Il ciuffone convinto di salvare il mondo e l’idolatra con le mani sporche di sangue

Sono mesi che si è in attesa di un cambiamento di rotta nella geopolitica, invece tutto è ripetitivo immobile. Nella sostanza la rivoluzione copernicana - sinonimo di mutamento - si è fermata alle soglie di Eboli. Il Cristo sulla croce è stato tolto, l’hanno messo in un vecchio baule in attesa di fare una bella processione paesana.  

Sulla porta di Cristofero Colombo, al posto del gabbiano che annunciava una nuova terra, dallo sfondo compare un uomo con un grande ciuffo alla teddy boys anni cinquanta, che minaccia di infliggere dazi. Come Don Chisciotte di Cervantes, si considera il nuovo messia: cavalca l’illusione di colpire e trafiggere i mulini a vento.

Il ciuffone è convinto che salverà il mondo, il suo, dalla recessione economica. Il suo verbo è il dazio. Per comprendere l’importanza di questo dogma, bisogna tornare al Medioevo. In ogni porta delle città, prima di trasportare le merci dentro le mura, bisognava sottoporsi al controllo degli esattori. Ogni porta aveva la sua sede del dazio. 

Cambia solo la scena: ai comuni si sostituiscono gli Stati e gli imperi economici. Si gettano numeri in aria come coriandoli a carnevale e si aspetta che qualcuno abbocchi. Arlecchino è sempre sulla porta con il “Dottor” Balanzone che parla, parla, parla… Si intende di tutto e trova sempre qualcosa da dire su qualsiasi argomento. Usa un linguaggio strampalato come gli attuali governanti, zeppo di citazioni spesso storpiate, fa dei discorsi senza capo né coda, tanto da lasciare stupiti e a bocca aperta tutti quelli che lo ascoltano. É un fans di Crozza.

Si fanno annunci, conferenze, sceneggiate mediatiche sulla pace, ma chi ci guadagna è solo l’industria bellica e quella finanziaria.  L’uomo del ciuffo aveva garantito di risolvere alcuni conflitti in corso, di essere pronto a sistemare il tutto. Il bello è che qualcuno ci crede, lo considera una persona stabile.  Purtroppo, la realtà - quella sostanziale, quella fatta di corpi, bambini affamati, case distrutte - è un’altra.

I vari personaggi che compaiono sulla scena parlano con parole vuote, sradicate di significato e di senso: sembrano delle comparse tragiche.

Una scena scespiriana fuori dal coro è quella di Benjamin Netanyahu, primo ministro di Israele membro della Knesset e leader del partito conservatore Likud, quando nella cena di ricevimento con Trump si alza da tavola e allunga un foglio in cui propone a Donald il premio Nobel per la pace.

Una proposta fatta da un primo ministro che da anni sta distruggendo una popolazione radendo al suolo qualsiasi forma di vita. Quel braccio che si allunga evoca l’idolatra ed è lo stesso che ha nelle mani la morte di diciotto mila bambini e la desertificazione di una terra promessa.

Quella carta è un attestato di distruzione, altro che pace.  

Quando in politica la dimensione egoiga prevale sul reale e il pensiero si sbriciola come neve al sole, qualche interrogativo nasce.

In mezzo a tutto questo teatro dell’assurdo bisogna dotarsi di tanta energia per contrapporre al tragico l’ironia e la fantasia. Bisogna riscoprire i giullari e mettere in scena la dimensione tragicomica della realtà per non cadere nel vortice della delusione e nel pessimismo cosmico come dice Epicuro:” Non aspetti il giovane a filosofare né il vecchio di filosofare si stanchi: nessuno è troppo giovane o troppo vecchio per la salute dell’anima”.
Dr.Enrico Magni, psicologo e giornalista
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