Bevera di Sirtori: in migliaia all'evento con tre leggende dell'alpinismo

E’ stata una serata speciale quella di mercoledì 9 luglio a Bevera di Sirtori, dove - presso Df-Sport Specialist - è andato in scena l'evento ''Alpinismo di vita''. Il piazzale antistante il punto vendita si è trasformato in una vera e propria arena per incontrare Krzysztof Wielicki, Hans Kammerlander e Simone Moro, tre grandi dell’alpinismo italiano e internazionale che hanno scritto la storia. Tre veri e propri pezzi da novanta che sono stati accolti da oltre 2500 persone, un fiume di appassionati di alpinismo e non che sono giunti anche da fuori provincia per ascoltare le storie delle loro imprese. 
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Simone Moro fra Krzysztof Wielicki e Hans Kammerlander 

La serata, condotta da Luca Calvi e Vinicio Stefanello, è stata l’occasione per fare un vero e proprio viaggio tra diverse generazioni di alpinisti che hanno scalato le più alte vette della Terra e che hanno trasformato la montagna in una vera e propria ragione di vita. Tre uomini diversi, ognuno con la sua storia e la propria impresa da raccontare. Prima di lasciare spazio ai protagonisti, il pubblico ha potuto assistere all’esibizione di Erica Boschiero e Sergio Marchesini, una coppia di musicisti molto legata alla montagna, tanto da accompagnare spesso i grandi alpinisti durante i loro racconti.
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Krzysztof Wielicki è stato il primo a salire sul palco accolto da un applauso fortissimo e da grande entusiasmo. Polacco classe 1950, proprio 45 anni fa è divenuto il primo alpinista a scalare l’Everest d’inverno, un’avventura epica che ha aperto la via per un nuovo tipo di esplorazioni. Krzysztof è l’esponente della scuola polacca, gruppo di alpinisti che a partire da fine anni Settanta sono partiti alla volta delle vette sull’Himalaya per affrontarle in un modo più estremo: con le più basse temperature e molto spesso in solitaria.
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''Prima di noi in molti avevano già fatto le scalate degli ottomila, per il nostro paese era un periodo storico molto difficile e non avevamo il permesso di andare dall’altra parte del mondo. Quando finalmente ci è stata data quest possibilità abbiamo iniziato a capire che potevamo scrivere la storia in un altro modo, salendo sempre sulle grandi montagne ma facendolo d’inverno come nessuno lo aveva mai fatto prima. Abbiamo sempre ragionato come gruppo, partivamo tutti insieme, non ci importava chi arrivava, ma dovevamo farcela. Con l’Everest è stata anche una sfida contro il tempo, era il 17 febbraio ed era l’ultimo giorno di permesso, ad arrivare in cima non sono stato solo io, ma tutta la Polonia'' racconta Krzysztof che ha aperto una nuova via della scalata, ovvero quella di inverno quando le condizioni si fanno più terribili.
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Al microfono il padrone di casa, Sergio Longoni

L’Everest è solo una delle mitiche scalate dell’Alpinista polacco che è stato il quinto uomo della storia a completare la scalata di tutti i 14 ottomila, spesso da solo. Una vera e propria impresa straordinaria compiuta tra il 1980 e il 1996 conclusa con un’epica scalata del Nanga Parbat.
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''Nel 1996 mi sono ritrovato che mi mancavano due vette e per acclimatarmi sono andato già sul K2 a giugno. Eravamo molto stretti con i tempi perché sapevo che a metà luglio stavano già organizzando una spedizione per il Nanga Parbat e volevo approfittarne. Sono riuscito ad arrivare sul K2 in agosto e con il telefono satellitare mi sono messo in contatto con quelli dell’altra spedizione per capire come fossero messi e da lì ho avuto una bruttissima sorpresa: avevano tutti rinunciato. Io ho fatto passare un po’ di tempo, sono andato al campo base e una volta lì ho aspettato 3 giorni, poi ho deciso di partire, la montagna mi stava chiamando. Ammetto di avere avuto un po’ paura, ma volevo arrivare in vetta ad ogni costo. Una volta in cima è stato bellissimo, avevo realizzato la scalata di tutti i 14 ottomila, ma ero da solo, chi avrebbe potuto testimoniare la mia impresa? Sul momento mi è venuta un’idea un po’ folle, ho deciso di prendere il chiodo lasciato da Robert Schauer che era salito lì venti anni prima, sarebbe stata la mia prova'' ha proseguito WIelicki con una simpatia davvero unica che ha contagiato subito il pubblico. 
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Al microfono Krzysztof Wielicki 

