V.Greppi: Vittore Bocchetta, Ines Figini, Venanzio Gibillini e Sultana Razon si raccontano. Testimoni della 'deportazione'
Era gremito l'ex granaio del Consorzio Brianteo Villa Greppi sabato pomeriggio, in occasione dell'incontro con quattro testimoni della deportazione nazi-fascista.
Vittore Bocchetta, Ines Figini, Venanzio Gibillini e Sultana Razon hanno raccontato - uno dopo l'altro - i tragici eventi connessi al loro allontanamento forzato da casa e il sapore della libertà conquistata dopo mesi, anni, di privazioni e soprusi.
Drammatiche testimonianze di fatti risalenti ormai settant'anni fa, il cui ricordo resta però scolpito in maniera indelebile nelle loro menti.
A ''moderare'' l'incontro, dopo il saluto iniziale a cura di Massimiliano Chiolo, presidente di Villa Greppi, è stato Pucci Paleari - storico e documentarista - che ha esordito ringraziando il Consorzio per la preziosa opportunità concessa al pubblico di ascoltare la testimonianza di quattro italiani, su poco più di 4mila, sopravvissuti alla deportazione.
A partire da Sultana Razon, celebre medico, moglie dell'oncologo Umberto Veronesi. La sua storia comincia nel 1941 per concludersi quattro anni più tardi, culminata nella deportazione in Germania nel lager di Bergen Belsen. Le tappe del suo viaggio infernale, partito da Milano, sono il campo fascista di internamento Ferramonti di Tarsia (istituito nel giugno del '40 e dismesso due anni dopo, vi venivano destinati gli ebrei e gli stranieri, o meglio gli "apolidi" come ha puntualizzato Sultana), Taglio di Po' ed infine Fossoli e il lager di Bergen Belsen dove si consuma la deportazione. Un periodo di vero e proprio inferno iniziato dopo il rastrellamento del padre, forzatamente allontanato da Milano in quanto apolide, essendo la famiglia originaria della Turchia.
Un racconto lucido, nel quale la donna non ha risparmiato di citare la paura provata quotidianamente, le condizioni di viaggio spaventose e le atrocità vedute, indescrivibili. La cattiveria umana senza ragioni, inspiegabile e le malattie contratte in quell'inferno durato cinque anni, quando matura in lei il desiderio - poi realizzato - di diventare medico, una volta rientrata in Italia.
Venanzio Gibillini
Ines Figini
E poi la storia di Ines Figini, 94enne originaria di Como, che con straordinaria lucidità ha ricostruito la propria vicenda. Giovanissima, poco più che ventenne, lavora in una tintoria della città lariana, dove tutt'ora risiede. Un'esistenza tranquilla, fino al 6 marzo 1944, il giorno dello sciopero proclamato in tutte le fabbriche del nord Italia contro il fascismo e la guerra. In quell'occasione, Ines difende alcuni operai, compagni di lavoro accusati di essere promotori della sollevazione: uno sgarbo che i fascisti non le perdonano. La sera stessa infatti alcuni uomini entrano nella sua abitazione chiedendole di seguirli in questura, dove venne interrogata sullo sciopero, di cui lei, semplice lavoratrice non sapeva nulla.
Vittore Bocchetta
Il viaggio forzatamente intrapreso da lei ed ai suoi compagni è ben più lungo, e per molti senza ritorno, con destinazione in uno dei più noti simboli della follia umana: Auschwitz-Birkenau. Una quotidianità segnata dai soprusi e dalle frustate della responsabile del block, dallo squallore delle latrine, dalla mancanza di acqua e dalle malattie, con l'uscita per lavorare, nei campi coltivati e concimati con la cenere prelevata dai forni crematori, dove venivano bruciati gli ebrei e non solo.
