Lecco: l’arte degli outsider e la mostra di Antonio Ligabue
Se hai voglia di fare una passeggiata, con questo caldo agostano, per vedere il nuovo lungolago di Lecco fino alle fontane di Antonio Bovara e respirare la frescura della breva, contemporaneamente, potresti visitare la mostra a Palazzo Delle Paure di “Antonio Ligabue e l’arte degli Outsidere”.
La prima mostra di Art Brut risale al 1945 ed è stata ideata da Jean Dubuffett (Svizzera, Losanna). Da allora si sono sviluppate collezioni come Abcd Art Brut a Parigi, a Munster in Germania, a Mosca, a Chicago negli Stati Uniti. Il Museo della casa degli artisti Gugging (Austria), ex manicomio, è una miniera di atti espressivi inimmaginabili.
Palazzo Delle Paure di Lecco, al primo piano, nell’atrio, ci sono pannelli che spiegano l’intreccio tra arte e follia. Infatti, gli artisti, i pittori e poeti hanno un passato personale trascorso all’interno delle mura manicomiali. L’accostamento stimola l’immaginazione, la curiosità, come se ci fosse una sincronia tra follia e arte. C’è la tendenza a codificare, catalogare, etichettare l’atto creativo dentro un contesto o un periodo storico.
L’accostamento, in questo caso, sollecita qualche perplessità. L’opera d’arte è l’espressione di un atto creativo volontario neuropsicologico. Per l’outsider, la forza e la bellezza sta proprio nel trasferire sulla tela, sulla carta il rappresentato di un mondo che il normale non possiede. Riuscire a trasferire una pulsione, un delirio (uscire dal solco) è un atto destrutturante, che ci dà la possibilità di guardare e riflettere dentro quel buco nero sconosciuto, che è la nostra mente. É un atto creativo fluido, libero dal condizionante mondo normativo del dover essere. Non tutti quelli che vivono un disagio psichico sono artisti.
Nella prima sala, a sinistra, c’è l’istallazione di Giovanni Sesia (Magenta 1955), che ha fatto della follia uno dei temi cardini della propria ricerca artistica.
A due passi, a destra, c’è la sala con l’esposizioni di Antonio Ligabue ( Zurigo 18 dicembre 1899 - Gualtieri, 27 maggio 1965). L’infanzia di Ligabue è costellata da disagio, miseria, isolamento e marginalità. Per la prima volta, nel 1937, finisce in manicomio; in seguito, lo rinchiudono nel manicomio di San Lazzaro di Reggio Emilia nel 1940, nel 1945. Nel corso del terzo ricovero, scrive una lettera al sindaco di Gualtieri chiedendo di essere dimesso perché ‘artista’. L’arte diventa riaffernazione della dignità umana, strumento di riappropriazione di un ruolo sociale che la società e le condizioni di vita non gli avevano dato.
Vivendo nei campi della padania, tra boschi e animali, la sua immaginazione si spalanca e vola nella giungla, dove incontra leoni, tigri, ghepardi che combattono per sopravvivere. È una traslazione antropomorfica del suo infinito buco nero aggressivo. Quando rappresenta il mondo contadino, con buoi, animali di cortile, le tenebre si placano e si distendono. È un gioco cromatico molto inteso, forte, vivace, che spalanca il sipario emozionale. La raffigurazione dinamico-espressiva dei corpi animali si intreccia con il suo corpo, il suo volto raffigurato amato e odiato. Gli animali urlano e sentono il suo suono.
Appena, fuori dal salone, voltando l’angolo, sulla parete ci sono i dipinti di Mario Puccini (Livorno 1869 – Firenze 1920). Puccini ha una formazione accademica: Scuola tecnica comunale di Livorno e Accademia di Belle Arti di Firenze. É stato spinto da Giovanni Fattori a pitturare. Nel 1893, a causa di una depressione, è considerato irrecuperabile e viene internato nel manicomio San Nicolò di Siena. Uscito dal manicomio, si mette a dipingere intensamente ripetendo, in modo maniacale e ossessivo, paesaggi. Il colore è al centro della sua ricerca espressiva: sinonimo di emozioni.
