Sirone: infortunio mortale alla 'Rodacciai', iniziato il processo col racconto di un altro lavoratore ferito
Era l'11 marzo 2002 quando due operai al lavoro presso lo stabilimento della Rodacciai di Sirone, verso l'una di notte, furono travolti da una colata di vergella della temperatura di 900°. L'incidente causò la morte di uno dei due, Emanuele Di Santo, allora 54enne di Valmadrera, e scatenò polemiche e proteste di operai e politici circa lo stato di sicurezza dell'azienda. L'altro lavoratore, Gianfranco C., colpito solo parzialmente dalla vergella, se la cavò con un'ustione alle gambe, ed ha testimoniato questa mattina nelle aule del Palazzo di Giustizia di Lecco, nell'ambito del processo a carico dei responsabili della ditta, Aster B., Mario I. e Antonio L., accusati ora di omicidio colposo e di lesioni personali colpose. Presenti in aula oltre al magistrato dott. Salvatori e al PM dott.ssa Costa, gli avvocati degli imputati Aldo Furconi del foro di Como e Fabrizio Gobbi di Milano. Assenti invece le parti civili. Gianfranco C., classe 1950 di Costa Masnaga, tornato poi in forze alla Rodacciai dopo 3 mesi di infortunio, ha fornito il suo racconto di ciò che accadde quel maledetto turno di notte. Lui, insieme a Di Santo e al capoturno, si erano spostati dalla usuale posizione di lavoro, in capo al macchinario in cui viene modellata a ciclo continuo la vergella prima di raggiungere l'aspo dove viene arrotolata per divenire matassa trasportabile. Obiettivo sarebbe stato quello di effettuare un intervento di manutenzione su una delle matasse, situate nella parte terminale della 'catena', per rimuovere con la fiamma ossidrica quello che in gergo è definito un 'ricciolo', una deformazione della coda del rotolo di vergella. Subito dopo, alle 00.40, è avvenuta la tragedia, con la vergella incandescente che, una volta riavviati i macchinari di manutenzione, sarebbe, forse per un malfunzionamento, fuoriuscita dal canaletto 'rimbalzando' all'indietro e colpendo due dei tre operai che avevano appena concluso l'intervento, e che si trovavano ancora nei pressi dell'aspo. Ironia della sorte, pare che i lavoratori ritenessero quella zona come la più sicura per proteggersi da eventuali incidenti. Immediato, secondo il racconto dell'uomo, sarebbe stato dato l'allarme, e trasportato all'esterno il povero Di Santo, travolto da una enorme massa di acciaio incandescente. Mai, ha affermato l'operaio, si era verificato un incidente di tali proporzioni, nonostante talvolta succedessero alcune fuoriuscite di vergella. Coerenti con quanto raccontato dall'operaio anche le testimonianze di due tecnici dell'ASL, che il giorno dopo l'accaduto avevano effettuato i rilievi per esaminare l'effettiva tutela dei lavoratori nel reparto, e che hanno spiegato di aver verificato la violazione di alcuni articoli della normativa antinfortunistica, come l'assenza di barriere volte ad impedire la fuoriuscita della vergella, nonchà© di sbarre per evitare l'eccessivo avvicinamento degli operai ai macchinari, e di cartelli indicanti la pericolosità dell'area e il divieto per i non autorizzati di transito attraverso essa. Paiono delinearsi dunque le possibili negligenze sulle quali si baseranno le accuse del PM.
Mario Servillo