Il vicepresidente del Consorzio, Marta Comi, con Ines Figini e Sultana Razon
A seguire il trasferimento in un altro lager, Ravensbruck, in Germania: qui Ines lavora ogni giorno per 12 ore consecutive in uno stabilimento della Siemens. E poi il passaggio in altri campi sino a quella che tristemente viene chiamata ''marcia della morte'', a cui segue la liberazione e il ritorno a casa, dai familiari, dopo un lungo periodo segnato dalle malattie contratte in quel periodo d'inferno.
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Venanzio Gibillini invece - soprannominato ''Giba'' - di lager ne ha visti tre: Bolzano, Flossenburg e Kottern-Dachau. Ha solo 19 anni quando venne arrestato in qualità di ''dissidente politico'', poichè non vuole aderire alla Repubblica Sociale Italiana. Nel carcere milanese ''Giba'' viene sistemato nel quinto raggio, nella cella numero 62, dove rimane in isolamento per ventidue giorni. Riesce a scampare dalla sorte che subiscono 15 suoi compagni, fucilati pubblicamente in Piazzale Loreto. Ma nulla può contro le angherie, le botte e gli insulti subiti in quei giorni. Fino al 17 agosto 1944, quando tutti i detenuti del 5° e del 6° raggio vengono condotti a Bolzano, in un lager. Una permanenza breve, durata una ventina di giorni. Il 5 settembre 1944, il secondo viaggio. I detenuti sono caricati su un treno, pigiati come animali, senza spazio vitale e condotti nel lager di Flossenburg, in Germania. A seguire viene trasferito a Kottern, in un campo di lavoro dipendente dal lager di Dachau, dove lavora in un'azienda che produce armi belliche. E poi, dopo un tentativo andato storto, la fuga e il ritorno a casa, nella ''sua'' Milano, dalla famiglia.
Vittore Bocchetta tra Massimiliano Chiolo e Davide Maggioni, rispettivamente
presidente del CdA di Villa Greppi e dell'assemblea del Consorzio
La consegna della targa a Venanzio Gibillini e Ines Figini
Infine la storia di Vittore - Victor - Bocchetta ambientata a Verona dove, studente e membro del CLN - comitato di liberazione nazionale - viene arrestato per le sue idee libertarie e antifasciste. Da qui, è condotto al campo di transito di Bolzano, dove viene rinchiuso nel blocco E, circondato da filo spinato in quanto riservato ai pericolosi prigionieri politici.
Il 5 settembre 1944 ha inizio la sua deportazione verso la Germania, dove trascorre giorni terribili nei lager di Flossenburg e di Hersbruck. Una quotidianità segnata da soprusi, lavori forzati, perdita di alcuni compagni morti tra le sue braccia, da espedienti per racimolare un po' di cibo. E ancora dalle latrine e dalle punizioni corporali, indimenticabili.
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Trova la libertà riuscendo a nascondersi e a fuggire durante la marcia della morte del '45. ''Ho chiesto ad un anziano tedesco che faceva la guardia di poter andare in bagno e lui mi ha dato il permesso. Una volta nel bosco ho iniziato a correre e lo stesso ha fatto un diciottenne francese con cui ero d'accordo. Ci siamo nascosti per dieci ore in una piccola buca, vicinissimi all'altura. Abbiamo sentito due ufficiali delle S.S. che ci cercavano con i cani. Poi due colpi di pistola. Le S.S. sono ritornate dagli altri prigionieri dicendo che i due fuggitivi erano stati uccisi. Per fortuna non era così'' ha raccontato.
Pucci Paleari
Al termine dei loro racconti, durati quasi due ore, i quattro ospiti sono stati omaggiati con altrettante targhe consegnate loro dai sindaci e dagli assessori dei comuni aderenti all'iniziativa ''Percorsi nella memoria'', promossa anche quest'anno dal Consorzio Brianteo Villa Greppi.
Per non dimenticare, anche a distanza di decenni, di quali barbarie la mano dell'uomo si è resa protagonista a scapito di milioni di vite umane.