Nello stesso spazio, voltando le spalle ai dipinti di Mario Puccini, sulla sinistra, c’è un quadro informale di Edoardo Fraquelli (Tremezzina 1933 – Como 1995), che occupa tutta la parete. Nel 1956, Fraquelli espone per la prima volta Milano, partecipando a quel fermento artistico segnato dalla presenza di Fontana, Munari, Manzoni, Castelli, Bonalumi, Vermi a altri. Poi iniziano i malesserri mentali che lo portano in manicomio al San Martino di Como. Fraquelli ha vissuto la pittura in modo intenso, trasferendo in essa vedute di natura e visioni interiori, in un percorso creativo che si sviluppa – in modo figurato, ma anche di esperienza e di ricerca – dalla terra alla luce, dall’informale fino alla pura poesia.
Accanto, sulla stessa parete, ci sono tre opere di Pietro Ghizzardi (Viadana 1906 – 1986). I suoi personaggi, le sue donne, i suoi animali sono grovigli di linee, tracciate con sicurezza, guidate da un istinto che suggerisce le forme. Dagli anni Cinquanta, i sogni e le visioni di questo solitario, introverso, scorbutico uomo del Po, sono impresse su cartoni recuperati nei rifiuti: i ritratti delle donne con scritte completano la composizione. Le donne sono archetipi psicologicamente ripugnanti e mostrano la loro carica di sensualità. Il piacere sensuale si eleva a dramma, mentre l’artista mette a fuoco i suoi demoni interiori. Sono icone deformate dal tratto marcato e intenso. Gli occhi neri e penetranti aprono la porta a un’energia oscura.
Alle spalle, di Ghirardi, c’è Filippo de Pisis (Ferrara 1896 – Milano 1956). Nel 1914, De Pisis inizia gli studi di lettere e filosofia all’Università di Bologna; dopo la laurea si trasferisce a Roma dedicandosi alla pittura. Nel settembre del 1916, a Ferrara, conosce i due fratelli de Chirico e Carlo Carrà. De Pisis, affascinato dall’arte di Giorgio de Chirico, vive il momento metafisico in veste di teorico e sostenitore del nuovo linguaggio pittorico, così come fa per il Futurismo, che lo attira soprattutto per l’aspetto teatrale. Intrattiene rapporti epistolari con Jacob, Apollinaire e Tristan Tzara. Nel 1919 incontra a Milano Filippo Tommaso Marinetti, a Bologna Morandi e Cardarelli e a Roma Giovanni Comisso. La sua attività artistica si sviluppa tra Parigi e Londra. Ma la sua diversità e le condizioni sociali lo tormentano. È ricoverato a Villa Fiorita a Brugherio (manicomio privato) e la sua arte subisce delle trasformazioni.
Accanto, c’è Gino Sandri (Rossiglione 1892 – Limbiate 1959), intellettuale, straordinario disegnatore e illustratore. Nel 1911, si iscrive all’Accademia di Brera a Milano; i suoi maestri sono Cesare Tallone, V. Bignami, G. Mentessi e F. Confalonieri. É accusato dal regime fascista di essere un soggetto pericoloso ed è rinchiuso a Monte Mario. Nel 1926 è internato nel manicomio di Turro e poi ad Affori: trascorre la sua esistenza dentro le maledette mura manicomiali e muore a Mombello. È un fotografo attento della realtà manicomiale, scrutatore di volti, di anime del girone infernale; disegna con maestria e precisione volti e storie di vita manicomiale.
Sulla stessa parete ci sono tre opere di Rino Ferrari. Ferrari si diploma a La Spezia come designer. Chiamato alle armi, nella Seconda Guerra mondiale, vive il dramma dell’eccidio di Cefalonia in Grecia. Passa due anni in un campo di concentramento e ritorna traumatizzato e sconvolto. Preso da deliri mistici, nel 1950, supera la soglia del manicomio di Mombello, dove vi trascorre buona parte della sua esistenza. I suoi disegni sono volti in preda da un delirio uditivo mistico: disegni e grafismi ricchi di simbologie e di avvenimenti.
