Tragedia dell'Heysel: nel 40° anniversario la testimonianza di Ernesto Motto
Ricorrono oggi i 40 anni dal disastro dell'Heysel, un fatto di cronaca tragico e clamoroso che ha legato per sempre la finale dell’allora Coppa Campioni 1985 con una tragedia che forse si sarebbe potuta evitare. Era il 29 maggio quando nello stadio Heysel di Bruxelles, poco prima della partita tra Juventus e Liverpool, i tifosi della squadra inglese invadono il settore Z riservato agli italiani. Ci sono spinte, in un attimo la calca, poco dopo sotto la pressione della folla cede un muro di contenimento dello stadio, la gente cerca di scappare, ma il bilancio diventa da tragedia.
Quanto successo quella sera rimane per sempre legato al mondo del calcio scrivendone una delle pagine più brutte. La calca delle tifoserie avversarie e le condizioni non idonee dello stadio porteranno ad un bilancio di 39 morti, di cui 32 italiani e oltre 600 feriti di cui alcuni molto gravi. Una tragedia immensa, spesso dimenticata, ma che ha creato dei danni incalcolabili dal punto di vista psicologico richiamando a gran voce la problematica della sicurezza allo stadio. Da quel giorno infatti, lo stesso governo inglese guidato da Margareth Thatcher ha imposto provvedimenti ferrei sulle rappresaglie dei tifosi e sono state fortemente rinforzati i controlli negli stadi tutta Europa.
Quel giorno di quarant’anni fa, di fronte alla tragedia, c’era anche Ernesto Motto, monticellese doc e ben conosciuto in paese per le sue numerose iniziative come il ruolo di animatore della compagnia degli Amici del Teatro e dello Sport. Da sempre tifosissimo della Juventus e all’epoca da poco diciottenne, era partito alla volta di Bruxelles con il fratello maggiore Eugenio e l’amico Walter di Cortenuova. Una finale di Champions League tanto sperata, la gioia di godersi dal vivo un’esperienza del genere che presto però si è trasformata in una tragedia che l’ha segnato profondamente.
''Io non sono stato coinvolto direttamente in quello che è successo, tendo subito a specificarlo – ci dice immediatamente Ernesto appena lo chiamiamo per farci raccontare l’accaduto - ma ho ricordi indelebili di quel giorno, non ero in mezzo al disastro, ma ero allo stadio nel settore opposto e tutti quelli che erano con me hanno visto chiaramente la furia dei tifosi inglesi, poi il panico delle persone, il tentativo di scappare. Poco alla volta abbiamo capito che era in corso un vero e proprio disastro'':
Per Ernesto la corsa alla finale di Champions inizia addirittura nel settembre 1984, lo Juventus Club di Missagliola propone un ''abbonamento'' per le partite di Champions che garantisce il diritto di prelazione sui biglietti della finale (nel caso il club riesca a raggiungerla). Sono mesi di tante trasferte e di partite tra il campionato e le coppe e finalmente arriva il tanto sperato lascia passare per Bruxelles: ci sono tre biglietti a disposizione e il monticellese non se li fa scappare. Partono la sera del 28 maggio con un pullman con una cinquantina di tifosi brianzoli, viaggiano di notte e prendono poi un albergo in Francia.
Il giorno della finale l’emozione è alle stelle, nel pomeriggio giungono a Bruxelles, sotto l’Atomium e poi entrano nello stadio. ''Ci siamo resi conto subito che non era uno stadio come gli altri, si entrava dall’alto e poi si scendeva attraverso dei grandi gradoni. La cosa che mi aveva colpito di più era stata una porta d’ingresso che si apriva dall’interno, un’unica via di fuga per un settore di oltre 13.000 persone. Tutti noi della Brianza eravamo distribuiti nelle zone M, N , O , mentre dell’altra parte il settore era stato assegnato per 2/3 agli italiani e per la restante parte agli inglesi. C’era grande agitazione, ma essendo lontani non abbiamo capito subito, poi abbiamo iniziato a vedere dei fumogeni, la gente che correva in campo, era successo qualcosa. È stato solo quando alcuni tifosi italiani sono venuti dalla nostra parte e ci hanno detto quello che stava succedendo che finalmente abbiamo capito. Eravamo prima increduli e poi è subentrata la paura, non tanto per quello che avrebbero potuto farci gli inglesi quando per la possibile reazione degli altri italiani. La mia prima reazione è stata quella uscire dallo stadio, ma poi mio fratello mi ha fatto ragionare: dove erano tutti gli altri? Dove era il pullman? Dove saremmo potuti andare? Abbiamo così deciso di restare e di mantenere la calma'' ci racconta Ernesto con palpabile emozione, mette in ordine le parole per richiamare alla mente qualcosa che anche a distanza di molti anni non è mai stato dimenticato.
