Lucciole e cavallette sono scomparse. Restano solo piombo, macerie e morte

Le lucciole sono scomparse da molti anni. Erano solite farsi vedere nelle sere di maggio nei cortili, tra gli alberi, portavano il segno dell’inizio della primavera; qualcuna gironzolava anche nelle strade poco illuminate. Si incontravano in parrocchia dopo il rosario della sera. In campagna, costellavano il cielo del primo fieno appena tagliato. La scomparsa delle lucciole, secondo Pasolini, rappresentò una cesura epocale, un cambiamento sociale e politico. Dopo qualche mese, da quell’articolo scritto su Il Corriere della sera (1975), Pasolini, fu assassinato. Come molti omicidi politici e sociali, l’atto è ancora oscurato dall’ombra e dal silenzio.

Come le lucciole, anche le cavallette stanno scomparendo. Le cavallette nel mese di settembre si possono trovare nei prati che saltellano; è giocoso nel vederle saltare. Nei mesi di settembre, quando le scuole iniziavano a ottobre, era possibile trascorrere giornate a giocare con le cavallette e scommettere con l’amico sulla più saltante e veloce. Si prendeva la cavalletta, la si metteva sotto il vuoto del bicchiere, poi la si liberava per vedere chi compiva il primo triplo salto in lungo.

Oggi, le cavallette a Gaza sono scomparse dai campi gialli, dai verdi prati. Non c’è più una cavalletta in giro da quelle parti. I bambini non possono rincorrerle né giocare. Ci sono solo montagne di macerie. Alla caelifera (cavalletta) si è sostituita la cavalletta meccanica, robotica carica di polvere da sparo, di piombo - simbolo dell’attuale ottava piaga apocalittica che affligge  questo popolo che vaga e si muove in questa striscia di terra sulla sponda del Mediterraneo -.

Spesso ci si dimentica delle proprie origini e dei conflitti vissuti. Si rimuove la propria storia e si proietta la sofferenza subita sua altri.    

“Mai dimenticherò quella notte, la prima notte nel campo, che ha fatto della mia vita una lunga notte e per sette volte sprangata. Mai dimenticherò quel fumo. Mai dimenticherò i piccoli volti dei bambini di cui avevo visto i corpi trasformarsi in volute di fumo sotto un cielo muto. Mai dimenticherò quelle fiamme che consumarono per sempre la mia Fede. Mai dimenticherò quel silenzio notturno che mi ha tolto per l’eternità il desiderio di vivere. Mai dimenticherò quegli istanti che assassinarono il mio Dio e la mi anima, e i miei sogni, che presero il volto del deserto. Mai dimenticherò tutto ciò, anche se fossi condannato a vivere quanto Dio stesso. Mai. (Elie Wiesel, La notte, Giuntina Edizioni, Premio Nobel per la Pace 1989) “

Nel leggere questo testo di questo ebreo, nato a Sighet (1928-2016), in Transilvana, che a tredici anni è deportato a Auschwitz e Buchenwald, e che per due anni ha sofferto l’infinito male umano, mi basta poco per trovare delle analogie con quello che sta accadendo.

La violenza umana è così aberrante, così maledettamente radicata a livello biopsichico che basta poco per farla emergere. Basta scartabellare i miti da quelli greci, latini, islamici, giudaici e altri, per rintracciare, a livello metastorico e metapsicologico, la dimensione della violenza e l’origine delle guerre.

Le cavallette sono scomparse nella striscia di Gaza. Hanno lasciato spazio alle micidiali cavallette robotiche che producono fumi, distruzione e uccisione di bambini inermi. Tutto ciò accade per un bisogno di vendetta, a causa di un crimine efferato e inammissibile; o, più spesso, per un’interpretazione distorsiva del mito della terra promessa. Nel nome di un simbolo, di una interpretazione deformante e riduttiva di una grande metafora cosmogonica, si liberano le pulsioni più perverse della distruttività umana.

I confini sono sempre labili. Stiamo vivendo una fase il cui il desiderio di morte sta prevalendo su quello della vita e spesso non ce ne accorgiamo. La nostra comunicazione è costellata da un’economia di guerra, di conflitto. Il vaso di Pandora rischia di rompersi.

“ La bambina il cui padre è stato ucciso/mentre portava un sacco di farina/sulla schiena/continuerà a gustare/il sangue di suo padre/in ogni pane. (Haidar al-Ghazali, Poesie da Gaza, Fazi editore, 2025)”.
dr. Enrico Magni
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