L’ultima sala è dedicata a Carlo Zinelli (San Giovanni Lupatoto 1916 – Chievo 1974). Zinelli, dopo l’esperienza drammatica della guerra civile di Spagna, è rinchiuso a San Giacomo della Tompa a Verona. È stato lo psichiatra Vittorino Andreoli a farlo dipingere. Zinelli è l’icona della pittura outsiders o Art Brut secondo la definizione di Jean Dubuffet. Non è il solo che ha lasciato graffiti, disegni, pitture sulle mura dei manicomi. Carlo Zinelli, e non solo lui, ci porta dentro nel buco nero di spazio-tempo in espansione e contrazione dell’inconscio.
Anche nel lecchese, prima di questa mostra, ci sono dell’esposizioni permanenti di Art Brut. Basta prendere l’auto, oppure, ancor megli il treno, raggiungere la stazione di Varenna, entrare nella sala d’attesa, per ritrovarsi attorniati da dipinti, disegni, opere di outsider contemporanei prodotti all’interno di un laboratorio pittorico e scultorio - fino al 2012 - promosso dall’Associazione Sesto Senso per il Benessere Mentale presso il Centro Psicosociale di Bellano.
La mostra continua presso la stazione di Bellano, dove, nella vecchia biglietteria e nello scalone, si trovano opere sempre di outsider. L’ultima tappa è la stazione di Colico, anche lì, nella sala d’attesa, si possono vedere altre opere di Art Brut. Le istallazioni sono il frutto della collaborazione tra Associazione Sesto Senso, FS e amministrazioni locali.
L’intenzione dell’Associazione era di collocare, nelle sale d’attesa, tra il tratto ferroviario Lecco- Sondrio, opere di autori outsider. Lo scopo era di portare l’Art Brut fuori dagli ambulatori, dagli ambiti ristretti e asfittici; peccato che l’informazione locale, gli amministratori non stiano valorizzando questo patrimonio artistico.
La prima mostra di Art Brut risale al 1945 ed è stata ideata da Jean Dubuffett (Svizzera, Losanna). Da allora si sono sviluppate collezioni come Abcd Art Brut a Parigi, a Munster in Germania, a Mosca, a Chicago negli Stati Uniti. Il Museo della casa degli artisti Gugging (Austria), ex manicomio, è una miniera di atti espressivi inimmaginabili.
Palazzo Delle Paure di Lecco, al primo piano, nell’atrio, ci sono pannelli che spiegano l’intreccio tra arte e follia. Infatti, gli artisti, i pittori e poeti hanno un passato personale trascorso all’interno delle mura manicomiali. L’accostamento stimola l’immaginazione, la curiosità, come se ci fosse una sincronia tra follia e arte. C’è la tendenza a codificare, catalogare, etichettare l’atto creativo dentro un contesto o un periodo storico.
L’accostamento, in questo caso, sollecita qualche perplessità. L’opera d’arte è l’espressione di un atto creativo volontario neuropsicologico. Per l’outsider, la forza e la bellezza sta proprio nel trasferire sulla tela, sulla carta il rappresentato di un mondo che il normale non possiede. Riuscire a trasferire una pulsione, un delirio (uscire dal solco) è un atto destrutturante, che ci dà la possibilità di guardare e riflettere dentro quel buco nero sconosciuto, che è la nostra mente. É un atto creativo fluido, libero dal condizionante mondo normativo del dover essere. Non tutti quelli che vivono un disagio psichico sono artisti.
Nella prima sala, a sinistra, c’è l’istallazione di Giovanni Sesia (Magenta 1955), che ha fatto della follia uno dei temi cardini della propria ricerca artistica.
