Barzanò: viaggio tra i "luoghi della memoria" con Alberto Cavaglion

Sabato 3 febbraio a Barzanò si è tenuto uno degli ultimi incontri di “Percorsi della memoria”, rassegna organizzata dal Consorzio Villa Greppi. Daniele Frisco, che ha curato la direzione scientifica degli incontri, ha introdotto il contenuto della conferenza nella quale ci si è interrogati sul senso di ricordare e su come, recentemente, questo sia stato fatto.
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Il relatore è stato il professor Alberto Cavaglion, professore di Storia dell’Ebraismo all’Università di Firenze e autore del libro “Decontaminare le memorie. Luoghi, libri, sogni”, nel quale  si è addentrato in un’approfondita analisi dei cosiddetti “luoghi della memoria”, che invita a visitare attraverso il consiglio di letture utili per farlo. Il libro è nato nel periodo del lockdown dalla nostalgia per luoghi che non si potevano più visitare ma solo immaginare, e anche da uno spirito critico e autocritico rispetto al concetto di luogo della memoria, ormai logorato dall’uso.
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Cavaglion sottolinea come questi ambienti siano “paesaggi contaminati”, secondo una definizione di Pollack, cioè luoghi in cui l’uomo è intervenuto con violenza ad alterare e rendere malato quel paesaggio. Non si riferisce solo ai luoghi della Seconda guerra mondiale, dove la brutalità dell’uomo ha sconvolto la vita di molte persone, lasciando dietro di sé distruzione e dolore, ma anche luoghi che conosciamo attraverso la cronaca, come il Ponte Morandi.
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Questi luoghi, che Cavaglion definisce convalescenti e nei quali spesso sono stati costruiti dei memoriali, non possono essere visitati a cuor leggero, come fossero un museo di archeologia. Colpisce il racconto personale che il relatore fa di ciò che sperimenta quando passa per le vie del ghetto ebraico a Roma o di fianco alla Torre Ghirlandina a Modena: “non provo attrazione per questi luoghi, nei quali mi sembra ancora di sentire tutto il dolore di chi ha perso la vita proprio in quelle strade; anzi, sento il bisogno di andare via, o meglio di rimanere sulla soglia”. Proprio questo, secondo lui, dovrebbe essere il compito educativo verso i giovani di oggi: accompagnarli in quei luoghi e rimanere con loro sul bordo, sulla soglia, aiutandoli ad avvicinarsi piano piano, con cautela e coscienza al dolore di cui essi sono ancora impregnati. Cavaglion descrive il ruolo dell’insegnante – che per tanti anni lui stesso ha svolto sia nelle scuole medie, sia al liceo e anche in carcere – con l’espressione “bibliotecario o suggeritore della memoria”, cioè colui che insieme ai giovani in quei luoghi, sul bordo, legge libri e così fornisce loro gli strumenti adeguati per comprendere ciò che si ha davanti, come fanno gli archeologi quando pensano di aver trovato un tempio, circondano l’area, lavorano sulla soglia e piano piano scavano verso il cuore di quel luogo.
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Inoltre, per guardare davvero al passato con consapevolezza Cavaglion indica due strumenti fondamentali, ovvero l’insegnamento della storia e la letteratura. Quest’ultima è la grande risorsa del futuro perché sa colmare il vuoto del passato e gli insegnanti hanno la grande responsabilità di leggere ad alta voce le opere letterarie e farsi intermediari di questa conoscenza che sa meravigliare chi la ascolta, cercando le vie migliori perché non risulti una ripetizione di ciò che è già noto, ma i giovani possano scoprire la bellezza e la ricchezza che essa ci tramanda.

Allo stesso modo l’insegnamento della storia è fondamentale per superare una storiografia prevalentemente “lacrimosa” e negativa, mentre la storia, costituita da un succedersi di vicende diverse, ha in sé una positività, perciò c’è una strada attraverso cui poter guardare anche la morte, cioè il sorriso. Cavaglion cita Formiggini, uno scrittore per lui importante, che tornato dalla guerra desiderava istituire una “casa del ridere”, in cui raccogliere tutte le lettere, le caricature, i disegni che i suoi compagni d’armi avevano realizzato in trincea e che lui aveva raccolto e custodito, per ricordare i commilitoni caduti attraverso il senso del comico che traspariva in quelle carte, attraverso un’umanità che è in grado di sorridere anche di eventi drammatici, non in senso goliardico, ma perché ne sa cogliere la vera profondità.

Così, nella conclusione del libro, Cavaglion propone una serie di ipotesi di musei originali che dovrebbero essere costruiti per saper custodire davvero la memoria, ad esempio un museo di aquiloni, come suggerisce lo scrittore Romain Gary, perché “se studi il passato attraverso gli aquiloni ti abitui a rincorrere l’azzurro del cielo”.
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C.F.
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