Cassago: in tribunale, via il processo per il crac della Perego
Due ore di racconto. Tanto è servito al capitano Andrea Coana, comandante della seconda sezione del reparto anticrimine dei Carabinieri di Milano per “lumeggiare”, per dirla con un termine ripetuto più volte dal sostituto procuratore Alessandra Cecchelli, titolare del fascicolo, l’attività di indagine svolta dagli operanti del Ros in relazione ai capi d’imputazione per i quali sono chiamati a rispondere i sei soggetti coinvolti a vario titolo nel “crac” della Perego Strade e delle altre società “satellite” ad essa collegata, per i quali si sta celebrando il procedimento presso il Tribunale di Lecco e le cui posizioni sono dunque state stralciate rispetto a quelle degli altri implicati nella vicenda già ammessi al patteggiamento oppure già giudicati dall’ottava sezione penale del tribunale di Milano (tra quest’ultimi, come si ricorderà, figurano Ivano Perego, patron dell’impero di Tremoncino di Cassago Brianza, il suo ex socio Andrea Pavone e Salvatore Strangio). Il collegio giudicante del foro lariano si sta dunque occupando dei fatti ascritti dalla pubblica accusa a Giovanni Barone, unico presente anche questa mattina in Aula, liquidatore della Perego Strade difeso dall’avvocato Pignatelli e dall’avvocato Gambardella (oggi non presente) nominati di fiducia al posto dell’avvocato Contestabile, il legale Roberto Di Bisceglie (avv. Lepre che ha inviato un collega per l’udienza odierna), i commercialisti Antonio Carlomagno (avv. Palmisano anch’egli sostituito) e Gianfranco Fariello (avv. Lanzetta), il broker Ruggero Colombo (avv. Balzarini) e l'ex assessore provinciale di Milano, Antonio Oliverio (avv. Alecci oggi sostituita dall'avv. Ferrante).

Tutti, ad uno ad uno, sono stati citati nella narrazione compiuta dal capitano Coana, a capo dell’operazione “Tenacia”, partita nel febbraio 2009, con “un’attività di indagine complessa fin dalla sua origine, una grossa attività che è diventata poi enorme quando la Procura decide di accostarla a quanto già portato avanti dai colleghi di Monza, Reggio Calabria e Torino, facendola confluire nell’indagine “Crimine” che porterà, nel luglio 2010, all’arresto di 300 persone tra Lombardia e Calabria per associazione mafiosa”. Si trattò, ha proseguito l’operante, “di un’indagine come poche altre che resterà una pietra miliare nel settore delle investigazioni perché ha dimostrato che esiste un cordone ombelicale tra le strutture di 'Ndrangheta in Calabria e quelle in Lombardia, nelle altri parti d’Italia e nel resto del mondo”. Le decisioni prese relativamente ad “affari” da condurre nella nostra regione, da quanto emerso, “vengono discusse anche nei piccoli paesini della Calabria” come chiaramente evidenziato dalle migliaia di conversazioni telefoniche intercettate (per quelle relative agli odierni imputati è stata proprio oggi disposta la trascrizione per mano di un perito nominato in apertura di seduta).

L’operazione “Tenacia”, dunque, come dicevamo, parte “attivamente” nel 2009 con attività tecnica (le intercettazioni, appunto, sia telefoniche che ambientali nonché le osservazioni e i pedinamenti) ma può far conto di un “bagaglio” pregresso di informazioni “captate” dai Carabinieri di Reggio. “Il fulcro della nostra attenzione era la società Perego Strade: costituita nei primi anno ’90, si sviluppa , diviene una grande azienda. Nel 2008 la configurazione societaria vede una holding, la Perego Holding, a cui afferiscono appunto la Perego Strade (movimento terra ndr), la Costruzioni Alpe (costruzioni ndr) e la Iris (gestione di una cava ndr), creata per generare economie di scala e sinergie tra componenti”. Il “gruppo” è in liquidazione, già affidato al ragionier Giovanni Barone. “A settembre 2008 nasce la Perego General Contractor in mano per il 51% a Perego Group di Ivano Perego e il 49% da due diverse fiduciarie. C’erano dunque una galassia Perego (la holding) e la General Contractor che affitta il ramo d’azienda della Perego Strade, quella del movimento terra”. Di tutte queste dinamiche interne alla colosso di Tremoncino, “c’erano più calabresi che ne parlavano” ha affermato Coana. A fine 2008 infatti vengono captate dai Carabinieri di Monza, Torino e Reggio, alcune telefonate in cui “Francesco Ietto e Carmine Vetterano fanno riferimento alla Perego a cui si stanno interessando anche i cugini Oppedisano”. I primi due citati risultano essere padroncini calabresi gestori di camion impegnati proprio nel movimento terra mentre i secondi, entrambi Michele di nome, uno con residenza a Rosarno, l’altro con casa dalla nostra parti, sarebbero affiliati al Mammasantissima.