Quello che è successo dopo è noto a tutti, in seguito all’intervento delle forze dell’ordine si decide, per ragioni di sicurezza, di far giocare la partita. La Juventus vince 1- 0 grazie ad un rigore segnato da Platini, da casa intanto infiamma la polemica, si dibatte se sia stata una scelta giusta o sbagliata disputare la partita che ha poi sorriso alla squadra italiana. Come ci conferma lo stesso Ernesto è stata la scelta giusta da fare, un annullamento avrebbe creato uno scontro ulteriore, così invece la situazione si è calmata e dopo la festa a metà tutto il gruppo brianzolo è riuscito ad uscire dallo stadio. Il monticellese e la sua compagnia raggiungono il pullman e da lì vanno diretti all’hotel dove finalmente tirano un sospiro di sollievo, ma scoprono anche la grandezza di quello che è successo. Subito tutti tentano di telefonare a casa per rassicurare i loro famigliari, ma purtroppo non c’è nulla da fare, le linee sono intasate e così la prima comunicazione arriva alle 9, poco prima del viaggio di ritorno.
''Avevamo vinto, ma quella vittoria non l’abbiamo mai sentita, c’era la coppa ma non la gioia di averla vinta – ha proseguito Ernesto- c’è però qualcosa di speciale che mi porto nel cuore legato a quella vicenda e che tutte le volte mi fa sorridere. Quando siamo arrivati la sera del giorno successivo a Missagliola c’era tantissima gente ad accoglierli, non c’erano solo i nostri amici e familiari ma persone da tutti i paesi vicini che erano giunti per portarci il loro supporto, per assicurarsi che stessimo bene. E’ stato davvero bello sentire l’affetto di tutte queste persone, un’emozione che è impossibile da dimenticare''.
Ha fatto un certo effetto sentire il racconto di una vicenda così famosa da chi l’ha vissuta sulla sua pelle, Ernesto se la ricorda tutte le volte in cui va a vedere la sua squadra del cuore sin dal settembre successivo quando ritorna allo stadio per Juventus- Avellino. Ormai capita raramente di vedere l’amico Walter di Cortenuova eppure quando accade il pensiero va subito a quella sera che, seppure nella sua tragicità, è impossibile da dimenticare. Il progetto, ora che sono passati 40 anni da quella tremenda partita, è iniziare a raccontare, magari con uno spettacolo teatrale o semplicemente con un incontro con il pubblico, per rendere omaggio a tutte le vittime, a tenere vive le loro storie richiamando anche l’attenzione sulla sicurezza degli stadi che purtroppo rimane un problema attuale.
Quanto successo quella sera rimane per sempre legato al mondo del calcio scrivendone una delle pagine più brutte. La calca delle tifoserie avversarie e le condizioni non idonee dello stadio porteranno ad un bilancio di 39 morti, di cui 32 italiani e oltre 600 feriti di cui alcuni molto gravi. Una tragedia immensa, spesso dimenticata, ma che ha creato dei danni incalcolabili dal punto di vista psicologico richiamando a gran voce la problematica della sicurezza allo stadio. Da quel giorno infatti, lo stesso governo inglese guidato da Margareth Thatcher ha imposto provvedimenti ferrei sulle rappresaglie dei tifosi e sono state fortemente rinforzati i controlli negli stadi tutta Europa.

