No Castelli, il Sud non ruba nulla. Al più aspetta ancora di riavere ciò che gli è stato tolto

Dopo le dichiarazioni dell’ex ministro Roberto Castelli, riportate su questa testata, sul presunto favoritismo del governo verso il Sud — con accuse al Ponte sullo Stretto e alle opere in Sicilia e Calabria — ho sentito il dovere di intervenire. Non solo da cittadino meridionale, ma anche da amministratore locale. Perché le sue parole, oltre a essere storicamente infondate, offendono milioni di italiani e alimentano un racconto tossico che ha già fatto troppi danni.

Roberto Castelli, ex ministro leghista e oggi portavoce del Partito Popolare del Nord, ha deciso di regalarci un classico: “Il governo spende troppo per il Sud”. Il Ponte sullo Stretto, le opere in Sicilia e Calabria? Secondo lui, un fiume di soldi sottratti al Nord operoso per finire, chissà come, tra aranceti, mandolini e disoccupati. Sembra il solito disco rotto: il Nord lavora, il Sud mangia. Ma è un racconto che non regge più, se mai ha retto. Perché la verità, quella che dà fastidio dire, è che il Sud è stato spolpato per più di un secolo, e adesso, appena si prova a restituirgli qualcosa, al Nord gridano allo scandalo. Ma questa visione, oltre a essere miope e distorta, dimentica una verità storica che raramente si ha il coraggio di raccontare: è stato il Sud a essere saccheggiato, svuotato, umiliato, per permettere al Nord di diventare quello che è oggi. Non per fare la morale. Ma per ricordare come sono andate davvero le cose.

Un regno industriale, non una terra arretrata
Quando nel 1861 il Regno delle Due Sicilie venne annesso con la forza al Regno Sabaudo, non si trattava di un territorio arretrato o improduttivo. Al contrario, si trattava dello Stato italiano con:
  • la flotta mercantile più grande della penisola, terza in Europa;
  • le industrie metalmeccaniche d’avanguardia, come quelle di Pietrarsa e Mongiana;
  • i cantieri navali all’altezza di quelli francesi e inglesi, ai quali facevano tanta concorrenza;
  • un sistema bancario solido, con oltre 485 milioni di lire-oro di riserve.
La narrazione secondo cui l’unificazione avrebbe “portato la civiltà” nel Sud è una costruzione ideologica. I fatti storici raccontano tutt’altro. Basti solo pensare, ironicamente, che nella Reggia di Caserta è presente il primo bidet documentato della storia italiana moderna, installato da Maria Carolina d’Asburgo-Lorena, moglie di Ferdinando IV di Borbone. 
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L’interesse inglese e l’eliminazione di una potenza scomoda
L’Inghilterra aveva tutto l’interesse a vedere scomparire un Regno del Sud autonomo e forte, in grado di competere sul piano navale e commerciale nel Mediterraneo. Quando Ferdinando II stipulò un contratto esclusivo con la Francia per la vendita dello zolfo siciliano, gli inglesi arrivarono a minacciare la guerra pur di bloccarlo. Lo stesso governo britannico, pochi anni dopo, fornì sostegno logistico, militare e diplomatico alla spedizione dei “Mille” di Garibaldi, garantendo che il Regno borbonico non potesse reagire. Non fu un’unificazione: fu un’operazione politica, economica e militare, con l’obiettivo di distruggere una potenza economica del Sud e costruire un’Italia funzionale agli interessi anglo-piemontesi. Poi, tutti i popoli hanno bisogno di un mito per fondare la nascita della nazione e tutto questo è diventato il Risorgimento Italiano.