“La Perego dunque, nonostante sia vicina al dissesto finanziario interno, si parla di un buco da 18 milioni, all’esterno era attraente”. Da altri stralci di conversazioni, i militari, comprendono poi come l’infiltrazione dell’Ndrangheta nella Perego sia già avvenuta: “i mafiosi sono entrati nella società, la stanno gestendo ma non hanno ottenuto nulla” prosegue infatti il Capitano sentito come teste che parla di Salvatore Strangio come del “rappresentante dei calabresi” che “ha portato gli altri due”, Andrea Pavone e Giovanni Barone. Per risolvere il problema all’origine, “si rivolgono a Giuseppe Pelle (‘ndrina di San Luca ndr): da lui vanno Strangio e i cugini Oppedisano per un incontro per dirimere le controversie e chiarire la posizione dei calabresi nella società Perego”. Quando dunque nel 2009, i Ros milanesi danno il via a “Tenacia”, “già conosciamo Strangio, Pavone e Barone” spiega il comandante della seconda sezione.

Ivano Perego e Andrea Pavone
“La Perego Strade che tutti conosciamo è in gravissime condizioni. Ma c’è il gioco di prestigio di Pavone: costruisce la General Contractor, affitta un ramo d’azienda della Perego Strade. Ci deve però essere una novità: ecco l’intervento delle fiduciarie che dovrebbero celare nuovi investitori. Articoli di stampa parleranno di Emirati Arabi e dei Ligresti”. Ed invece, sempre grazie alle intercettazioni, gli operanti sanno già che “le fiduciarie sono solo un velo” e che “due gruppi diversi di calabresi si celano dietro a questo velo”. La nuova realtà è infatti in mano per il 51% a Ivano Perego e ai suoi fratelli ed il restante 49% è suddiviso tra la “Carini” (39%) e la “Comitalia” (10%). Proprio di quest’ultima percentuale, il mese successivo alla costituzione della General Contractor “parlano i calabresi dicendo di avere in mano il 10% della società”. Al suo fianco, poi, Pavone, sempre a detta del teste sentito oggi in aula, ha anche due alleati: Barone, definito “liquidatore complice” e Strangio “diretta emanazione di Pelle Giuseppe, può tacitare i creditori che come lupi affamati si sarebbero avventati sulla Perego”.
“Tutto ciò, a quale vantaggio?” ha domandato a questo punto la dottoressa Cecchelli.
“La Perego nell’idea degli attori della vicenda è una società solida che ha cantieri, disponibilità di mezzi, appalti: può dare lavoro ai padroncini calabresi. Era uno strumento che avrebbe avuto la possibilità, se rilanciata, di partecipare ai lavori per Expo 2015”. Il vantaggio dunque per l’Ndragheta non si configurava direttamente a livello economico ma in termini di opportunità e di “prestigio”.
“Costruita la Perego General rimangono comunque i problemi che avevano portato al buco da 18 milioni” seppur i suoi amministratori si servano di auto di lusso prese a noleggio spendendo spropositi (Coana, a titolo d’esempio, ha citato in aula Ferrari, Lamborghini, Hummer e altri bolidi…). “Dietro alle fiduciarie non ci sono investitori: servono raggiri per guadagnare. La Perego non è nuova a queste cose, artifici erano già avvenuti in passato: alla holding venne ricondotta la Iris e la cava in sua gestione venne conferita nel capitale del gruppo con un valore amplificato”. Ed in questo primo tentativo di modica dello stato patrimoniale che, seconda l’accusa, entra in gioco Antonio Carlomagno, uno dei 6 imputati nel procedimento, perito che avrebbe (ma l’accusa è ancora tutta da dimostrare) “ingrassato” il valore economico della cava.
“Il gioco è ora ben avviato ma manca denaro” riprende dunque il Capitano che dinnanzi ai giudici ha quindi riferito di due progetti portati avanti da Pavone. Il primo: “associarsi a altre società del settore per creare economie di scala e, forti del vincolo associativo, presentarsi agli istituto bancari per ottenere finanziamenti”. Il secondo: “acquisire il controllo di società importanti, smembrarle e fagocitarne pezzi”. In questo contesto si inserisce, per esempio, il tentativo di accorpamento alla General Contractor della Angelo Cega spa, società di costruzione che si stava occupando della realizzazione dei box di via 25 aprile a Milano. Per realizzare ciò “Pavone va a Londra, costituisce una società e paga Cega con 2 assegni da 4 milioni di euro, assegni scoperti”.
Più attinente al processo in corso a Lecco, perché coinvolge altri imputati, è il secondo esempio citato dall’ufficiale del Ros: la scalata alla Cosbau spa, realtà trentina impegnata anch’essa nel movimento terra e nelle costruzioni. “L’obiettivo di Pavone è aumentarne il capitale sociale (aggiungendo 10 milioni di euro ai 6 originali ndr) e acquisirne la maggioranza. Per riuscirci deve costruire una società e trovare i soldi”.

