A Cremella l’avv. Missana parla di violenza di genere. In mostra le opere di Castelnuovo

Nella serata di martedì 25 novembre, presso la sala consiliare di Cremella, si è svolto un incontro su una tematica che “non dovrebbe esistere”: la violenza contro le donne. Questo vuol dire che il problema che da anni si cerca di combattere è ancora presente e necessita ancora di occasioni per parlarne. Ciò di cui si sta parlando è la violenza in tutte le sue forme, ma in particolare di genere, un concetto che dovrebbe sparire dalla narrazione della storia umana non perché dimenticato o lasciato passare in sordina, ma perché non trova più il terreno nel quale fare attecchire le proprie marce radici fatte di violenza, sangue e lacrime.
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Il tema è stato trattato e presentato ai presenti, dal punto di vista etico-morale, dall’avv. Micol Missana, rappresentante dell’associazione DonneXStrada che promuove la sicurezza in strada e contro la violenza di genere; l’approccio utilizzato da Missana per illustrare un argomento di tale portata è stato molto coinvolgente, riflessivo ma con anche un tono leggero per nulla svilente nei confronti dell’importante argomento di fondo.

“La violenza contro le donne è un fenomeno persistente e globale” esordisce “Per comprendere meglio la problematica è importante iniziare con una riflessione circa il concetto di violenza, nonostante questo si sia evoluto nel corso del tempo, e sui diversi modi in cui esso si manifesta” riferendosi alle innumerevoli sfumature che gli abusi possono assumere, da quelli fisici a quelli psicologici.
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Successivamente l’avv. racconta al pubblico, partendo dai video testimonianza delle inchieste di Pasolini in Sicilia, l’evoluzione storica e giuridica della violenza sessuale in Italia rivelando che questo non è stato considerato né riconosciuto come reato contro la persona fino agli anni ‘90 poiché fino ad allora erano in vigore innumerevoli leggi obsolete volte alla tutela dell’onore familiare, come ad esempio il delitto d’onore e il matrimonio riparatore, più che ai diritti del singolo soggetto ritrovatosi nella condizione di vittima. Esempi importanti di questi episodi che hanno segnato l’inizio della presa di coscienza pubblica sono sicuramente quello di Franca Viola, la quale rifiutò il matrimonio riparatore dopo uno stupro, e il massacro del Circeo, un caso di rapimento, stupro e omicidio delle due amiche Donatella Colasanti e Rosalia Lopez avvenuto negli anni ‘70; ciò che però lascia sconcertati, oltre all’atto abominevole in sé di violenza e di tentativo di distruzione di una persona, sono le accuse mosse nei confronti delle vittime: “Ma è un bravo ragazzo, sarà stata lei ad istigarlo” oppure “Se le due ragazze fossero rimaste a casa non sarebbe accaduto loro niente” e poi la sentenza più dura di tutte “Voi portavate la veste, perché avete voluto mettere i pantaloni? Avete cominciato a parlare di diritto. Vi siete messe voi in questa situazione? E allora ognuno raccoglie i frutti che ha seminato”. Alcuni di questi commenti sono spesso ancora sentiti ai giorni nostri nonostante i grandi passi avanti che la legislazione italiana ha fatto nell’ambito della tutela del genere femminile. 

Questi casi, per quanto essi siano tragedie, hanno permesso appunto la messa in atto di un processo di introduzione di norme più severe e di un approccio giuridico più attento a queste tematiche, tradotti nel 1996 con l’Articolo 609 bis del codice penale per punire la violenza sessuale, esso recita:
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“Chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità, costringe taluno a compiere o subire atti sessuali è punito con la reclusione da cinque a dieci anni. 
Alla stessa pena soggiace chi induce taluno a compiere o subire atti sessuali: 
1) abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto; 
2) traendo in inganno la persona offesa per essersi il colpevole sostituito ad altra persona”

Benché l’introduzione della norma sia stata un traguardo, la sua applicazione ha mostrato limiti, causati anche da un processo mentale che spesso induce alla vittimizzazione secondaria, aggravata da stereotipi e atteggiamenti dovuti a luoghi comuni come quelli pronunciati dall’opinione pubblica nei casi di Franca, Donatella e Rosalia. Altro problema legato alla norma del ‘96 è quello dell’interpretazione “È necessario comprendere esattamente cosa è accaduto e in quale contesto, perché chiaramente esiste una differenza tra uno stupro vero e proprio e altri comportamenti che potrebbero non essere classificati come tale. Per decidere se applicare una pena più severa, ad esempio 12 anni, o una più lieve come 6 anni, bisogna capire bene i dettagli dell’accaduto. Si cerca di comprendere cosa si intenda esattamente per violenza e per minaccia, ma poi si fanno domande come <Cosa ti ha fatto esattamente? Ti ha solo sfiorata? Lo conoscevi? Cosa è successo davvero?>. Il problema è che questo articolo di legge è soggetto a molteplici interpretazioni anche oggi, e questo crea confusione” chiarisce, facendo poi un cenno alla situazione politica attuale “Oggi in Parlamento era previsto il voto per modificare l'articolo 609, sostituendo la definizione di violenza sessuale: non si tratterebbe più di violenza o minaccia, ma di assenza di consenso, cioè "no significa no". Violenza o minaccia sarebbero dunque considerati aggravanti, ma il fulcro sarebbe il rifiuto espresso dalla vittima. Questa legge era stata approvata dalla Camera due giorni fa, ma oggi i nostri parlamentari non hanno partecipato al voto”.

