Dazi: serve un cambio di passo

Dopo i chiari di luna di aprile, con una crescita dello 0,9% della produzione industriale, al termine di un segno meno durato 26 mesi, e Urso a millantare “l’arrivo della ripresa”, il –0,7% di maggio pubblicato agli inizi di luglio ha ricondotto alla realtà i toni fin troppo trionfalistici dell’Esecutivo.

Morale, la manifattura italiana sta percorrendo un crinale pericoloso e sul territorio la situazione è a dir poco preoccupante (STMicroelectronics, Peg Perego, Riello, per citare alcuni esempi) anche in termini occupazionali.
Imputati principali ovviamente le diatribe commerciali. in primis quella sui dazi (Trump non è certo un dissociato, ha invece l’estrema necessità di finanziare il Big Beautiful Bill, la sua ‘riforma’ fiscale, grazie alla quale il 10% più ricco della popolazione beneficerà di un aumento medio del reddito disponibile pari al 2%, mentre il 10% più povero vedrà una riduzione del 4%, a causa della riduzione delle tutele sanitarie e alimentari), approfondita dagli apprezzamenti dell’euro sul dollaro e sulle divise asiatiche (attorno al 13%), e i conflitti militari in drammatica espansione. Esito, le nostre merci più care negli USA e un mercato interno infiltrato dai prodotti del Dragone, che non penetrano più in America causa protezionismo, con una competitività falsata a danno delle nostre imprese, data la natura ampiamente comandata dell’economia cinese che può dunque giocare sui prezzi. Tutto ciò si riverbera anche sul turismo, con una vitalità interna che scema, poiché almeno in parte l’estero si palesa più conveniente.

Se il traino dell’economia sempre meno può far conto sulla domanda estera, in realtà la nota economica Istat di inizio luglio mostra come le variabili positive, ciascuna per sé presa, dal dato inflattivo stabile (2%) al mercato del lavoro su livelli quantitativi alti, alla crescita (+1,2%) dei consumi famigliari nel primo trimestre, non riescono ad attivare la ripresa, con un aumento invece della tendenza al risparmio.

Troppi nodi ancora aperti nonostante le dichiarazioni della politica: la questione salariale, contratti da rinnovare e chiudere, una politica industriale davvero efficace, la spirale dei prezzi legati al ‘carrello della spesa’ da spezzare, essendo in crescita (3,1%) ben oltre l’indice inflattivo generale. L’incertezza crea attendismo negli investimenti industriali e rischia di erodere progressivamente il numero degli occupati. L’annuncio di un accordo sui dazi raggiunto da UE e USA, al netto di quanto verrà effettivamente stabilito nero su bianco, impone qualche riflessione. Anche in ragione di quanto sopra illustrato, per la CISL i conti pesanti che il nostro Paese rischia di pagare in più settori economici strategici, non possono ridursi a una sorta di compensazione delle perdite. Come ha ribadito la nostra Segretaria Generale Daniela Fumarola:“Bisogna cambiare marcia ripensando il modello produttivo del Paese”. Necessita una riduzione della dipendenza dall’export con un ampliamento della domanda interna accompagnato da un cruciale aumento di produttività e salari.

A un tempo, Italia ed Europa dovranno orientarsi verso mercati alternativi rispetto agli attuali onde ridurre la dipendenza. Ai sovranisti di ogni razza e colore diciamo basta favole sull’isolazionismo. Il rischio vero in questo modo è quello di finire ai margini. Questi obiettivi di certo ambiziosi richiedono, per noi della CISL, un grande patto sociale come in più occasioni abbiamo sostenuto.

Alla politica chiediamo la destinazione di risorse cospicue per produzione e occupazione per l’aumento dei salari e della produttività, per l’innovazione e la formazione. Un impegno per nuove tutele e percorsi partecipativi. Diversamente saremo ancora una volta di fronte a vuoti esercizi di retorica parolaia.
Mirco Scaccabarozzi, Segretario Generale CISL Monza Brianza Lecco
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