Sanità : il casatese alla vigilia di un nuovo sacrificio a favore del meratese Trent'anni fa rinunciò al nuovo ospedale di Monteregio per aiutare il Cerri

Casatese e Oggionese sono alla vigilia di significative novità in campo sanitario. A Oggiono si attende il nuovo poliambulatorio e molti ancora auspicano, o prefigurano, la possibilità di creare il quarto distretto sanitario lecchese. A Casatenovo entra nel vivo il confronto sulla proposta espressa all?unanimità dai sindaci del distretto, al tavolo territoriale il 17 novembre scorso. (Centro Inrca di Casatenovo, estratto del testo depositato da Felice Baio, attuale presidente dell'assemblea dei sindaci del distretto sanitario di Merate. Con riferimento alla lettera del mio predecessore Ing. Marco Panzeri del 21 giugno u.s. e alle notizie intercorse nell`ultimo periodo, chiediamo informazioni circa le prossime decisioni che la Regione Lombardia intende prendere a favore di questo presidio. Da parte nostra esprimiamo una forte volontà che tale presidio continui a far parte della programmazione territoriale "vista la capacità dell`istituto di coniugare le sue attività istituzionali di ricerca con le esigenze del territorio nel campo delle patologie respiratorie". In particolare, ribadendo il carattere scientifico dell`istituto e la sua autonomia amministrativa-gestionale, vediamo con vero interesse che tale struttura venga collocata fisicamente all`interno dell`Ospedale Mandic di Merate, considerati gli attuali interventi di natura organizzativa e strutturale in corso. Risultano evidenti le sinergie che potranno verificarsi fra i due istituti e l`aumento di qualità dei servizi prestati). La Regione a fine giugno ha autorizzato le procedure per la predisposizione dei locali atti ad ospitare una divisione di Pneumologia al San Leopoldo Mandic. E' evidente che un doppione sul territorio dell'Asl non sarebbe sopportabile, quindi la proposta dei sindaci di trasferire il reparto attivo all'Inrca, al quarto piano del padiglione Villa del Mandic sembra la via maestra (peraltro condivisa un po' a tutti i livelli, dai partiti e dalle Direzioni generali di Azienda ospedaliera e Azienda sanitaria). Alla luce anche di questa ipotesi che cosa si profila dunque per il vasto bacino casatese-oggionese in tema di sanità nei prossimi anni? Forse una nuova struttura, assolutamente all'avanguardia, che sarebbe testata proprio in queste zone, nelle quali in passato si sono sperimentati altri modelli avanzati di integrazione tra presidio ospedaliero e territorio. Questo è l'auspicio, naturalmente, perchà© serpeggia anche il timore che la storia possa ripetersi e penalizzare di nuovo l'area. E' innegabile che i due bacini hanno pagato più di altri il processo di razionalizzazione del sistema sanitario.
Oggi l'oggionese fa riferimento a Lecco, come distretto e anche come struttura ospedaliera, mentre il casatese rientra nel distretto sanitario di Merate e la sua popolazione in genere è al Mandic che guarda con maggiore interesse. Ma fino a trent'anni fa le cose stavano in maniera ben diversa. Ancora attorno al 1974-75 operavano due ospedali di una discreta dimensione, uno a Oggiono e l'altro a Besana (il Viarana Besana-Casatenovo). Entrambi avevano una dotazione di circa 150-180 posti letto e fornivano prestazioni competitive rispetto ad altre strutture territoriali. A Besana, ad esempio, molti ricordano ancora una chirurgia d'avanguardia. L'ospedale di circolo Oggiono-Bosisio Parini venne chiuso verso la metà degli anni settanta. Ma già dal '71-'72 si era innescato un acceso dibattito tra sostenitori e detrattori dell'idea di costruire un nuovo ospedale a Casatenovo, sull'area dell'ex sanatorio di Via Monteregio. L'ipotesi era scaturita all'interno del Consiglio di Amministrazione dell'ospedale di circolo Viarana che operava a cavallo di due province, Milano e Como. L'ospedale sorgeva in centro Besana ed era un polo di forte attrazione. Ma correnti di pensiero volevano un potenziamento della struttura e il suo decentramento a Casatenovo, su quell'area di 56mila metri quadrati posta in posizione strategica quanto deliziosa dal punto di vista paesaggistico. Già esisteva una struttura, una vecchia casa patrizia, riconvertita negli anni trenta a sanatorio. Vi aveva lavorato come direttore sanitario anche Giovanni Maldini, sindaco di Casate. Alla fine degli anni sessanta era divenuta sede della casa di riposo Ferrarini, una casa privata. Il piano sanitario varato in quegli anni prevedeva che accanto alla casa di riposo dovesse sorgere il nuovo complesso ospedaliero che avrebbe assorbito le funzioni sin li svolte dal Viarana. Il progetto decollò rapidamente. Il CdA del Viarana deliberava l'acquisto del terreno e il relativo finanziamento per uso di pubblica utilità .
