Oggiono: tanta emozione per le storie di Piera ed Emanuela. ''Siate partigiani contro la mafia''

''Bisogna scegliere da che parte stare''. Ancora più che la forza delle parole dette, ciò che ha colpito dell’incontro svoltosi questa mattina presso il Palabachelet di Oggiono sono stati i silenzi. Da un lato, i silenzi dei ragazzi seduti in platea, appartenenti a sedici classi dell’istituto Bachelet, posti di fronte a due storie intrise di un dolore ancora vivo e palpabile a distanza di anni.
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Da sinistra Pierina Lucia Montella ed Emanuela Sannino

Dall’altro lato, i silenzi delle due relatrici, simbolo di quanto sia stato difficile e faticoso tradurre quel dolore così profondo in consapevolezza e poi in voglia di lottare. Dopo il saluto di Anna Panzeri, preside della scuola superiore, e di Giovanni Corti, assessore all’istruzione di Oggiono, la prima a prendere la parola è stata Pierina Lucia Montella, da un paio di mesi dirigente presso l’istituto comprensivo di Oggiono. Accompagnate dal sindaco Chiara Narciso, le due donne sono arrivate al Palabachelet dopo aver raccontato la loro storia ai ragazzi delle medie. ''Ho conosciuto la camorra troppo da vicino quando avevo solo dieci anni. Mio padre, di professione saldatore, aveva appena comprato la macchina nuova e stavamo facendo un giro per la città. Era primavera, gli alberi di albicocca erano in fiore. L’ultima cosa che ricordo era che stavo cantando assieme a mia sorella Gianna. Poi, il buio'' ha esordito la dottoressa Montella, trattenendo con fatica l’emozione.
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A destra la dirigente Anna Panzeri

''Ad un certo punto, dall’altro lato della strada che stavamo percorrendo è giunta un Audi 80. Era guidata da un camorrista. Ha imboccato la curva a velocità molto alta. L’impatto è stato frontale''. Il silenzio seguito a quelle parole ha permesso a gran parte dei presenti di immaginarsi quella terribile scena. ''Una volta sceso dalla macchina, il camorrista ha intimato ai passanti di farsi i fatti loro. L’acido della batteria dell’Audi era finito negli occhi di mio padre, rendendolo cieco. Io e mia sorella eravamo schiacciate sotto le lamiere. Stavamo morendo'' ha aggiunto la dirigente.
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A sinistra l'assessore Giovanni Corti

Quando l’omertà e la paura sembravano aver vinto, ecco una scintilla di luce. ''Ad un certo punto è comparso un contadino. Ha avuto il coraggio di dire no. Dopo aver alzato il bastone contro il camorrista ha ordinato al figlio, Maurizio, di chiamare i soccorsi. Io devo la vita a queste persone'' ha spiegato Pierina Montella. Quello è stato il punto di partenza di un percorso lungo, doloroso e faticoso. Una rinascita resa possibile grazie ad un bene troppo spesso trascurato: la scuola pubblica. ''Ho ripreso a camminare dopo molto tempo. Prima non volevo farlo perché mi sentivo stanca. La mia famiglia era distrutta, mio papà aveva perso il posto di lavoro. In ospedale sentivamo parlare i grandi di quanto avessero paura della camorra e di quanto sarebbe stato difficile avere giustizia'' ha proseguito la preside dell’istituto comprensivo di Oggiono. ''È stato lì che io e mia sorella abbiamo deciso di fare rispettivamente l’avvocato e il medico per difendere e curare le vittime dei camorristi. Se ciò è poi accaduto davvero è stato possibile solo grazie alla scuola pubblica, un bene comune, un ascensore sociale, l’unica e ultima possibilità per tanti. Il dolore che avevo attraversato mi ha dato la grinta per studiare''.
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Si tratta di un passaggio decisivo, fondamentale: lo studio è il mezzo attraverso cui trasformare il dolore in qualcosa di più grande, lo strumento attraverso cui compiere una scelta di vita. ''Ho scelto di essere partigiana. Ho scelto da che parte stare. Oggi sono qui assieme ad Emanuela Sannino, la quale ha una storia molto più dolorosa della mia. Mettiamo il nostro dolore al vostro servizio affinché possiate crescere come cittadini onorando la scuola pubblica'' ha concluso la dottoressa Montella tra gli applausi degli studenti.
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Emanuela Sannino è la figlia di Palma Scamardella, uccisa il 12 dicembre 1994 a soli 35 anni in una villetta di Pianura, quartiere della periferia occidentale di Napoli, da un proiettile destinato ad un camorrista della zona. ''Quel giorno la mia famiglia, prima molto unita, è stata distrutta. Per tanti anni ho fatto la spola tra i parenti di mia madre e quelli di mio padre. Non volevo che si parlasse della vicenda di Palma, pensavo fosse solo mia e non volevo condividerla. Fino a diciotto anni non riuscivo neanche a dire il suo nome'' ha spiegato la giovane donna.
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La maglietta rossa con lo stemma di Libera rendeva evidente a tutti i presenti da che parte aveva scelto di stare Emanuela. ''Solo quando ho iniziato a partecipare alle manifestazioni del 21 marzo ho cambiato idea. Ascoltare le storie delle altre vittime innocenti di mafia mi ha fatto capire di non essere sola. Mi sono sentita parte di una famiglia'' ha spiegato la figlia di Palma Scarmadella. Di nuovo, un incontro che diventa la scintilla in grado di trasformare un grande dolore nella consapevolezza e nell’energia necessarie per ripartire. ''Parlare di legalità non vuol dire fare lezioni o conferenze, non vuol dire commuoversi. La legalità vuol dire agire, praticare ogni giorno piccole azioni quotidiane ricche di consapevolezza. Vuol dire sostenere chi combatte per la legalità. Solo così si può determinare il cambiamento'' ha aggiunto Emanuela.
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''L’illegalità nasce da un pensiero mafioso che si concretizza, per esempio, quando non si rispettano le regole o si lascia da solo un ragazzo bullizzato. Spesso si dice che le vittime innocenti di mafia erano al posto sbagliato nel momento sbagliato. In realtà non è così: loro stavano vivendo la loro vita quotidiana''.
Infine, la chiosa: ''Non serve commuoversi, serve muoversi. Lo auguro non solo a voi ma a tutta l’Italia. Si parli di meno e si agisca di più tutti insieme verso una sola direzione. Altrimenti non cambierà nulla''. 
A.Bes.
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