Hans Kammerlander invece, altoatesino, ha iniziato a scalare a 8 anni, nato in un maso a 1600 metri di altezza, per lui affrontare la montagna è sempre stata una necessità. Le prime cime che ha scalato sono state quelle del Sudtirol, a vent’anni è diventato guida alpina, ma tutto è cambiato quando ha conosciuto Reinhold Messner. L’incontro con il grande alpinista, già leggenda nel panorama delle scalate estreme, ha cambiato completamente la vita di Kammerlander che proprio insieme a Messner ha scalato 7 ottima in 4 anni ed è stato il primo ha compiere il primo concatenamento di due ottomila, il Gasherbrum I e il Gasherbyrm II nel 1984.
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Krzysztof Wielicki e Hans Kammerlander 

''Quando ho incontrato Reinhold avevo 26 anni, facevo la guida alpina e la montagna più alta che avevo scalato era stato il Monte Bianco, in pratica non avevo esperienza sull’Himalaya. Eppure lui ha visto qualcosa di speciale in me, mi ha proposto di tentare insieme gli ottomila, ci abbiamo provato d’inverno e ci siamo fermati a metà scalata, abbiamo ripreso in primavera e siamo arrivati in cima allo Cho Oyu. Il ricordo più speciale è però legato alla concatenamento del 1984, credo sia stata la cosa più dura che abbia mai fatto in tutta a mia vita, sono stati 8 giorni terribili, senza respiratore e sherpa, ma alla fine ci siamo riusciti'' spiega Kammerlander che ha condiviso con Messner tantissime avventure speciali, poi ad un certo punto Reinhold ha deciso di fermarsi ed è a quel punto che ha capito che poteva trovare la sua nuova via. Hans Kammerlander è infatti entrato nella storia per il record, ancora imbattuto, della scalata dell’Everest dalla parete nord in 16 ore 45 minuti, ma soprattutto per essere stato il primo a scendere con gli sci. È stata questa la via nuova dell’alpinista sudtirolese che ha fatto dello sci un suo marchio di fabbrica.
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''Fare qualcosa con gli sci è sempre stato il mio sogno, da bambino usavo degli sci di legno per spostarmi da una parte all’altra e questo mi ha sempre appassionato. Purtroppo tutto questo con Reinhlold non si poteva fare perché non è mai stato un abile sciatore – ha proseguito Kammerlander – il mio primo ottomila con gli sci è stato il Nanga Parbat , l’ho fatto con un amico scalatore svizzero e una volta riuscito ho iniziato a pensare alla sfida più grande: l’Everest. Ho seguito un duro allenamento, per un mese ho fatto trekking in Nepal ad oltre 5000m di quota per ambientarmi e poi nel 1996 ho deciso di partire. Ho iniziato questa avventura con 3 amici di Lecco che avevano anche una telecamera, ma che si sono fermati ai 7000.  Io ho proseguito da solo e ho preso una decisione precisa: non volevo fare bivacchi, altrimenti avrei dovuto portare con me del peso ulteriore e così sono partito con uno zaino leggerissimo, non avevo da mangiare, ma solo 1 litro di te. Dovevo fare il più veloce possibile, se le condizioni non me lo avessero permesso sarei tornato indietro. Una volta arrivato in cima ho affrontato il momento più difficile, dovevo cambiare i ramponi con gli sci, ero stanco, ma dovevo assolutamente scendere, alla fine ho portato a termine una bella avventura''.
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Krzysztof Wielicki e Simone Moro