L’avv. ha anche fornito alcune differenziazioni sulle diverse forme di violenza, essa infatti non è di un solo genere ma presenta molteplici sfaccettature: oltre a quella fisica, esistono anche maltrattamenti con risvolti psicologici, non solo diretti ma anche indiretti. Di questo può essere un esempio la cosiddetta violenza assistita, ossia quando i minori assistono o sentono episodi di violenza in famiglia. In questo ambito, se si parla di numeri e percentuali, nel 2023 (ultimi dati Istat disponibili) si assiste ad un'alta prevalenza di violenza psicologica e fisica, seguite da abusi economici e assistiti, con casi in aumento e situazioni rese difficili a causa di mancanza di supporti adeguati per le vittime, “La categoria femminile è quella che subisce di fatto la quasi totalità delle violenze che vengono perpetrate nel nostro territorio” sottolinea. 
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Da porre sotto attenzione c’è poi sicuramente l’aspetto della violenza economica, intesa come controllo e limitazione delle risorse finanziarie di una persona per esercitare potere e indurre dipendenza, la quale entra nel panorama della giurisprudenza solo nel 2013 come aggiunta al reato di maltrattamenti già esistente “In particolare la donna in questo contesto viene relegata al tradizionale ruolo di vestale del focolaio domestico e della cura della casa”, ha continuato poi l’avvocato con un esempio pratico tratto da una causa che ha seguito personalmente: un marito ha impedito alla moglie di lavorare e di seguire percorsi formativi per ottenere autonomia economica. Quando lei ha comunque sostenuto dei colloqui ed è stata assunta, lui l’ha sorvegliata e ha minacciato i colleghi portando al licenziamento della donna. Questo tipo di controllo e limitazione della libertà economica è dunque da considerarsi violenza economica, perché impedisce alla persona di emanciparsi dalla dipendenza e di gestire liberamente le proprie risorse finanziarie.

In sintesi, nonostante l’introduzione di nuovi reati, il sistema giudiziario e sociale mostra ancora molte criticità: tempi lunghi di giudizio, inefficacia delle protezioni, e carenza di risorse per le vittime. Per questo esistono associazioni come “DonneXStrada” che propongono strumenti innovativi come l’app “Viola” per muoversi in sicurezza nelle ore più tarde della sera e i “Punti viola” che rappresentano luoghi pubblici sicuri dove le donne possono trovare accoglienza ed assistenza in caso di bisogno.
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Infine la serata è terminata con l’intervento di Giada Castelnuovo, emergente artista che ha esposto la serie fotografica intitolata “Cicatrici”, segno concreto di come anche l’arte possa segnare una rinascita “Questo lavoro fotografico nasce da una domanda profonda: cosa resta quando il dolore non viene ascoltato? Attraverso un linguaggio visivo amplificato, le immagini non mostrano immediatamente ciò che rappresentano, invitano lo spettatore a superare il rifiuto e l’indifferenza che spesso circondano la violenza. La cicatrice non è solo simbolo di una ferita rimarginata, ma un passaggio che segna la forza di chi resta, un segno indelebile che, lontano dall’essere un semplice dolore, si trasforma in memoria e resistenza. Le cicatrici raccontano paesaggi di vissuto, sono tracce che abitano il corpo e il territorio, e testimoniano la complessità del tessuto umano: non chiudono il dolore, lo trasformano, rendendolo più sopportabile. Non urlano, non cercano attenzione, ma custodiscono un dolore profondo e silenzioso. Le cicatrici non raccontano storie individuali, ma il dolore collettivo di molte donne che hanno portato sul proprio corpo un gesto che non sarebbe dovuto accadere. La cicatrice diventa così non solo un segno del passato, ma una presenza viva che chiede d'essere ascoltata e compresa, un richiamo a non lasciare che il dolore rimanga silenzioso o invisibile” racconta emozionata il suo progetto.
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Una serata come questa dimostra che la violenza contro le donne lascia segni profondi e duraturi, visibili e invisibili, che non possono essere ignorati o cancellati dal tempo; ne sono un segno indelebile le cicatrici, sia fisiche che emotive che rappresentano una testimonianza di dolore ma anche di straordinaria resilienza. Solo attraverso l’ascolto autentico, la consapevolezza collettiva e l’impegno concreto si può iniziare a guarire queste ferite sociali. È dunque essenziale continuare a rompere il silenzio, educare le nuove generazioni e sostenere chi vive ancora questa realtà, affinché il futuro sia finalmente libero da violenza e discriminazioni.
I.M.
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