Oggiono: alle medie un progetto di arteterapia con i detenuti di Bollate

Una serata intensa, carica di voci, emozioni e riflessioni, quella che si è svolta mercoledì 24 settembre presso l'auditorium dell'istituto comprensivo di Oggiono, dove è stato presentato il percorso formativo ''Mettiamoci all’opera… siamo ciò che facciamo''. Un progetto pensato per gli studenti della scuola secondaria di primo grado, che utilizza l’arteterapia con i detenuti come strumento di crescita personale, educativa e sociale, ponendo al centro le emozioni, la relazione e il valore della legalità.
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Da sinistra la dirigente scolastica Pierina Montella, l'arteterapista Luisa Colombo e il sindaco di Oggiono Chiara Narciso

A introdurre l’incontro è stata la dirigente scolastica Pierina Montella, che ha raccontato con emozione la genesi del progetto e l’importanza di queste esperienze. ''Sarà bellissimo, quasi terapeutico, ascoltare le storie dei detenuti e vedere quanto valore aggiunge il metterci al centro la persona. I nostri ragazzi hanno bisogno di relazioni vere e dell’ascolto, di capire che dietro ogni storia c’è una vita, con dolori, inciampi e rinascite. È emozionante vedere che ciò che facciamo nella scuola ha un impatto reale, e sapere che questo percorso funziona mi dà una grande soddisfazione''.
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Alla serata hanno partecipato i sindaci di Annone, Ello, Dolzago, Oggiono e il vicesindaco di Calolziocorte, insieme agli insegnanti e alle famiglie. Il sindaco oggionese Chiara Narciso, ha sottolineato il valore del progetto come occasione di lavoro comune tra istituzioni, scuole e famiglie: ''Questa è una bella occasione per provarci insieme. Con i miei colleghi sindaci, con gli insegnanti, la dirigente e le famiglie ci siamo interrogati su come avvicinarci ai ragazzi con metodi nuovi, capaci di entrare davvero in relazione con loro. L’emergenza del momento è aiutare i ragazzi a gestire emozioni che a volte li soffocano: questo percorso può essere una strada. Essere pionieri in questo progetto ci piace: è un percorso pilota per il territorio e per questo è fondamentale sostenerlo insieme''.
Cuore pulsante della serata è stato l’intervento di Luisa Colombo, arteterapeuta e fondatrice del gruppo di arteterapia del carcere di Bollate, che ha raccontato la genesi e l’essenza del progetto. ''Il titolo non è un caso: ''Mettiamoci all’opera'' significa mettersi in gioco, costruire con ciò che si fa. Questo progetto nasce dalla collaborazione con la scuola, con l’obiettivo di portare nei ragazzi la consapevolezza che un percorso diverso è possibile. Chi ha vissuto l’esperienza della detenzione, con la sua fatica e il suo coraggio di cambiare, può testimoniare qualcosa di autentico''.
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Il progetto si sviluppa attraverso arteterapia, scrittura, musica, pittura, manipolazione dei materiali e scrittura creativa, strumenti che aiutano i ragazzi a comunicare in modo trasversale, oltre la parola. Colombo ha spiegato che i ragazzi saranno affiancati da detenuti coinvolti nel progetto. La loro esperienza permetterà di osservare con attenzione, capire i segnali e trasmettere messaggi di cambiamento.
Cristina Centamore, pedagogista del team, ha aggiunto: ''Il progetto ha una valenza pedagogica molto forte, che si sviluppa su più versanti: scolastico, formativo e sociale. I detenuti che partecipano sono esperti nell’osservare e nel capire i segnali dei ragazzi, che spesso sono riservati e fanno fatica a esprimersi. Il lavoro con i detenuti permette di utilizzare i loro errori e la loro esperienza come risorsa per gli studenti. È un percorso flessibile, che si adatta ai bisogni dei ragazzi e ai gruppi''.
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Tra i detenuti presenti, A., 29 anni, ha raccontato la sua storia: nato in Sicilia, vissuto in Germania fin dall’infanzia, separato dal padre e cresciuto tra difficoltà linguistiche, ha iniziato a lavorare molto giovane e ha continuato senza limiti per raggiungere uno stile di vita non suo, troppo alto. Dopo aver affrontato un percorso di carcerazione con una condanna di circa sette anni, A. ha spiegato come il carcere sia stato per lui un luogo difficile ma anche di riflessione e possibilità: ''Ho provato a fare qualcosa di positivo, usare il tempo per attività costruttive, capire le conseguenze dei miei errori. Ho imparato ad ascoltare, osservare e comprendere le persone, a dare valore alle relazioni''.
S. invece, originario dell’Egitto, arrivato in Italia 21 anni fa per dare un futuro migliore alla propria famiglia, ha affrontato una condanna iniziale di 30 anni, ridotta poi a 21. Dal 2019 segue il gruppo di arteterapia e ha ottenuto permessi per entrare nelle scuole: ''La prima volta ero emozionatissimo. Lavorando con i ragazzi ho scoperto che soffrono di stress, non sapevo che i ragazzi potessero farlo. Mi sono impressionato''. S. negli anni ha dovuto affrontare anche una ricaduta con il gioco d'azzardo, ma è stato abbastanza forte e coraggioso da chiedere aiuto ed uscirne.
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La pedagogista Cristina Centamore

Tra le frasi più significative della serata, riportate da Cristina Centamore, c'è quella di un detenuto facente parte del progetto, ma non presente alla serata che afferma: ''Se posso aiutare anche un solo ragazzo, allora la mia pena ha un significato''. Un messaggio che ha sintetizzato lo spirito del percorso: la carcerazione come possibilità di trasformare la propria vita e di incidere positivamente su quella degli altri.
La dirigente Montella ha sottolineato la sua emozione e soddisfazione: ''Vedere questo progetto riuscire e toccare i ragazzi in profondità è un’emozione unica. Abbiamo messo al centro la persona, le storie di vita e il valore dell’ascolto. I nostri studenti sperimentano ogni giorno dolori, fragilità e difficoltà, e progetti come questo offrono strumenti concreti per comprendere sé stessi e gli altri''.
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Luisa Colombo ha chiuso la serata sottolineando l’importanza delle relazioni autentiche e della condivisione: ''Chi lavora in questi ambiti costruisce legami profondi. Ricordo le prime volte a Bollate: cominciammo con un rituale di abbracci, che manteniamo tutt’oggi. Il carcere diventa un luogo di costruzione di relazioni sane e di crescita personale. Ogni esperienza, anche dolorosa, diventa occasione di apprendimento e riflessione. La vera forza è entrare con l’umiltà di avere qualcosa da imparare. L’importante è ascoltare, condividere, costruire legami e imparare dalla vita reale, senza stereotipi e pregiudizi''.
Il progetto ''Mettiamoci all’opera… siamo ciò che facciamo'' rappresenta così un’opportunità unica per la scuola e per la comunità: offrire ai ragazzi strumenti di ascolto, consapevolezza e creatività, attraverso storie di vita autentiche e percorsi di cambiamento, dimostrando che la cultura, l’arte e la relazione possono essere fattori concreti di protezione e crescita.
G.D.
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