L’ultimo a salire sul palco è stato Simone Moro, bergamasco, il rappresentante di una nuova generazione di alpinisti che hanno dovuto convivere con l’importante lascito delle grandi leggende. Nato come arrampicatore, partendo dagli insegnamenti dei Maestri, è riuscito a trovare la sua propria strada scrivendo anche lui la storia. Simone Moro è stato il primo a salire d’inverno quattro ottomila: Shisha Pangma, Makalu, Gasherbrum II e il Nanga Parbat.
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''La mia generazione ha sofferto un po’ la pressione delle imprese di quelli che ci avevano preceduti, ormai avevano fatto tutto loro e non c’era più spazio. Sono stato attirato però dalle spedizioni sugli ottomila in inverno, la storia era stata scritta soltanto a metà, anche Messner e Kammerlander avevano desistito, quello era il mio momento. Il mio secondo 8000 invernale, il Makalu, è stato anche quello più leggero, eravamo solo in quattro, io, il mio compagno Denis Urubko, il cuoco e uno sherpa. È successo un fatto molto divertente perché ad un certo punto il cuoco, rimasto solo in campo base, per paura che non tornassimo ha nominato lo sherpa suo aiuto per tenergli compagnia'' ha spiegato Moro che poi voluto soffermarsi sull’importanza di avere dei fidati compagni di scalata, scelta che negli anni ha rischiato di essere perduta.
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''Oggi quando vuoi fare una spedizione sugli ottomila chiami l’agenzia che ti associa ad un gruppo, non conosci gli altri componenti, li vedi per la prima volta al campo base, invece fare un buon alpinismo significa avere un compagno fidato, un amico. Ho condiviso con il mio compagno Denis oltre 10 anni di scalate, l’ho conosciuto un po’ per caso dopo una spedizione sull’Annapurna in cui ho perso uno di miei maestri Anatolij Bukreev, ero molto legato a lui e così ho deciso di andare nei sui luoghi di origine. In Kazakistan ho conosciuto un ragazzo che sognava di fare l’alpinista, ma viveva su strada, si trattava di Denis. Siamo diventati subito grandi amici, tra noi c’era sintonia e abbiamo sviluppato un legame di fiducia come quello che c’era tra Reinhold Messner e Hans Kammerlander''.
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Ha fatto un certo effetto assistere ai racconti di un alpinismo epico, le storie di avventure speciali e che hanno segnato la storia. Si tratta di un tipo di spedizioni che oggi rischiano di venir schiacciate dal turismo di massa sulle montagne, anche sulle cime più alte. Sia Hans, Simone che Krzysztof hanno sottolineando il rischio di trasformare tutto questo in un mero business perdendo così il fascino dell’alpinismo, ora per riuscirci sembra sia necessario essere dei veri e propri professionisti e disporre di un grande capitale. La speranza di tutti e tre è quella di riuscire a suscitare nuovamente il fascino di queste spedizioni, di riassaporare il piacere di conquistare la vetta e non semplicemente sfidare gli altri. 
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Alla serata erano presenti anche due importanti alpinisti del nostro territorio come Mario Panzeri, l’unico lecchese ad essere riuscito a scalare tutti i 14 ottomila e Valerio Annovazzi, bergamasco trapiantato in Valsassina, che dopo due infarti si è appassionato all’alpinismo e ha scalato 5 ottomila. Tutti gli ospiti sono stati accolti sul palco dal padrone di casa Sergio Longoni che ha consegnato dei piccoli omaggi in ricordo della serata. Al termine dell’evento il pubblico ha potuto incontrare le tre leggende per farsi firmare i propri testi e confrontarsi circa le loro imprese.

Fotoservizio a cura di Carlo Monguzzi
G.M.
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