Ernesto Motto
Quel giorno di quarant’anni fa, di fronte alla tragedia, c’era anche Ernesto Motto, monticellese doc e ben conosciuto in paese per le sue numerose iniziative come il ruolo di animatore della compagnia degli Amici del Teatro e dello Sport. Da sempre tifosissimo della Juventus e all’epoca da poco diciottenne, era partito alla volta di Bruxelles con il fratello maggiore Eugenio e l’amico Walter di Cortenuova. Una finale di Champions League tanto sperata, la gioia di godersi dal vivo un’esperienza del genere che presto però si è trasformata in una tragedia che l’ha segnato profondamente.
''Io non sono stato coinvolto direttamente in quello che è successo, tendo subito a specificarlo – ci dice immediatamente Ernesto appena lo chiamiamo per farci raccontare l’accaduto - ma ho ricordi indelebili di quel giorno, non ero in mezzo al disastro, ma ero allo stadio nel settore opposto e tutti quelli che erano con me hanno visto chiaramente la furia dei tifosi inglesi, poi il panico delle persone, il tentativo di scappare. Poco alla volta abbiamo capito che era in corso un vero e proprio disastro'':

Il giorno della finale l’emozione è alle stelle, nel pomeriggio giungono a Bruxelles, sotto l’Atomium e poi entrano nello stadio. ''Ci siamo resi conto subito che non era uno stadio come gli altri, si entrava dall’alto e poi si scendeva attraverso dei grandi gradoni. La cosa che mi aveva colpito di più era stata una porta d’ingresso che si apriva dall’interno, un’unica via di fuga per un settore di oltre 13.000 persone. Tutti noi della Brianza eravamo distribuiti nelle zone M, N , O , mentre dell’altra parte il settore era stato assegnato per 2/3 agli italiani e per la restante parte agli inglesi. C’era grande agitazione, ma essendo lontani non abbiamo capito subito, poi abbiamo iniziato a vedere dei fumogeni, la gente che correva in campo, era successo qualcosa. È stato solo quando alcuni tifosi italiani sono venuti dalla nostra parte e ci hanno detto quello che stava succedendo che finalmente abbiamo capito. Eravamo prima increduli e poi è subentrata la paura, non tanto per quello che avrebbero potuto farci gli inglesi quando per la possibile reazione degli altri italiani. La mia prima reazione è stata quella uscire dallo stadio, ma poi mio fratello mi ha fatto ragionare: dove erano tutti gli altri? Dove era il pullman? Dove saremmo potuti andare? Abbiamo così deciso di restare e di mantenere la calma'' ci racconta Ernesto con palpabile emozione, mette in ordine le parole per richiamare alla mente qualcosa che anche a distanza di molti anni non è mai stato dimenticato.

''Avevamo vinto, ma quella vittoria non l’abbiamo mai sentita, c’era la coppa ma non la gioia di averla vinta – ha proseguito Ernesto- c’è però qualcosa di speciale che mi porto nel cuore legato a quella vicenda e che tutte le volte mi fa sorridere. Quando siamo arrivati la sera del giorno successivo a Missagliola c’era tantissima gente ad accoglierli, non c’erano solo i nostri amici e familiari ma persone da tutti i paesi vicini che erano giunti per portarci il loro supporto, per assicurarsi che stessimo bene. E’ stato davvero bello sentire l’affetto di tutte queste persone, un’emozione che è impossibile da dimenticare''.

Un'immagine dello stadio belga dopo la tragedia (credit Imago)
Ha fatto un certo effetto sentire il racconto di una vicenda così famosa da chi l’ha vissuta sulla sua pelle, Ernesto se la ricorda tutte le volte in cui va a vedere la sua squadra del cuore sin dal settembre successivo quando ritorna allo stadio per Juventus- Avellino. Ormai capita raramente di vedere l’amico Walter di Cortenuova eppure quando accade il pensiero va subito a quella sera che, seppure nella sua tragicità, è impossibile da dimenticare. Il progetto, ora che sono passati 40 anni da quella tremenda partita, è iniziare a raccontare, magari con uno spettacolo teatrale o semplicemente con un incontro con il pubblico, per rendere omaggio a tutte le vittime, a tenere vive le loro storie richiamando anche l’attenzione sulla sicurezza degli stadi che purtroppo rimane un problema attuale.
G.M.