La Regione, dal canto suo provvedeva a finanziare e ad approvare il progetto esecutivo. La procedura era talmente avanzata che si era provveduto a versare in tesoreria i soldi necessari all'esproprio, avviando contemporaneamente il relativo iter. Insomma la posa della prima pietra era ormai prossima. Ma l'Inrca un istituto di ricerca e cura anziani, con sede ad Ancona con un autentico blitz aveva acquistato l'area dai Ferrarini. E espropriare un ente pubblico, quale, appunto, l'Istituto marchigiano, era improponibile. Così il progetto del nuovo ospedale di Casatenovo-Besana si arenò improvvisamente e tra lo sconcerto generale. Ma che cosa era veramente accaduto dietro le quinte? Dietro c'era, come sempre, uno scontro politico durissimo tra la Democrazia Cristiana e il Partito Socialista attorno al piano sanitario. La DC con Giuseppe Giovenzana, divenuto poi presidente della Regione Lombardia, e con Giovanni Maldini, "spingeva" per la costruzione del nuovo ospedale. I socialisti di allora, invece, non credevano all'utilità di un presidio di quelle dimensioni. Lo scenario clinico stava cambiando rapidamente e le risorse finanziarie già all'epoca non erano tali da consentire doppioni. Il territorio era già "coperto", con l'ospedale di circolo di Merate che allora disponeva di 460 posti letto. Aggiungerne altri 360 come prevedeva il progetto esecutivo dell'ospedale di Monteregio era, secondo i socialisti, una follia che avrebbe determinato prima o poi la chiusura dell'antico presidio di Via Cerri. Bonalume, Basosi e tanti altri socialisti meratesi si distinsero in questa battaglia al tempo stesso di razionalizzazione delle grandi strutture sanitarie e di difesa del nosocomio meratese. Il messaggio che l'apertura di Casate avrebbe significato in prospettiva la chiusura di Merate passò e convinse anche molti Dc, tra cui Luigi Zappa, che l'operazione non poteva essere sostenuta. Zappa, peraltro, era riuscito nel frattempo a far promuovere l'ospedale al rango di struttura provinciale, anzichà© di circolo. E a quel punto un ridimensionamento non sarebbe stato nell'ordine delle cose. A distanza di tanti anni e vista l'evoluzione dell'edilizia ospedaliera, la ripartizione delle risorse e l'evoluzione scientifica che ha portato a consistenti riduzione della ospedalizzazione si può ben dire che i meratesi (e i socialisti casatesi) avevano visto giusto. Di lì a pochi anni, infatti, anche il Viarana fu chiuso. Il trend, del resto, era già sufficientemente chiaro, per coloro che volessero osservarlo con occhi e mente liberi, e puntava diritto al ridimensionamento dei presidi ospedalieri. Va aggiunto che in quel periodo fiorivano progetti come rose a primavera, che in parecchi casi servivano nei fatti a dare lavoro alle consorterie. La maggior parte di questi progetti poi restava sulla carta. Ma il lavoro trovava comunque il giusto compenso.
A influenzare il dibattito, che qui abbiamo riassunto in poche righe ma che fu a tratti incandescente e durato anni, ci fu anche la nascita, tra il '78 e l'80, degli enti responsabili di zona, operanti in una sola provincia, diversamente dai precedenti CSZ, come Adda 1 che comprendevano i bacini di Casatenovo e Besana, quindi due province. L'arrivo dell'Inrca e la nuova mappa dei bacini, antesignani delle Ussl contribuirono a impedire che si costruisse una cattedrale nel deserto. I nuovi enti responsabili dei servizi dovevano per la verità operare anche nei settori, scuola, trasporti ecc. e quindi non potevano essere a cavallo di due province. Ma in realtà finirono per svolgere la loro attività nell'ambito del socio-sanitario, diventando così Unità locali. Ma sprecando, in fondo, una straordinaria opportunità di unire più comuni su temi condivisi di importanza zonale. Qualcosa del genere il casatese lo sta ripercorrendo ora, con successo, attraverso la Conferenza. Alla fine di tutto il dibattito, e pur riconoscendo una omogeneità tra il besanese e il casatese, quest'ultima zona fu afferita al meratese dando così vita alla Ussl 14. Ai Casatesi, amareggiati per la sconfitta subita, fu offerta, come riparazione la promessa che nà© Lecco nà© Merate avrebbero mai investito soldi nella Pneumologia, il settore in cui opera l?Inrca e che tuttora è riconosciuta come propria attività istituzionale. Difatti nà© il Manzoni nà© il Mandic dispongono di reparti per la diagnosi e la cura di malattie respiratorie. Ma allora appariva irrilevante il dove localizzare questa specialità . Bastava che vi fosse una buona equipe e poi il servizio poteva decollare. Ma oggi è ancora concepibile andare avanti con un centro monospecialistico? Un tempo era di eccellenza ma oggi anche la Pneumologia deve essere collegata ad altri reparti in un sistema integrato di assistenza con apparecchiature diagnostiche d?avanguardia. E tutto ciò all'Inrca non c'è. Quindi si pone di nuovo la domanda: ha un senso che la divisione acuti resti in via Monteregio? Ma in qualunque modo si intenda rispondere alla domanda la storia ci riporta indietro di trent'anni. Il Mandic ha bisogno della Pneumologia per implementare la propria gamma di prestazioni pena maggiori difficoltà nel contrastare l'offerta di altri presidi vicini come Bergamo e Vimercate. Dunque la risposta dovrebbe essere NO, non ha senso quindi la divisione va trasferita a Merate. Ma in tal caso quale "risarcimento" offrire ai casatesi per questa nuova rinuncia?