A due passi, a destra, c’è la sala con l’esposizioni di Antonio Ligabue ( Zurigo 18 dicembre 1899 - Gualtieri, 27 maggio 1965). L’infanzia di Ligabue è costellata da disagio, miseria, isolamento e marginalità. Per la prima volta, nel 1937, finisce in manicomio; in seguito, lo rinchiudono nel manicomio di San Lazzaro di Reggio Emilia nel 1940, nel 1945. Nel corso del terzo ricovero, scrive una lettera al sindaco di Gualtieri chiedendo di essere dimesso perché ‘artista’. L’arte diventa riaffernazione della dignità umana, strumento di riappropriazione di un ruolo sociale che la società e le condizioni di vita non gli avevano dato.
Vivendo nei campi della padania, tra boschi e animali, la sua immaginazione si spalanca e vola nella giungla, dove incontra leoni, tigri, ghepardi che combattono per sopravvivere. È una traslazione antropomorfica del suo infinito buco nero aggressivo. Quando rappresenta il mondo contadino, con buoi, animali di cortile, le tenebre si placano e si distendono. È un gioco cromatico molto inteso, forte, vivace, che spalanca il sipario emozionale. La raffigurazione dinamico-espressiva dei corpi animali si intreccia con il suo corpo, il suo volto raffigurato amato e odiato. Gli animali urlano e sentono il suo suono.
Appena, fuori dal salone, voltando l’angolo, sulla parete ci sono i dipinti di Mario Puccini (Livorno 1869 – Firenze 1920). Puccini ha una formazione accademica: Scuola tecnica comunale di Livorno e Accademia di Belle Arti di Firenze. É stato spinto da Giovanni Fattori a pitturare. Nel 1893, a causa di una depressione, è considerato irrecuperabile e viene internato nel manicomio San Nicolò di Siena. Uscito dal manicomio, si mette a dipingere intensamente ripetendo, in modo maniacale e ossessivo, paesaggi. Il colore è al centro della sua ricerca espressiva: sinonimo di emozioni.
Nello stesso spazio, voltando le spalle ai dipinti di Mario Puccini, sulla sinistra, c’è un quadro informale di Edoardo Fraquelli (Tremezzina 1933 – Como 1995), che occupa tutta la parete. Nel 1956, Fraquelli espone per la prima volta Milano, partecipando a quel fermento artistico segnato dalla presenza di Fontana, Munari, Manzoni, Castelli, Bonalumi, Vermi a altri. Poi iniziano i malesserri mentali che lo portano in manicomio al San Martino di Como. Fraquelli ha vissuto la pittura in modo intenso, trasferendo in essa vedute di natura e visioni interiori, in un percorso creativo che si sviluppa – in modo figurato, ma anche di esperienza e di ricerca – dalla terra alla luce, dall’informale fino alla pura poesia.
Accanto, sulla stessa parete, ci sono tre opere di Pietro Ghizzardi (Viadana 1906 – 1986). I suoi personaggi, le sue donne, i suoi animali sono grovigli di linee, tracciate con sicurezza, guidate da un istinto che suggerisce le forme. Dagli anni Cinquanta, i sogni e le visioni di questo solitario, introverso, scorbutico uomo del Po, sono impresse su cartoni recuperati nei rifiuti: i ritratti delle donne con scritte completano la composizione. Le donne sono archetipi psicologicamente ripugnanti e mostrano la loro carica di sensualità. Il piacere sensuale si eleva a dramma, mentre l’artista mette a fuoco i suoi demoni interiori. Sono icone deformate dal tratto marcato e intenso. Gli occhi neri e penetranti aprono la porta a un’energia oscura.
