Dal Sudafrica a Villa Greppi, la storia di Lwando Dlamini: l'arte per esprimere le idee

In questi ultimi mesi Monticello ha ospitato un artista davvero speciale. In occasione del progetto delle ''Residenze d'artista'' è infatti arrivato in Italia Lawando Dlamini, un pittore già molto apprezzato nel suo paese d'origine. 
E’ stato un lungo viaggio dal Sudafrica, l’ennesimo tassello di un ambizioso progetto di cui si è fatto promotore il Consorzio Brianteo Villa Greppi
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Lwando Dlamini

Qualche settimana fa, proprio dalle nostre pagine, vi avevamo raccontato come questo progetto culturale, a partire dal 2018, fosse stato in grado di fornire già a tantissimi creativi un luogo dove portare avanti la propria arte nel contesto della Villa. L'iniziativa viene proposta - a cadenza annuale - ad artisti del territorio, mentre a cicli bimestrali vengono ospitati tutti coloro che provengono da lontano e trovano poi un alloggio nell'ex portineria. 
Lwando ha un legame speciale con l’arte. Da bambino ha sempre voluto disegnare, sognava di fare l’artista, ma poi crescendo ha capito che la sua vita poteva seguire un’altra strada, magari diventare avvocato proprio come sognava sua mamma. 
Una dozzina di anni fa però, è successo qualcosa. Un fatto terribile che gli ha sconvolto per sempre la vita e da cui ha capito che dipingere era l’unico modo per far sentire la sua voce. 
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''Ho sempre voluto fare qualcosa di artistico, ma sapevo anche quanto fosse complicato, così ho iniziato a studiare da avvocato. Poi nel 2012 sono stato vittima di un assalto della polizia, è stato terribile e sono finito in coma per sette giorni. Quando finalmente mi sono svegliato ho iniziato a percepire un’incredibile rabbia dentro di me e ho capito che dovevo far sentire la mia voce, non potevo più tacere. E così ho incominciato a dipingere, attraverso l’arte volevo esprimere e mie idee, il mio dissenso. Durante la mia vita ho attraversato diversi momenti di difficoltà e di dolore, grazie alla pittura ho iniziato a rielaborarle e a fare pace con me stesso. Le mie opere sono colorate non solo come riflesso della cultura africana, ma soprattutto per dare colore alla mia vita complicata, per trovare un po’ più di speranza'' ci ha raccontato Lwando che è venuto a conoscenza del progetto di Villa Greppi addirittura dall’altra parte del mondo. 
La galleria di Johannesburg con cui collabora, qualche tempo fa ha avuto degli scambi con il Consorzio e ha così diffuso il bando a tutti i suoi artisti. Ben undici hanno partecipato, ma è stato quello di Lwando a vincere grazie alle sue opere particolari e davvero toccanti. 
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Il suo stile del resto, è unico e ce ne siamo accorti immediatamente quando ci ha condotto nella visita esclusiva del suo atelier che condivide con Davide Maggioni, l’artista meratese ospitato nel progetto annuale delle residenza. A colpire sono i suoi colori sgargianti che usa per abbellire dei volti appositamente distorti. Tutto parte da un’intuizione che avviene per caso, spesso annotata su un block notes o addirittura sul telefono, è un piccolo bambino che, come ci spiega il pittore sudafricano, va lasciato crescere, magari non è quello il suo momento, lo si incontrerà più avanti quanto è pronto. 
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''Nei miei disegni parto sempre da delle specie di omuncoli che poi faccio crescere tratto dopo tratto e poi aggiungo il colore che è il tratto che maggiormente mi contraddistingue. Tutti i miei personaggi hanno dei tratti accentuati, quasi deformi, è un modo per rappresentare il mondo malato con cui ho avuto a che fare, ma anche come ho iniziato a vederlo io dopo l’incidente. Simbolizzano il trauma che ho affrontato, come era effettivamente la mia faccia in quei giorni difficili. Tutti gli occhi sono appositamente neri perché rappresentano quello che mi appare nell’occhio sinistro. A causa dell’aggressione ho avuto un distaccamento della cornea e quindi da quel momento la mia visione è così, nera, oscura e tutti i personaggi vedono quello che vedo io, il buio'' ha proseguito Lwando. 
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Lwando Dlamini con l'artista meratese Davide Maggioni