Una guerra civile cancellata dai libri

Dopo l’annessione, il Sud fu trattato come territorio nemico. Si parlò di “lotta al brigantaggio”, ma fu una vera guerra civile interna, con decine di migliaia di morti, paesi rasi al suolo come Pontelandolfo e Casalduni, e spostati in massa verso le carceri del Nord, come Fenestrelle. La legge Pica del 1863 istituì tribunali militari e arresti senza processo. I “briganti” erano spesso ex soldati borbonici, contadini espropriati, pastori poveri che avevano perso tutto. Resistevano a un’invasione che veniva presentata come liberazione. Mentre tutto questo accadeva, le industrie meridionali venivano chiuse o svendute, le ferrovie smantellate, le risorse trasferite al Nord. Il neonato Stato italiano costruì la sua economia spostando capitali, infrastrutture e decisioni politiche al Nord, lasciando al Sud solo assistenza e repressione.

Un esempio per tutti: il setificio di San Leucio
San Leucio non era una fabbrica qualunque. Era un sogno diventato pietra, telaio e seta. Alle porte di Caserta, nel cuore del Settecento, Ferdinando IV di Borbone decise che lì non ci sarebbe stato solo lavoro, ma una comunità modello. Una colonia reale della seta dove operai e famiglie vivevano in case dignitose, i bambini frequentavano scuole gratuite, anche le bambine, c’erano cure mediche, orari regolati e un codice di leggi – il Codice leuciano, scritto nel 1789 – che anticipava diritti civili e tutele che l’Italia avrebbe riconosciuto solo molto dopo. Lì si produceva seta di altissima qualità, esportata in tutta Europa, fino a Vienna e San Pietroburgo. I tessuti leuciani impreziosivano le stanze delle corti reali, e i suoi telai erano tra i più avanzati d’Europa. Ma San Leucio non era solo tecnica: era visione sociale, era l’idea che il lavoro potesse essere dignitoso, la vita comunitaria armoniosa, la produzione compatibile con la giustizia. Un piccolo mondo illuminato, che però dopo l’Unità d’Italia fu tagliato fuori dalla nuova economia nazionale. Lo Stato liberale non ne capì il valore, non lo integrò, non investì. E San Leucio, da avanguardia europea, divenne lentamente una reliquia artigianale, sopravvissuta più per ostinazione locale che per interesse nazionale. San Leucio è la mamma dimenticata di Crespi d’Adda, nata — quest’ultima — quasi un secolo dopo. 

Il Sud ha contribuito due volte: prima con le sue risorse, poi con i suoi figli
Dopo l’Unità d’Italia, le riserve del Banco di Napoli e del Banco di Sicilia furono integrate nel sistema bancario nazionale, che andò a centralizzarsi attorno al Banco Nazionale di Torino, precursore della Banca d’Italia. Queste risorse finanziarie contribuirono alla costruzione del nuovo Stato, ma furono in gran parte impiegate per sostenere spese pubbliche, infrastrutture e sviluppo industriale localizzati nel Nord, mentre il Mezzogiorno veniva progressivamente emarginato. Nel frattempo, milioni di meridionali emigravano verso il Nord o all’estero, fornendo manodopera a basso costo per l’espansione delle fabbriche settentrionali, senza che ai territori d’origine tornassero investimenti equivalenti in servizi o opere pubbliche.
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Il mito del “residuo fiscale”

Castelli parla di “50 miliardi sottratti al Nord” e di “100 miliardi all’anno lasciati a Roma”. Sembra una rapina a mano armata. Ma questi calcoli si basano su un concetto parziale e fuorviante: il residuo fiscale. Il residuo fiscale è la differenza tra quanto una regione versa allo Stato (in tasse e contributi) e quanto riceve in spesa pubblica e servizi. Ma non tiene conto delle disuguaglianze storiche tra territori né degli obblighi costituzionali di perequazione. Per decenni, il Sud ha ricevuto meno del dovuto, anche quando contribuiva in modo simile o superiore. Solo con il PNRR si è provato un riequilibrio, più per imposizione dell’Unione Europea che per scelta politica. I dati dei Conti Pubblici Territoriali parlano chiaro: la spesa pubblica pro capite nel Centro-Nord supera i 13.000 euro, mentre al Sud si ferma a circa 10.900 euro. Secondo SVIMEZ, anche dopo la pandemia il Sud cresce meno, consuma meno e riceve meno investimenti. Il PNRR avrebbe dovuto assegnare al Mezzogiorno almeno il 40% delle risorse territorializzabili. I dati mostrano che ha ricevuto solo il 38%, mentre il Nord il 44%, pur avendo una popolazione del 34%. Solo modifiche recenti hanno corretto parzialmente questa sproporzione.