Siamo nel 2009: il 20 giugno viene firmato un primo accordo informale con Bonamini, presidente della società di Trento. Il 21 luglio: “Nocera Pasquale (inserito nella Perego come addetto alla sicurezza nei cantieri ndr) mette in contatto Pavone con l’iracheno con documenti svedesi Mario Saed e con Ruggero Colombo (altro imputato ora a processo ndr). Si incontrano in una banca a Milano, la banca per la quale Colombo è promotore finanziario e costituiscono la Faraon Group Italia che nascerà poi il 6 agosto”.
E’ a questo punto che entra in scena, dopo i già citati Barone, Carlomagno e Colombo, il quarto soggetto ora a giudizio: Antonio Oliverio. Egli diventerà infatti amministratore della Faraon (la cui composizione vede il 99% delle quote in mano a una fiduciaria Svizzera dietro cui si celano ancora Pavone e Saed e l’1% in mano a Luciano Vanzulli, scelto in prima battuta come amministratore ma poi “deposto” in quanto protestato) nel momento in cui questa riesce ad acquisire la maggioranza della Cosbau.
Chi è Oliverio? In aula il capitano Coana spiega anche questo ricordando come nel febbraio 2009, egli, assessore provinciale a Milano in quota all’Udeur, lascia la carica, pensando di ricandidarsi alla tornata successiva con il centrodestra, verso il quale Mastella, capo del partito, si era orientato.“Oliverio viene in contatto con Ivano Perego, entra a libro paga: 2.000€ al mese, più una Mercedes da 50.000€ e i buoni benzina per mantenerla”. Per il gruppo di Cassago egli “tiene le relazioni politico-istituzionali”.
Dunque siamo arrivati al punto in cui c’è la Faraon, nuova società pronta a fagocitare la Casbau ma mancano i soldi per poter sottoscrivere l’aumento di capitale. “Pavone si prende 2 mesi di tempo per trovare i 10 milioni. Bisogna creare l’illusione. Mario Saed deve trovare un titolo di pari valore da depositare come garanzia. Il titolo però non arriva, Bonamini è irrequieto. Pavone chiede a Ruggero Colombo di sentirlo per dirgli che è stato trovato e che sarà girato a breve”.
Anche Ruggero Colombo (imputato), a detta dell’operante, è infatti entrato nella squadra Perego grazie a Pavone che “gli ha fatto recapitare una scatola con all’interno 5 mila euro da Elena Perego”, un piccolo aiuto per farlo diventare “un nostro socio” come registrato in una intercettazione.
“Arriviamo al 24 settembre: Pavone entra in contatto con Roberto Di Bisceglie (imputato ndr) che gli propone un titolo immediatamente disponibile, chiedendo solo il 5% di provvigione”. Si tratta di un titolo della Royal Bank of Scottland, Bonamini (numero uno della Cosbau) non è convito. “Per vincere le sue obiezioni, Di Bisceglie propone una perizia giurata”. A chi si rivolge? Al sesto coimputato: Gianfranco Fariello che, in qualità di perito, “si presenta al tribunale di Milano e nell’Ufficio della volontaria giurisdizione, giura sulla perizia”, perizia che il pm Cecchelli ha etichettato come “simulata”, perizia che “viene portata a Bonamini e viene così sottoscritto l’aumento di capitale”. Pavone ha raggiunto l’obiettivo. Deve però pagare Di Bisceglie e paradossalmente riesce a farlo, come sostenuto dall’ufficiale escusso come teste, con un assegno staccato proprio da Bonamini (da 300.000 intestato a Saed per una fantasiosa operazione internazionale e poi girato al destinatario trattenendone una parte) tanto è vero che, sempre in una intercettazione, si sente dire “sei riuscito a comprare la sua società con i suoi soldi”. L’assegno non copre però l’intera cifra pattuita: “Pavone prende altri 80.000€ dalle casse della Perego” per evitare che Di Bisceglie sveli l’inconsistenza del titolo usato per sottoscrivere l’aumento di capitale della Cosbau.
Nello stesso periodo, la nuova coppia Pavone-Di Bisceglie, “con identico meccanismo” pensano anche alla scalata di un’altra società la Comer, solo citata da Coana, volto ormai, dopo aver “rilevato” il presunto ruolo di tutti gli imputato, al termine della sua narrazione. “Due parole”, in chiusura, le ha riservate, però, ancora, a Giovanni Barone, liquidatore della società di Tremoncino ma anche della Fratelli Oricchio, “società che gli è servita per necessità personali e per la Perego con passaggi di denaro e con assegni per acquistare casa in Calabria”. Egli, dunque, secondo il Capitano Coana, “era certamente, perché lo dicono i calabresi, riconducibile alla compagine Ionica che aveva preso il controllo della Perego” e aveva anche un “collegamento diretto con Giuseppe Pelle”.
Il procedimento, dopo questa prima udienza “introduttiva”, proseguirà ora secondo la calendarizzazione già stabilita nel corso della prima seduta.
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Alice Mandelli