il fine della pena: oggi non è più giustificabile in uno stato laico. La giustizia è fatta per gli uomini per avere libertà e perché tutti possiamo pacificamente convivere. Tutti i soldi che la collettività spende per tenere insieme la giustizia penale deve tenere insieme una cosa, la non recidiva. La logica retributiva deve essere sostituita con il reinserimento sociale'' ha precisato Pecorella, spiegando che la percentuale maggiore di persone attualmente in stato detentivo riguarda reati contro il patrimonio.

Cossia ha aggiunto: ''Oggi la preoccupazione è tra le mura domestiche dove negli anni non sono diminuiti i casi di omicidi. Gli altri reati si sono abbassati e sono un decimo rispetto al passato. Noi facciamo questo mestiere con la massima umiltà cercando di dare una chance ai detenuti di ritornare in società come persone diverse, ma la responsabilità rimane poi personale: puntare sul reinserimento sociale è una politica vincente. Come cittadini, non vogliamo vivere in una società vendicativa, ma più sicura dove il rischio di perdere la vita e di subire reati sia basso e, nel caso del minore, per cui già escluso in partenza l’ergastolo, ha un senso nel voler reinvestire sulla persona''.

Gli interventi sono stati introdotti e conclusi da alcune riflessioni delle studentesse dell’istituto Bachelet secondo le quali la legalità si insegna sì con le regole, ma non in via esclusiva perché servono anche con il confronto e l’empatia. Investire sulla persona, prima di tutto.

Il saluto introduttivo della dirigente Anna Panzeri
La materia trattata nel seminario si inseriva all’interno delle iniziative promosse dalla scuola in occasione della Giornata della Legalità che si celebra ogni anno il 23 maggio in memoria della strage di Capaci, dove il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e la sua scorta, persero la vita per mano della mafia.

Relatrici dell’incontro, apertosi con i saluti della dirigente scolastica Anna Panzeri, sono state Claudia Pecorella, docente di diritto penale all'Università Bicocca e Roberta Cossia, giudice di sorveglianza di Milano.
Tra le questioni trattate anche la giustizia penale italiana che, come spiegato dalla professoressa Pecorella, ''interviene quando c’è una violazione delle regole che consentono la nostra pacifica convivenza ed è lo strumento più afflittivo che lo Stato usa. È l’ultima ratio quando tutto il resto non è sufficiente a disincentivare il comportamento''. In particolare, il diritto italiano contempla una giustizia penale per minorenni e una per adulti.
Nel primo caso, i giudici sono sempre assistiti da esperti, prevalentemente uno psicologo o un criminologo che integra il sapere giuridico del giudice e si pone poi attenzione alle esigenze di crescita del minore con soluzioni orientate a colmare le lacune nell’educazione dello stesso, evitando di pregiudicare il suo futuro. C’è un tribunale per minorenni che si occupa dei reati commessi da giovani tra i 14 e i 18 che siano in grado di intendere e di volere, ma per costoro non è contemplata la pena a vita.
Ha spiegato il giudice Cossia: ''Un processo minorile tende a togliere il ragazzo dal contesto delinquenziale dove si è cacciato. Si cerca di arrivare il meno possibile ad una sentenza, il tentativo piuttosto è quello di ''agganciare'' il giovane e sottoporlo a una messa alla prova con interventi che possano spingerlo a riflettere su quello che è successo. La sentenza non è l’obiettivo e il perdono, che consiste nell’assoluzione, non è educativo perché il minore esce con l’idea dell’impunibilità. Quello che lascia una traccia invece è un percorso di messa alla prova tramite i quali il ragazzo è coinvolto, ad esempio, a tenere corsi di legalità nelle scuole, a farsi protagonista di un percorso. I giovani si sentono investiti in un compito che non pensavano di dover svolgere e ho capito dai loro sforzi che questo li gratifica tantissimo. Quando si arriva alla fine, si comprende come questi percorsi abbiano un senso''.
La dottoressa Roberta Cossia
La giustizia penale per gli adulti, accanto alla funzione punitiva, considera sempre quella rieducativa e di reinserimento sociale. Questa esigenza non è soccombente e per le relatrici deve essere salvaguardata essendo contenuta nell’articolo 27 della Costituzione. Tra le pene, che sono la risposta al reato commesso, è previsto anche l’ergastolo.
La professoressa Claudia Pecorella
''La giustizia retributiva, che vuole una risposta proporzionata al reato, è una logica che, grazie all’articolo 27 della Costituzione, deve essere superata perché non è questo il fine della pena: oggi non è più giustificabile in uno stato laico. La giustizia è fatta per gli uomini per avere libertà e perché tutti possiamo pacificamente convivere. Tutti i soldi che la collettività spende per tenere insieme la giustizia penale deve tenere insieme una cosa, la non recidiva. La logica retributiva deve essere sostituita con il reinserimento sociale'' ha precisato Pecorella, spiegando che la percentuale maggiore di persone attualmente in stato detentivo riguarda reati contro il patrimonio.
Cossia ha aggiunto: ''Oggi la preoccupazione è tra le mura domestiche dove negli anni non sono diminuiti i casi di omicidi. Gli altri reati si sono abbassati e sono un decimo rispetto al passato. Noi facciamo questo mestiere con la massima umiltà cercando di dare una chance ai detenuti di ritornare in società come persone diverse, ma la responsabilità rimane poi personale: puntare sul reinserimento sociale è una politica vincente. Come cittadini, non vogliamo vivere in una società vendicativa, ma più sicura dove il rischio di perdere la vita e di subire reati sia basso e, nel caso del minore, per cui già escluso in partenza l’ergastolo, ha un senso nel voler reinvestire sulla persona''.
Gli interventi sono stati introdotti e conclusi da alcune riflessioni delle studentesse dell’istituto Bachelet secondo le quali la legalità si insegna sì con le regole, ma non in via esclusiva perché servono anche con il confronto e l’empatia. Investire sulla persona, prima di tutto.
M.Mau.