Le vere grandi opere? Al Nord

È curioso che ci si indigni oggi per il Ponte sullo Stretto, mentre negli ultimi trent’anni lo Stato ha investito decine di miliardi in grandi opere al Nord: TAV Torino-Lione, Pedemontana, Mose di Venezia, BreBeMi, Alta Velocità Milano-Bologna-Roma-Napoli - giunta in Campania con circa venti anni di ritardo. Il Sud, invece, ha ancora linee ferroviarie a binario unico e intere province prive di collegamenti rapidi, come in Puglia e in Sicilia. La tratta Bari–Lecce è rimasta a binario unico, diesel, non elettrificata per decenni. I piani di elettrificazione e raddoppio risalgono agli anni ’70 ma ancora oggi non sono completati. Il Ponte è solo un simbolo: non risolve tutto, ma è il secondo vero investimento nazionale nel Sud dal dopoguerra, dopo la Salerno-Reggio Calabria. 

Il Sud produce anche cervelli che il Nord usa
Ogni anno, migliaia di giovani meridionali lasciano le loro terre per cercare lavoro e opportunità al Nord o all'estero. Si diplomano, si laureano, si specializzano nelle università del Sud, e poi portano le loro competenze altrove. Tra il 2022 e il 2023, oltre 1,1 milioni di persone si sono trasferite dal Sud e dalle Isole verso il Centro‑Nord, con un saldo netto negativo di circa 525 mila residenti per il Mezzogiorno. Chi li forma? Le famiglie meridionali. Chi ne beneficia? Le imprese del Nord. Si potrebbe chiamare “fuga di cervelli”. Secondo SVIMEZ, tra le giovani laureate meridionali, il 30‑36% ha lasciato il Mezzogiorno per trasferirsi altrove, molte volte al Nord. 
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No, Castelli. Il Sud non ha rubato nulla al Nord. È stato il contrario, forse, per 160 anni. Le sue parole suonano offensive verso una parte d’Italia che ha pagato in anticipo e forse più del dovuto, e che oggi ancora attende giustizia. Parlare di equità tra territori senza fare i conti con questa storia significa continuare a raccontare una bugia comoda, utile forse per una propaganda elettorale, ma non per costruire un Paese davvero unito. E l’Italia, oggi più che mai, ha bisogno di verità, memoria e giustizia storica. Non di slogan tossici. E poi forse queste storielle funzionavano negli anni ‘70. Fortuna che oggi la gente comune non ci crede più e io ne sono un esempio: terrone nato, cresciuto e pasciuto al Sud, emigrato al nord per lavoro, candidato consigliere alle comunali di Cernusco Lombardone e terzo eletto della lista che ha vinto. Oggi, assessore al bilancio.  E sa cosa vedo ogni giorno? Che non esiste nessuna superiorità morale padana e le inchieste edilizie di Milano ne sono solo l’ultima prova. Esistono persone competenti e incapaci ovunque, al Nord come al Sud. Esistono amministratori seri e cialtroni, aziende virtuose e aziende inadempienti, cittadini onesti e evasori incalliti. Dividere il Paese a metà, come se da una parte ci fosse chi lavora e dall’altra chi pesa, è una scorciatoia mentale per chi ha bisogno di un nemico comodo da agitare, soprattutto sotto elezioni. Io al Nord ci vivo. Ci lavoro. Ci metto la faccia. E so bene che la vera sfida è ricucire, non riaprire ferite. Basta con la favola del Sud mantenuto. Basta con la retorica del Nord virtuoso. La verità è che l’Italia funziona solo se funziona tutta. Non se si salva una metà e si scarica l’altra. La politica che serve oggi è quella che investe, ascolta e ripara. Non quella che alimenta rancori per qualche voto in più.
Quindi no, Castelli: il Sud non ruba nulla. Al massimo, aspetta ancora di riavere indietro quello che gli è stato tolto. Ma noi, del Sud, siamo anche gente perbene. Non dimentichiamo, ma sappiamo perdonare. La fraternità in un solo popolo non esclude giustizia e verità. Anzi, la pretende.
Pietro Santoro
Assessore al Bilancio del Comune di Cernusco Lombardone.
Nato al Sud, onorato dalla fiducia di Cernusco Lombardone che ha saputo guardare oltre.