Alle spalle, di Ghirardi, c’è Filippo de Pisis (Ferrara 1896 – Milano 1956). Nel 1914, De Pisis inizia gli studi di lettere e filosofia all’Università di Bologna; dopo la laurea si trasferisce a Roma dedicandosi alla pittura. Nel settembre del 1916, a Ferrara, conosce i due fratelli de Chirico e Carlo Carrà. De Pisis, affascinato dall’arte di Giorgio de Chirico, vive il momento metafisico in veste di teorico e sostenitore del nuovo linguaggio pittorico, così come fa per il Futurismo, che lo attira soprattutto per l’aspetto teatrale. Intrattiene rapporti epistolari con Jacob, Apollinaire e Tristan Tzara. Nel 1919 incontra a Milano Filippo Tommaso Marinetti, a Bologna Morandi e Cardarelli e a Roma Giovanni Comisso. La sua attività artistica si sviluppa tra Parigi e Londra. Ma la sua diversità e le condizioni sociali lo tormentano. È ricoverato a Villa Fiorita a Brugherio (manicomio privato) e la sua arte subisce delle trasformazioni.
Accanto, c’è Gino Sandri (Rossiglione 1892 – Limbiate 1959), intellettuale, straordinario disegnatore e illustratore. Nel 1911, si iscrive all’Accademia di Brera a Milano; i suoi maestri sono Cesare Tallone, V. Bignami, G. Mentessi e F. Confalonieri. É accusato dal regime fascista di essere un soggetto pericoloso ed è rinchiuso a Monte Mario. Nel 1926 è internato nel manicomio di Turro e poi ad Affori: trascorre la sua esistenza dentro le maledette mura manicomiali e muore a Mombello. È un fotografo attento della realtà manicomiale, scrutatore di volti, di anime del girone infernale; disegna con maestria e precisione volti e storie di vita manicomiale.
Sulla stessa parete ci sono tre opere di Rino Ferrari. Ferrari si diploma a La Spezia come designer. Chiamato alle armi, nella Seconda Guerra mondiale, vive il dramma dell’eccidio di Cefalonia in Grecia. Passa due anni in un campo di concentramento e ritorna traumatizzato e sconvolto. Preso da deliri mistici, nel 1950, supera la soglia del manicomio di Mombello, dove vi trascorre buona parte della sua esistenza. I suoi disegni sono volti in preda da un delirio uditivo mistico: disegni e grafismi ricchi di simbologie e di avvenimenti.
L’ultima sala è dedicata a Carlo Zinelli (San Giovanni Lupatoto 1916 – Chievo 1974). Zinelli, dopo l’esperienza drammatica della guerra civile di Spagna, è rinchiuso a San Giacomo della Tompa a Verona. È stato lo psichiatra Vittorino Andreoli a farlo dipingere. Zinelli è l’icona della pittura outsiders o Art Brut secondo la definizione di Jean Dubuffet. Non è il solo che ha lasciato graffiti, disegni, pitture sulle mura dei manicomi. Carlo Zinelli, e non solo lui, ci porta dentro nel buco nero di spazio-tempo in espansione e contrazione dell’inconscio.
Anche nel lecchese, prima di questa mostra, ci sono dell’esposizioni permanenti di Art Brut. Basta prendere l’auto, oppure, ancor megli il treno, raggiungere la stazione di Varenna, entrare nella sala d’attesa, per ritrovarsi attorniati da dipinti, disegni, opere di outsider contemporanei prodotti all’interno di un laboratorio pittorico e scultorio - fino al 2012 - promosso dall’Associazione Sesto Senso per il Benessere Mentale presso il Centro Psicosociale di Bellano.
La mostra continua presso la stazione di Bellano, dove, nella vecchia biglietteria e nello scalone, si trovano opere sempre di outsider. L’ultima tappa è la stazione di Colico, anche lì, nella sala d’attesa, si possono vedere altre opere di Art Brut. Le istallazioni sono il frutto della collaborazione tra Associazione Sesto Senso, FS e amministrazioni locali.
L’intenzione dell’Associazione era di collocare, nelle sale d’attesa, tra il tratto ferroviario Lecco- Sondrio, opere di autori outsider. Lo scopo era di portare l’Art Brut fuori dagli ambulatori, dagli ambiti ristretti e asfittici; peccato che l’informazione locale, gli amministratori non stiano valorizzando questo patrimonio artistico.
Dr.Enrico Magni, psicologo e giornalista