Nei dipinti spicca il colore rosa, il suo preferito, è quello che secondo la scienza si dimentica più facilmente così come lui spera di dimenticare, attraverso l’arte, il grave trauma che ha subito. 
L’atelier di Villa Greppi è stracolmo di opere, ognuna in una fase diversa della sua realizzazione, come se stesse prendendo vita poco alla volta in simbiosi con tutte le altre. Per Lwando infatti è impossibile iniziare e finire un solo dipinto, è un processo creativo quasi magico guidato dall’ispirazione e in cui ogni lavoro influenza l’altro. 
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''A scuola durante le ore d’arte mi trovavo sempre in forte difficoltà perché le mie insegnanti volevano che mi focalizzassi su un unico dipinto e lo finissi, ma io non ci riuscivo, non sono mai stato in grado di seguire un percorso predefinito. Io lavoro contemporaneamente su diverse tele, può capitare che ad un certo punto mi stanco, sono bloccato, è necessario spostarsi su un’altra cosa e può capitare che proprio mentre sto lavorando su altro ecco che mi viene l’idea per proseguire il dipinto precedente – ha proseguito l'artista – io non lavoro esclusivamente nel mio studio, il mio studio è ovunque, anche mentre sono per strada, mentre cammino in un parco, in ogni momento posso avere un’ispirazione e subito me l’appunto. Spesso mi chiedono di spiegare tutte le scelte che faccio in un’opera e sinceramente non ci riesco, mentre dipingo c’è qualcosa dentro di me che mi fa andare avanti, è un misto tra intuizione ed ispirazione, la scelta di un colore mi viene da dentro e non so il perché. Soltanto ad opera finita riesco a capire cosa stavo realizzando e il motivo di tutte quelle scelte''.
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Da maggio a luglio Lwando ha avuto modo di connettersi con il territorio di Villa Greppi, di trarne tutta l’ispirazione possibile, di incontrare persone, culture davvero diverse dalla sua e di mischiarle con l’arte. Durante il Collage festival il giovane sudafricano ha potuto conoscere ragazzi e ragazze da diverse parti d’Europa e alcuni di loro li ha voluti ritrarre nelle sue opere. E’ partito da alcune fotografie che aveva scattato e poi le ha unite con la sua arte facendoli diventare dei veri e propri personaggi delle sue storie. 
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''Ho deciso di dipingere tutte le persone con la pelle nera, è qualcosa che mi viene in automatico. Mi rendo conto che non è una rappresentazione veritiera, ma è un modo per farli entrare nel mio mondo e nella mia cultura a tutti gli effetti. Credo che sia proprio questo il bello dell’arte, la possibilità di creare, trasformare e immaginare senza limiti'' ha aggiunto.
Lwando si è totalmente innamorato del nostro paese, del cibo e delle persone. Milano è una città troppo caotica, ma Monticello è il luogo perfetto in cui gli piacerebbe vivere. E’ stato bello conoscere gli italiani, come ci dice lui, hanno un modo diverso di affrontare la vita e vanno insolitamente veloci quando guidano. C’è però una cosa simpatica che lo ha colpito e Lwando ce l’ha voluta raccontare con il sorriso dipinto sulle labbra: ''delle persone italiane mi ha colpito tantissimo la gentilezza. Sono cordiali in tutto quello che fanno e sono rimasto sorpreso da quello che succede proprio qui davanti a Villa Greppi: tutte le volte che devo attraversare la strada si fermano e mi fanno passare. È una cosa che mi ha colpito molto perché in Sudafrica non succede mai così. E’ un altro elemento che mi porto nel cuore''.
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Nei prossimi giorni per Lwando Dlamini - che lo scorso venerdì 18 luglio ha inaugurato una propria mostra, allestita al primo piano dell'ex granaio di Villa Greppi - sarà il momento di ritornare a casa in Sudafrica, ma siamo sicuri che nelle sue prossime opere ci sarà sempre un tocco del nostro paese, simbolo di un ricordo e di un legame indossolubile.
Giorgia Monguzzi
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