P.S.: Quando vuole, sarò lieto di accompagnarla personalmente a Caserta, a San Leucio, a Carditello. Ma anche a Pietrarsa, a Mongiana, a Portici, a Capodimonte e al Palazzo Reale di Napoli, passando per quel gioiello di teatro che è il San Carlo. Poi magari ci fermiamo a Gaeta, a Fenestrelle, a Bronte, a Pontelandolfo e a Casalduni.
Così, giusto per farsi un’idea di cosa abbiamo perso e di chi ha pagato il conto.
E il conto, qui, glielo pago io. Cordialmente.

Fonti
Generiche:
Gianni Oliva, Un Regno che è stato grande. Storia negata dei Borbone di Napoli e Sicilia. Mondadori, 2016.
Carmine Pizzaroni et al., “Unificazione italiana, reazione borbonica, brigantaggio e ‘questione meridionale’”, Rivista di Terra di Lavoro, Archivio di Stato Caserta 2020.
F. Molfese, Storia del brigantaggio post-unitario nel Mezzogiorno; Galasso, “Unificazione italiana e tradizione meridionale nel brigantaggio del Sud” in atti del Convegno Archivio Storico per le Province Napoletane.

Sulla flotta borbonica:
Augusto Placanica, Storia del Regno delle Due Sicilie, Utet, 1997.
Giuseppe Campolieti, Il Regno che fu, Rusconi, 1999.

Sull’industrie metalmeccaniche di Pietrarsa e Mongiana:
Raffaele Ajello, Industria e borghesia nel Regno delle Due Sicilie, ESI, 1971.
Paolo Malanima, Crescita e declino dell’industria nel Mezzogiorno, in Mezzogiorno, una storia italiana, Donzelli, 1993.

Sulle riserve auree:
Luigi De Rosa, Il Banco di Napoli. Una storia meridionale, Laterza, 1975.
Rosario Villari, Il Sud nella storia d’Italia, Laterza, 1991.

Sull’appoggio politico inglese: 
1. Per la crisi dello zolfo:
Rosario Romeo, Il Risorgimento in Sicilia, Laterza, 1973.
Harold Acton, I Borboni di Napoli, Rusconi, 1983.
2. Sul sostegno britannico alla Spedizione dei Mille:
Harold Acton, I Borboni di Napoli, Rusconi, 1983.
Denis Mack Smith, Cavour e Garibaldi, Laterza, 1984.
3. Sul Risorgimento come operazione anglo-piemontese:
Carlo Alianello, La conquista del Sud. Il Risorgimento nell’Italia meridionale, Rusconi, 1972.
Piero Bevilacqua, Sud. Il sogno spezzato, Donzelli, 1998.
Nicola Zitara, L'unità d'Italia: nascita di una colonia, Jaca Book, 2011.

Su Borgo di San Leucio:
Ministero della Cultura – Archivio Belvedere di San Leucio, “Le origini della colonia reale della seta” (www.sanleucio.it).
Codice Leuciano (1789), redatto da Antonio Planelli per conto di Ferdinando IV di Borbone, in “Statuto per il buon governo della popolazione di San Leucio”, Archivio Storico di Caserta.
San Leucio e il suo statuto, Senato della Repubblica – Biblioteca Minerva, 2018 (www.senato.it).

Su Fenestrelle:
Gigi Di Fiore, Controstoria dell’Unità d’Italia, Rizzoli, 2007.
Francesco Mario Agnoli, I vinti del Risorgimento. Storia e storie di chi combatté contro l’Unità d’Italia, Il Cerchio, 2011.
Pietro Santoro
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